Nella memoria tradizionale dei Santi Elisabetta e
Zaccaria, genitori del Precursore, rilancio quest’interessante intervista del
dott. Giuseppe Capoccia, Presidente
del Coetus Internationalis Summorum Pontificum.
Lorenzo Lotto, Sacra Famiglia con la famiglia del Battista, 1536 circa, musée du Louvre, Parigi |
Carlo Ceresa, SS. Zaccaria ed Elisabetta, 1644 circa, chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, Dossena |
Andrea Sacchi, Annunciazione di S. Zaccaria, ciclo della vita del Battista, 1641-49, Pinacoteca Vaticana, Roma |
Faccia a faccia col Motu Proprio Summorum Pontificum:
intervista a Giuseppe Capoccia
di Gianluca Di Pietro
“[…]
Una volta caduta la Messa è finito il Papato”: con questo assioma Martin Luter
descriveva a ragione l’importanza della Liturgia nella vita della Chiesa.
Sì, la Sacra Liturgia è davvero la condizione a priori della ecclesialità, ossia
dell’essere membra articolate di un Corpo mistico vivo.
Facendo
ricorso ad un lessico che riflette l’affascinante ecclesiologia organica
paolina, la Sacra Liturgia è la gabbia toracica dell’Eucarestia, il cuore di
questo Corpo. Adoperarsi per la distruzione o relativizzazione della Liturgia
significa compromettere l’azione del circolo della grazia che dall’Eucarestia
raggiunge tutte le membra del Corpo.
Da
troppo tempo piangiamo il corpo agonizzante e languente della Nostra Madre, la
Chiesa, caduta vittima sotto i colpi della nouvelle
theologie, che ha inaugurato anche una nouvelle liturgie,
ambiguamente cattolica e teatro dei più ignominiosi abusi.
Restaurare
la Vera Messa Cattolica, per tanto tempo sollecitudine dei Sommi
Pontefici, è un dovere cui i semplici fedeli non possono sottrarsi e
rappresenta il presupposto per una “restitutio ad integrum” di tutto il
corpo ecclesiale.
Alla
luce di questa premessa, una settimana fa, il 25 Novembre, si chiudeva
l’annuale Pellegrinaggio,
oserei dire, “liturgico-centrico” “Ad Petri Sedem” di
tutti coloro che riconoscono il potenziale del Motu Proprio “Summorum
Pontificum”.
Da
tutto il mondo, la famiglia di Dio si è radunata nella città della Sede
dell’Apostolo Pietro per ricordare a tutta la Chiesa che la Tradizione
non è un insieme di “privilegi antichi e transitori”, ma è al pari della
Scrittura un acquedotto della Grazia e una delle forze che rinsaldono
l’unità della Chiesa.
L’immagine
più rappresentativa di questo pellegrinaggio è stata la lunghissima processione
che estendendosi dal Sagrato di San Pietro fino a ben oltre l’obelisco
della Piazza è entrata trionfalmente nella Basilica, sotto gli occhi
curiosi dei turisti i quali, catturati dalla sacralità armonica di questo
“corteo”, hanno anch’essi partecipato al Pontificale all’Altare della Cattedra
di Sua Eccellenza Mons. Laise, arcivescovo emerito di San Luis.
Questa
è solo una delle evocative immagini di quattro giorni intensi, durante i quali
poco meno di 2000 pellegrini si sono radunati attorno agli altari delle
tradizionali Basiliche Romane, San Lorenzo in Damaso e Santa Maria in
Campitelli, per rendere a Dio il culto doveroso e gradito, nelle forme più care
alla tradizione cattolica: Rosario meditato e cantato, Adorazione Eucaristica e
meditazione della Via Crucis.
A
termine di questa edificante esperienza cui partecipo da ormai 2 anni, ho
intervistato Giuseppe Capoccia, noto giudice pugliese e Presidente del Coetus
Internationalis Summorum Pontificum, sull’importanza della Messa Antica
nella vita della Chiesa, sullo stato attuale del Motu Proprio di Benedetto
XVI e sulle sue conquiste ad otto anni dalla promulgazione.
