giovedì 31 dicembre 2015
La visione natalizia di san Gaetano di Thiene
Una lettura spiritualmente edificante. Quasi un’oasi
quella che ci propone don Marcello Stanzione in questo suo contributo, che fa
crescere la devozione verso la Santa Infanzia del Divin Bambino.
Michelangelo Buonocore, Visione di S. Gaetano, 1733, collezione privata |
Gaetano Gandolfi, Visione di S. Gaetano, 1775, Fondazione Cassa di Risparmio di Cento, Cento |
La visione natalizia di san Gaetano di Thiene
di Don Marcello Stanzione
Giovanni Lanfranco, La Vergine appare a S. Gaetano Thiene, 1620-30 |
San Gaetano di Thiene (1480- 1547) è venerato come il “Santo della
Provvidenza” per la sua illimitata fiducia in Dio e perché dedicò la propria
esistenza al servizio dei poveri, degli ammalati e degli indifesi tanto da
fondare un Istituto con questo scopo. Per il suo zelo per la salvezza delle
anime venne anche soprannominato “cacciatore di anime”.
Discendente della famiglia dei conti di Thiene nei presi di Vicenza,
rinunciò alla carica che gli era stata offerta a Roma; ai posti d’onore preferì
la compagnia dei poveri e degli esclusi. A Roma egli c’era già stato perché,
dopo la laurea in materie giuridiche conseguita a Padova, venne chiamato come
segretario particolare del Papa con l’incarico di scrittore delle lettere
pontificie, un compito che gli fece conoscere persone importanti. Egli non si
lasciò abbagliare dallo splendore della corte pontificia, né si scoraggiò di
fronte al disordine diffuso – ripeteva: «Roma un tempo santa, ora è una
Babilonia» – anzi, illuminato da Dio, cominciò a riformare prima se
stesso e poi la comunità cristiana. …
Egli,
oltre ai suoi compiti di Curia, cominciò ad assistere gli ammalati
dell’ospedale di san Giacomo e si iscrisse all’Oratorio del Divino Amore, a
trentasei anni divenne sacerdote e il giorno di Natale del 1516 celebrò la sua
prima Messa nella basilica di S. Maria Maggiore. Durante la celebrazione della
Messa, a Gaetano apparve la Madonna che gli depose tra le braccia il bambino
Gesù; per questo egli è raffigurato nell’arte e nelle immagini devozionali con
Gesù Bambino tra le braccia.
Come
vivesse, ce lo dice un testimone oculare, certo don Enrico Danese: «Era
irreprensibile, casto, mansueto, misericordioso e pieno di ogni pietà verso gli
infermi. Con le sue proprie mani li cibava e custodiva e serviva. In quanto alla
sua camera era povera: c’era un povero saccone di paglia dove riposava, con un
cuscino, un tavolino con uno sgabello per sedere, con alcuni libretti e una
figura di carta. Lo vestire suo era di panno grosso, con calzette di cordicella
bianca, con calzoni alla veneziana …».
Don
Gaetano svolgeva l’ammirevole azione di assistenza spirituale e materiale
nell’ospedale di San Giacomo. Ma egli e i confratelli del “Divino Amore”
sapevano e vedevano quanti ammalati, tanto gravi da essere ritenuti incurabili,
vagavano schivati da tutti, per la città. Pungolati da don Gaetano, i
confratelli, che per le cariche civili e religiose occupate avevano voce presso
le autorità, riuscirono, superando mille ostacoli, ad ottenere importanti
sovvenzioni da dedicare agli incurabili. Il ricovero offerto ai derelitti,
miseri, stracciati e ripudiati, fu una non reclamizzata, ma certo tanto apprezzata,
affermazione della confraternita del Divino Amore.
I
limiti di questo scritto vietano di dire tutto quanto andrebbe pur detto sul «fuoco
bruciante e illuminante», che caratterizzò il primo anno di sacerdozio di
don Gaetano. Ma del premio che egli ricevette nella notte di Natale del 1516
non si può tacere. Stava pregando in Santa Maria Maggiore, e precisamente nella
cappella del Presepio (dove si conservano, inseriti in una magnifica culla di
materiali preziosi, alcuni legni della culla di Gesù) allorquando mosse, con
gesto apparentemente illogico, le braccia verso l’immagine di Maria col Figlio.
