Nella Vigilia (anticipata) di S. Andrea e nella memoria di S.
Giacomo della Marca, confessore, ricevuto, pubblichiamo questo sintetico saggio
sulla legittima difesa dal punto di vista della morale cattolica.
Filippo Vitale, S. Andrea condotto al martirio, XVII sec. |
Jusepe de Ribera, S. Andrea in preghiera dinanzi alla sua croce, 1615-18, Quadreria dei Girolamini, Napoli |
Jusepe de Ribera, S. Andrea, 1616, Quadreria dei Girolamini, Napoli |
Sulla legittima difesa
di Vincenzo Sasso
P - Recentemente mi è capitato
che “Qualcuno” mi dicesse, forte delle sue personalissime impressioni e delle
sue poche conoscenze della Dottrina della Chiesa, che io avrei le “idee confuse”
nel momento in cui ipotizzo che sarebbe moralmente lecito (e dovrebbe essere
legalmente lecito) per un uomo difendersi con un’arma da fuoco nel caso di un’effrazione
anche quando l’aggressore non ha ancora dato segno di essere armato. Affronterò
le affermazioni una per una, anche se molto sinteticamente.
1 - PRIMA: “La vita è sacra”. “Cosa direbbe il mio confessore di questo?”, la provocazione. Cosa direbbe non lo so, ma so cosa insegna la Chiesa. La Chiesa dice che è omicidio uccidere un INNOCENTE, non chiunque in qualunque caso: sono esclusi la guerra, la legittima difesa e la pena di morte. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (promulgato nel 1992; d’ora in poi CCC) al par. n. 2267 afferma la legittimità morale della stessa pena di morte, come anche il Catechismo Maggiore di San Pio X del 1905 al n. 413. Non è certo questo il momento di affrontare questo tema; chi vuole verificare, basta che cerchi su Internet. È anche vero che l’autorità ecclesiastica è oggi impegnata a far cessare l’uso della pena di morte nel mondo. Ma questo atteggiamento non contraddice necessariamente l’insegnamento richiamato: una cosa è la legittimità morale come principio universale e sovratemporale, un’altra è la decisione, che ha carattere contingente ed è legata alla situazione e alla prudenza personale. Infatti, nel corso di una valutazione, alla considerazione di un principio di ordine più generale si possono aggiungere altre osservazioni (cfr. S.Th. I-II, q. 97, a. 2).
2 - SECONDA:
“Se spari, spari per uccidere”. È un’affermazione assolutamente gratuita. In
guerra soltanto si spara per uccidere, in tutti gli altri casi non si dovrebbe.
Il CCC 2263 recita: “Nulla impedisce che vi siano due effetti di uno stesso
atto, dei quali uno sia intenzionale e l’altro preterintenzionale”; e al 2264:
“un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui”.
Sono citazioni di S.Th. II-II, q. 64, a. 7 co.
3 - TERZA:
Starei dicendo “un mare di sciocchezze” quando porto come argomento il fatto
che un tempo c’erano maglie molto più larghe nella legittima difesa, mentre
dopo lo Stato ha avocato a sé maggiori prerogative. Innanzitutto, non si tratta
di un’opinione, ma di verità storica: in passato era più facile armarsi e che
un’uccisione o una lesione venisse giustificata, mentre in seguito la legge
(almeno nei Paesi occidentali) ha ristretto sempre più queste prerogative.
Il motivo
per cui si porta questo argomento è che esistono due piani della legge: il
diritto naturale e quello civile. È di diritto naturale il diritto (e
l’obbligo, in alcuni casi) alla legittima difesa e alla difesa dei propri
sottoposti (ad es. il capofamiglia o lo Stato nei confronti dei loro
sottoposti); è di diritto naturale che ogni delitto va punito con pene proporzionate.