“ D. (Gianluca Di Pietro) Procuratore,
Radio Spada da tempo si occupa di rendere un servizio alla Verità in questi
tempi confusi in cui la luce di Dio è tramontata dall’orizzonte tanto sociale
quanto individuale. Come ben sa, la nostra linea editoriale vede nel
Cattolicesimo Romano la giusta soluzione ai drammi della modernità nonché la
forza capace di ricondurre ad unità questa realtà frammentata: la dottrina
cattolica è la sfida che noi proponiamo all’uomo moderno. Proprio in virtù di
questo nostro obbiettivo raccogliamo attorno a noi le diverse frange del
cosiddetto “tradizionalismo cattolico” che si sono sfilacciate a partire dal
Concilio Ecumenico Vaticano II. Questo ci espone non di rado ai rischi di una
difficoltà di convivenza da parte dei nostri lettori.
Non crede forse che l’evidente
frammentazione del mondo tradizionalista sia il punto di debolezza della
“battaglia tradizionale”, in contrasto con la compattezza dell’ala
progressista?
R.
(Giuseppe Capoccia) In realtà, la frammentazione può anche presentare dei
vantaggi, per esempio quando si tratta di resistere alla repressione o quando
si decide di accelerare su qualche fronte. E poi non sono sicuro che i novatori
siano così uniti fra di loro; è vero però che sanno spesso trovare una linea
condivisa perché non perdono mai di vista l’obiettivo. Noi, invece, spesso
sembra che dimentichiamo il fine della nostre battaglie, così come ci lasciamo
prendere dallo zelo amaro, mentre dovremmo sempre coltivare la gioia della
Redenzione che Cristo ha guadagnato per noi e per sempre sulla Croce.
D. Molti guardano a noi fedeli del Summorum
Pontificum con diffidenza e sospetto, dipingendoci semplicemente come
degli esteti del culto, affetti quasi da un fine romanticismo liturgico: fedeli
ai quali interessano le forme del Sacrificio della Messa piuttosto che la
sostanza teologica del memorialis Domini Nostri. A tutti costoro cosa
sente di dire? Noi “motupropristi” siamo davvero disposti
a soprassedere al cambiamento della sostanza della Messa per qualche pianeta o
suppellettile barocca? È davvero questo lo spirito che muove il Coetus e le migliaia di fedeli
(tra cui io stesso): organizzare Sante Messe esteticamente belle e chiudere gli
occhi di fronte ai numerosi problemi che la nouvelle
theologie
pone?
R.
Don Claude Barthe, cappellano del pellegrinaggio internazionale del Summorum
Pontificum nonché autore di tanti studi liturgici e teologici, dice sempre
che la battaglia va condotta per la Santa Messa e per tutto ciò che ne
consegue: il catechismo, la morale, la buona dottrina, la cultura, ecc. Noi
sappiamo che senza la preghiera che orienta a Dio e a Dio rende il culto
dovuto, tutte le opere sono vane. La nostra convinzione è che l’impegno
liturgico sia la chiave per riaffermare la fede cattolica: è indubbio che la
Messa di sempre non è bastata a fermare l’eresia modernista, ma rimane il più
perfetto compendio della nostra fede, plasmato da secoli di tradizione. Un
illustre autore contemporaneo (con il gusto per il paradosso) osserva che la
crisi finanziaria mondiale deriva dal crollo della liturgia: se non c’è Cristo
crocifisso in alto, al centro, il resto è solo disordine e caos. Ed è anche il
triste sbandamento di tanti movimenti che pare abbiano smarrito il fulcro del
loro agire. Pensiamo, e lo abbiamo spesso provato con le nostre piccole opere
di proselitismo, che ormai sia spesso vano affidarsi alla ragione e
all’intelligenza dei nostri contemporanei per evangelizzarli: non per loro
colpa, ma a motivo del generale abbassamento morale, culturale e filosofico.
D. Nell’ottavo anniversario della
liberalizzazione della Messa Antica, possiamo azzardare un bilancio: quali
obiettivi abbiamo raggiunto grazie al Motu Proprio? Grazie all’attività del Coetus
Internationalis, che compendia l’immenso lavoro dei coetus locali, possiamo
affermare che sia cresciuto l’interesse verso la Messa Antica da parte del cattolico
medio (e per “cattolico medio” intendo il fedele che non possiede particolari
conoscenze linguistiche o teologiche o canonistiche)? E i giovani?
R.