Successe allora l’incredibile: la Vergine Maria posò, sulle braccia tese di don
Gaetano, «quel tenero fanciullo, carne e vestimento dell’eterno Verbo».
Questo
fatto straordinario lo apprendiamo da una lettera, che lo stesso protagonista
scrisse un mese dopo, alla suora bresciana Laura Mignani, donna di altissimi
meriti, tanto che don Gaetano e altri sacerdoti, senza conoscerla di persona,
se ne erano fatti figli spirituali. Raccontata la visione, don Gaetano la
commenta così: «…Duro era il mio cuor ben lo crederete, perché certo non
essendosi in quel punto liquefatto, segno è che è di diamante». E
sospirava: «Pazienza!». La visione, sempre su testimonianza del
protagonista, si ripeté nelle due feste della Circoncisione e dell’Epifania.
Don Gaetano ne fu tanto grato che si confermò e si corazzò nelle «immortal
guerra contro i tre pestiferi nemici: la carne, il mondo e il demonio, da
superare con l’aiuto della croce».
Poco
dopo preferì ritornare a Venezia dove fondò l’Ospedale degli Incurabili.
Comprese anche la necessità di ricondurre gli Ecclesiastici nell’alveo della
santità di vita consona alla propria vocazione; per questo maturò l’idea di un
Istituto religioso sacerdotale, dando personale testimonianza di povertà
evangelica ed intenso desiderio d’imitazione del Salvatore. Devoto del presepe
e della passione del Signore, con Pietro Carafa, il futuro Paolo IV, fondò la
Congregazione dei chierici comunemente detti Teatini, da Teate, il nome latino
della città abruzzese di Chieti della quale era Vescovo. Erano chierici che
trovavano nella Divina Provvidenza la soluzione ad ogni problema. Coadiuvato da
tre compagni prese i voti presso la tomba di san Pietro, in Vaticano,
intendendo ricreare lo spirito della primitiva comunità cristiana.
I
Teatini ebbero un ruolo significativo nella controriforma e il loro esempio fu
molto significativo per la Chiesa in tempi in cui il monaco tedesco Martin
Lutero, contemporaneo di Gaetano, stava lacerandola irreparabilmente. Quando a
Roma scesero i Lanzichenecchi durante le tragiche giornate del sacco di Roma
del 1527 da parte delle truppe di Carlo V, Gaetano fu da loro seviziato e
imprigionato nella torre dell’Orologio in Vaticano, mentre il Papa fu costretto
a rifugiarsi in Castel S. Angelo difeso dalle Guardie Svizzere.
Poco
dopo tornò a Venezia. Qui scoppiò l’epidemia di peste che costrinse i Teatini a
propagarsi in altre città dove, insieme ai gesuiti, operarono per la
Controriforma cattolica. Nel Veneto moltiplicò le sue opere apostoliche e
assistenziali accettando tra l’altro l’invito del noto tipografo veneziano Paganino
Paganini di avviare i padri Teatini all’arte della stampa tipografica inventata
dal tedesco Giovanni Gutenberg. In seguito si trasferì a Napoli dove svolse una
multiforme attività diretta a formare il popolo alla pietà e all’integrità dei
costumi nonché alla riforma delle comunità claustrali femminili.
Egli
fondò ospizi per anziani, incrementò l’assistenza all’Ospedale degli
incurabili, stette accanto al popolo durante le carestie e le ricorrenti
epidemie che flagellarono la città in un periodo di sanguinosi tumulti e
riavvicinò i fedeli al sacramento della riconciliazione. Si deva a lui la
fondazione del famoso Monte di Pietà per giusti prestiti ed elargizioni, un
istituto bancario pensato per le vittime degli strozzini e degli usurai, dal
quale in seguito ha avuto origine il Banco di Napoli, il più grande Istituto
bancario del Mezzogiorno.