È di diritto civile la determinazione di quali facoltà vanno riconosciute ai
soggetti perché possano esercitare la difesa propria e dei propri sottoposti; è
di diritto civile l’esatta determinazione di quali pene siano da considerarsi
proporzionate al delitto commesso. Il diritto naturale è universale,
sovratemporale e immutabile e deve obbligatoriamente essere riconosciuto
dall’autorità; il diritto civile è mutabile e corrisponde alla valutazione
prudenziale dell’autorità in un certo dato momento e considerati determinati
mezzi; da cui anche la possibilità di ripudiare la pena di morte, come spiega
il CCC (cfr. Compendio della
Dottrina sociale della Chiesa, ed. 2005 (d’ora
in poi CDS), nn. 397-398; S.Th. I-II, q. 94, aa. 4-6 riguardo alla
legge naturale; S.Th. I-II, q. 95, a. 2 riguardo alla legge
civile o positiva).
Ne consegue
che è del tutto razionalmente fondato pensare e supportare un cambiamento in
direzione di una maggiore libertà all’autodifesa.
Il fatto che
una legge dice questo o quest’altro non significa che debba per forza rimanere
così. Tantomeno si può compiere un salto logico dal piano della legalità a
quello della moralità, altrimenti sotto le leggi razziali tutti avrebbero dovuto
rispettarle; mentre è vero che la prima obbedienza spetta alla coscienza e solo
dopo all’autorità, proprio per la distinzione tra diritto naturale e diritto
civile. Ciò comporta la proibizione (morale, non legale!) di fare il male solo
perché te lo ordina l’autorità (cfr. CDS 400-401; S.Th. I-II, q. 96, a. 4).
4 - QUARTO:
“Legittima difesa è quando c’è proporzione...”. Esatto. Ma per determinare la
proporzione non basta considerare solo un aspetto: se l’aggressore è armato e
quale arma utilizza. Vi immaginate un paraplegico (o anche un anziano o anche
una persona qualunque) che deve fare a botte con un omaccione che gli entra in
casa? Non ce la farà mai a difendere un bel fico secco, ma può riuscirci con
un’arma da fuoco. E siccome: A) “se [uno] reagisce con moderazione, allora la
difesa è lecita” (CCC 2264); B) la moderazione è il giusto mezzo tra due
estremi non in astratto, ma in una situazione storica (spazio-tempo) precisa,
considerati quindi i rischi, i benefici e i mezzi; C) allora l’uso di un mezzo
tecnologicamente superiore e molto probabilmente letale è lecito.
Naturalmente
ciò non toglie un’altra considerazione: se l’aggressore si arrende, è immobile
e disarmato, sparargli sarebbe più un’esecuzione che legittima difesa. Ben
diverso dal caso considerato prima, cioè di un aggressore disarmato, ma
determinato a dartele di santa ragione (cfr. S.Th. II-II, q. 64, a. 7).
5 -
Naturalmente questo ragionamento non comporta un’autorizzazione a fare tutto
ciò che si crede giusto solo per una propria personale valutazione.
Quindi, per
quanto concerne l’argomento in questione, il fatto di poter fare questa
riflessione personale a livello morale non significa necessariamente che uno
deve con leggerezza fare qualcosa che per legge non è consentito, né deve dare
un peso eccessivo a quelle che sono impressioni personali (benché in questo non
si tratti di impressioni personali, ma di un pensiero scientificamente
fondato), ma certamente può mantenere le riserve della propria coscienza
rispetto alla legge. La legge sovrana per la coscienza è quella morale (cioè
quella di Dio), non quella di pinco palla o del Parlamento (cfr. CDS 399; S.Th. I-II, q. 93, a. 6).
6 - Se c’è
un moralista (filosofo o teologo) che vuole dimostrarmi la fallacia del mio
ragionamento (quando i nessi logici sono solo apparenti) o la falsità di una
premessa (Aristotele: la verità delle conclusioni dipende dalla verità delle
premesse), si faccia avanti senza paura. Io sono sempre disposto a rivedere
quelle che sono le conclusioni sì di ragionamenti fondati, ma pur sempre
personali.
7 –
“Qualcuno” dovrebbe riflettere sul fatto che il dialogo non è solo una bandiera
ideologica che serve a dire che le religioni sono tutte uguali e per affermare
il relativismo morale (prostituzione, aborto, eutanasia...), ma è soprattutto
(è solo) un impegno concreto: quando si parla, non si danno giudizi
all’interlocutore, ma si usano argomenti.
8 - Spiego le
cose una sola volta, perché distinguo le persone in ragionevoli e oneste da una
parte e ideologiche, fideiste e sofiste dall’altra.
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