Oggi, se qualcuno è interessato alla liturgia cattolica apre Internet e con un
paio di click si ritrova immediatamente su una pagina legata alla promozione o
al commento della liturgia tradizionale: sia la FIUV, sia i media specializzati
come il New Liturgical Movement o Paix liturgique rendono conto
con grande regolarità dei progressi delle Messe Summorum Pontificum nel
mondo. Sulla pagina FB del pellegrinaggio, le statistiche dicono che il 57% dei
nostri fans ha meno di 34 anni: mi pare che già questo sia una risposta
eloquente alla sua domanda sui giovani e il Summorum Pontificum;
peraltro, proprio il fascino dei giovani per l’antica liturgia è una delle
ragioni esposte da Papa Benedetto nella lettera ai vescovi di accompagnamento
al Motu Proprio.
D. Contestualmente, la ricezione del Motu
Proprio da parte delle Gerarchie in questi otto anni ha avuto un miglioramento
significativo? La liberalizzazione di cui il documento papale parla è davvero
reale oppure in fin dei conti rimane come qualcosa ancora da perseguire? In
quest’ultimo caso, cosa occorrerebbe fare per portare a compimento le
istruzioni contenute nel Motu Proprio?
R.
Beh, se si guarda alla realtà italiana, la situazione può sembrare grigia: poco
è cambiato dal 2010 quando Fede & Cultura pubblicò un opuscolo del
giornalista Alberto Carosa proprio sulle opposizioni episcopali al Summorum
Pontificum. Tuttavia, la diffusione della liturgia tradizionale in Italia è
un dato di fatto. Sempre più sacerdoti hanno imparato a celebrarla e sempre più
fedeli si sono accostati alla solenne dignità ed alla profonda sacralità del
rito antico. Ogni anno, durante il nostro pellegrinaggio vediamo nuove famiglie
partecipare alla processione e alla Messa in San Pietro. Il successo di
quest’anno è per parte dovuto al maggior numero di pellegrini italiano venuti a
Roma il 24 ottobre. Poi, se lo sguardo si allarga a tutto l’Orbe cattolico, è
evidentissimo lo sviluppo del Summorum Pontificum: sapete che c’è la
Messa tradizionale anche in Indonesia?
D. La principale attività del Coetus è l’organizzazione del
Pellegrinaggio “ad Petri Sedem” nell’ultima domenica
di Ottobre, in occasione della Festa Liturgica di Cristo Re dell’Universo. C’è
una ragione simbolica dietro la scelta di promuovere un pellegrinaggio proprio
alla Sede Apostolica, per di più in occasione di una festa liturgica tanto
importante quale la Sovranità Universale di Nostro Signore?
R.
La scelta di Roma non è certo casuale: non può esserlo per chi professa la
propria fede cattolica, apostolica e romana. Potrei anche ammettere che la
festa di Cristo Re è stata casuale, nel senso di non cercata, ma credo proprio
che la Provvidenza abbia voluto indicarci la regalità di Cristo perché la
nostra fede sia manifestata, affermata, difesa in ogni momento e in ogni luogo
di fronte a una società sempre più empia e laicista.
D. Domenica 25 ottobre si è chiuso
solennemente questo annuale pellegrinaggio: può ritenersi soddisfatto del suo
svolgimento? Cosa l’ha maggiormente colpito di questi quattro intensi giorni?
R.
Prima di tutto direi che mi ha colpito il generale sereno clima di normalità
cattolica! Spesso nei nostri territori subiamo una sorda ostilità, una perenne
condizione di minorità ed emarginazione; entrare in San Pietro dal portone principale
cantando “Christus vincit” rincuora e ripaga di tante amarezze. E poi,
ammetto di essere stato affascinato da mons. Juan Rodolfo Laise, questo novantenne
tenero ma fermo, arcivescovo emerito di San Luis (Argentina) e strenuo
difensore della pratica della ricezione della Santa Eucarestia in ginocchio e
sulla bocca. Con la sua età, con il suo buon animo, con la sua testimonianza
tenace non è stato semplicemente il celebrante del Pontificale in San Pietro,
ma ha rafforzato in noi la volontà di proseguire la buona battaglia,
nell’ubbidienza alla volontà del Signore e nella fedeltà alla propria
coscienza.
D. Ultima domanda: se
dovesse convincere a partecipare al Pellegrinaggio Summorum
Pontificum coloro che non ci conoscono oppure che senza ragione ci
avversano, cosa direbbe?
R.
Non abbiate paura: venite e pregate!”.
Fonte: Radiospada, 3.11.2015
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