Te Deum
Ricordiamo che all'inno "Te Deum" di fine anno ed all'inno "Veni creator" di inizio anno civile è annessa l'indulgenza plenaria prevista dalla Chiesa: v. blog Messa in latino, 31.12.2015
Grégoire Huret, Re Luigi XIII di Francia ed Anna d'Austria presentano il Delfino alla Deipara ed Gesù Bambino, 1638, Metropolitan Museum of Art, New York |
mercoledì 30 dicembre 2015
martedì 29 dicembre 2015
Natale: l’ora della fiducia nella notte del mondo
Rilancio
volentieri, in questo periodo di Ottava di Natale e nella memoria di S. Tommaso
Becket, vescovo e martire, quest’interessante contributo del sempre impeccabile
prof. Roberto de Mattei, tradotto in inglese da Rorate caeli.
S. Tommaso, Chiesa di Saint Gervais, Rouen |
Mosaico di S. Tommaso Becket tra i SS. Silvestro, Lorenzo e Nicola, 1180 circa, Cattedrale, Monreale. Il Santo vescovo ebbe diversi contatti con la Sicilia, che gli rimase legata anche dopo il martirio (v. qui). |
NATALE: l’ora della fiducia nella notte del mondo
di Roberto de Mattei
Il Santo Natale non è solo una tradizione culturale dell’Occidente o la
semplice memoria, cara ai cristiani, di un fatto storico accaduto in Palestina
2015 anni fa. Natale è il momento in cui il Redentore dell’umanità si fa
presente a noi in una culla, chiedendoci di adorarlo come Re e Signore
dell’universo. La Natività è, sotto questo aspetto, uno dei misteri centrali
della nostra fede, la porta che permette di entrare in tutti i misteri di
Cristo.
Papa san Leone Magno (440-461) scrive: «Colui che era invisibile nella
sua natura si è reso visibile nella nostra. L’incomprensibile ha voluto essere
compreso; Lui che è prima del tempo, ha cominciato ad essere nel tempo; il Signore
dell’universo, velando la sua Maestà, ha ricevuto forma di schiavo»
(Sermo in Nativitate Domini, II, § 2).
La manifestazione nella storia del Verbo Incarnato fu anche l’ora del più
grande tripudio degli Angeli. Fin dal momento della loro creazione, all’alba
dell’universo, essi sapevano che Dio si sarebbe fatto uomo e lo avevano adorato,
abbagliante all’interno della Santissima Trinità. Questa Rivelazione aveva
irrimediabilmente separato gli angeli fedeli e quelli ribelli, il cielo e la
terra, i figli della luce e quelli delle tenebre. A Betlemme giunge finalmente
per gli Angeli il momento di prostrarsi di fronte al Divino Infante, causa e
mezzo, come scrive padre Faber, della loro perseveranza.
Le armonie del Gloria in excelsis inondarono
il Cielo e la terra, ma furono udite quella notte solo dalle anime che vivevano
nel distacco dal mondo e nell’amore di Dio. Tra queste erano i Pastori di
Betlemme. Essi non appartenevano alla cerchia dei ricchi e dei potenti, ma
nella solitudine e nelle veglie notturne attorno ai loro greggi, conservavano
la fede di Israele Erano uomini semplici, aperti al meraviglioso, e non si
stupirono dell’apparizione dell’Angelo, il quale facendo sfolgorare su di loro
una luce celeste, disse: «Ascoltate che io vi porto una
buona nuova, di gran gaudio per tutto il popolo, perché è nato oggi a voi il
Salvatore, che è Cristo Signore, nella Città di Davide. Questo sarà per voi il
segno per riconoscerlo e riverirlo: che troverete un Bambino appena nato,
avvolto in fasce che giace in una mangiatoia» (Lc 2, 11-12).
I Pastori seguirono docilmente le indicazioni dell’Angelo e furono guidati
fino alla Grotta, dove trovarono il Bambino nella mangiatoia, con Maria e san
Giuseppe: «Invenerunt Mariam, et Joseph et Infantem positum in Praesepio»
(Lc 2, 16). Ebbero la grazia di essere i primi,
dopo Maria e Giuseppe, ad offrire sulla terra un atto di adorazione esterna al
Bambino di Betlemme. Adorandolo, compresero che nella sua apparente fragilità,
Egli era il Messia promesso, il Re dell’universo. Natale è la prima
affermazione della Regalità di Cristo e la mangiatoia è il suo trono. La
mangiatoia era anche lo scrigno della Civiltà cristiana che nasceva e i Pastori
ne furono i primi profeti. Il programma di questa Civiltà era raccolto nelle
parole che una miriade di Angeli proclamò quella notte: «Sia gloria a Dio nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini
di buona volontà» (Lc 2, 14).
Con immensa gioia, i Pastori andarono ad annunciare ovunque, nei campi e
nei monti, la lieta novella. «Omnes qui audierunt mirati sunt»
(Lc 2, 18), tutti rimasero meravigliati, ma non
tutti si mossero verso la capanna di Betlemme. Molti erano immersi nelle loro
occupazioni e rinunciarono a uno sforzo che avrebbe cambiato la loro vita, nel
tempo e nell’eternità. Tanti altri passarono davanti alla Grotta in quei
giorni, vi si affacciarono forse incuriositi, ma non compresero, o non vollero
comprendere, la meraviglia dell’evento.
Eppure la Regalità del Bambino Gesù fu riconosciuta da alcuni tra gli
uomini più sapienti del tempo. I Magi, Re dell’Oriente, erano uomini i cui
sguardi erano assorti nelle cose celesti, quando nel Cielo apparve loro una
stella. La stella fu per i Magi ciò che l’Angelo era stato per i Pastori: la
voce di Dio che dice di sé «Ego sum stella splendida et matutina»
(Apoc. 22, 16). Anche i Re Magi, come i Pastori, corrisposero
perfettamente all’impulso divino. Essi non furono gli unici a vedere la stella,
e forse non furono gli unici a comprenderne il significato, ma furono i soli a
mettersi in marcia verso Occidente. Altri forse capirono, ma non vollero
abbandonare il loro Paese, le loro dimore, i propri affari.
I Pastori erano vicini, i Magi lontani da Betlemme, ma a entrambi si
applica il principio per cui, chi cerca Dio con purezza di cuore non è mai
abbandonato. Pastori e Magi recarono doni, di diverso valore, ma sia gli uni
che gli altri offrirono il dono più grande che avevano. Essi donarono al santo
Bambino gli occhi, le orecchie, la bocca, il cuore, tutta la loro vita; in una
parola consacrarono il proprio corpo e la propria anima alla Sapienza Incarnata
e lo fecero attraverso le mani di Maria e di Giuseppe, alla presenza di tutta
la Corte celeste.
In questo imitarono la perfetta sottomissione alla Volontà di Dio di Gesù
Bambino, che da Dio-Verbo si è annientato in forma di schiavo della Volontà
divina, e poi si è lasciato condurre per tutti gli stati, fino alla morte di
Croce e alla gloria: non ha scelto i suoi stati, ma ci si è lasciato guidare,
momento per momento, dall’ispirazione della Grazia, come scriveva un mistico
del XVII secolo (Jean-Baptiste Sainte-Jure, Vita di Gaston de Renty,
tr. it. Glossa, Milano 2007, p. 254). La devozione al Santo Bambino è una
devozione in cui si sperimenta un radicale abbandono alla Divina Provvidenza,
perché quel Bambino avvolto nelle fasce è un uomo-Dio che ha annientato la Sua
volontà per fare quella del Padre suo che è nei cieli, e la farà
sottomettendosi a due creature eccelse, ma a Lui sottomesse: la Beatissima
Vergine Maria e san Giuseppe.
Il Santo Natale è il giorno dell’estremo abbandono alla Divina Provvidenza,
ma anche dell’immensa fiducia nei piani misteriosi di Dio. E’ il giorno, scrive
ancora san Leone Magno in cui «il Figlio di Dio è venuto a
distruggere l’opera del diavolo (1 Gv3, 8), il giorno in cui si è unito a noi e ci ha unito a Lui, affinché
l’abbassamento di Dio verso l’umanità sollevi gli uomini fino a Dio»
(In Sermo in Nativitate Domini, VII, § 2). In questo
stesso sermone, san Leone denuncia lo scandalo di coloro che, alla sua epoca,
salendo i gradini della Basilica di San Pietro, mischiavano le preghiere della
Chiesa con invocazioni rivolte agli astri e alla natura: «Che i fedeli – scrive –rigettino
questa abitudine condannevole e perversa, che l’onore dovuto solo a Dio non si
mescoli più con i riti di coloro che adorano le creature. La Santa Scrittura dichiara: “Tu adorerai il
Signore Dio tuo e non servirai che a Lui solo”(Gen. 1, 3) ».
Come non intendere l’attualità di queste parole, mentre sulla facciata
della Basilica di San Pietro si proiettano spettacoli neo-pagani e si celebra
il culto panteista della Natura? In queste ore buie, i cattolici fedeli
continuano ad avere la stessa fiducia che ebbero i Pastori e i Magi che si
avvicinavano al Presepio per contemplare Gesù. Natale giunge, le tenebre in cui
è immerso il mondo saranno dissipate, e i nemici di Dio tremano, perché sanno
che l’ora della disfatta è per essi vicina. Per questo essi odiano il Santo
Natale e per questo noi, con sguardo fiducioso contempliamo il Sacro Bambino
che nasce e gli chiediamo di illuminare le nostre menti nel buio, di riscaldare
i nostri cuori nel freddo, di fortificare le nostre coscienze smarrite nella
notte del nostro tempo.
Bambino Gesù, che venga il tuo Regno!
lunedì 28 dicembre 2015
“Quos Heródis impíetas lactántes matrum ubéribus abstráxit; qui jure dicúntur Mártyrum flores, quos in médio frígore infidelitátis exórtos, velut primas erumpéntes Ecclésiæ gemmas, quædam persecutiónis pruína decóxit” (Sermo sancti Augustíni Epíscopi – Lect. VI – II Noct.) - SANCTORUM INNOCENTIUM MARTYRUM
La
stazione di questo giorno, presso la basilica di San Paolo Apostolo, si ispira
più che alla tradizione che voleva che le reliquie dei santi Innocenti si
conservassero in questo magnifico tempio (oltre che a Santa Maria Maggiore,
sebbene portatevi dalla Basilica di San Paolo), piuttosto al concetto, molto delicato
dell’antichità liturgica, che celebrava sempre le grandi solennità dei suoi cicli
per mezzo di qualche stazione presso le tombe dei santi Pietro e Paolo. Così è,
per es., nelle tre settimane precedenti la Quaresima, così all’epoca degli
scrutinii battesimali; così a Pasqua ed alla Pentecoste. Doveva, perciò, non
essere diversamente per il Natale.
Bisogna
anche tener conto, d’altronde, del fatto che questa stazione a San Paolo in
questo giorno, dopo quella del 25 dicembre a San Pietro, conserva l’ultimo
ricordo di un’antichissima festa in onore dei due principi degli apostoli;
festa che ci è attestata da molti calendari e feriali orientali del IV
sec.
Le più antiche
testimonianze della festa dei santi Innocenti in Occidente, per la verità, sono
i sermoni, che san Pietro Crisologo (+ prima del 451) e di san Cesario di Arles (+ 543) hanno loro
consacrato, così come il calendario di Cartagine, che li annuncia al 28
dicembre. Non
sappiamo a quale epoca Roma accolse gli Innocenti nei suoi fasti liturgici. Qui,
verso il 560-570, il sacramentario di
Verona fornisce due formulari per la messa del natale Innocentium, che viene dopo quella di san Giovanni (evangelista).
Ignota al Filocaliano, già
in questo giorno la festa vi compare nel calendario di Cartagine, nel V-VI
sec., e nei Sacramentari leonino e gelasiano, mentre nel calendario siriaco
essi sono commemorati il 23 settembre. Si trova anche questa festa nel Geronimiano, e poi in tutti i documenti
del VII sec.
I Bizantini ed i copti celebrano il 29
dicembre la memoria dei Bambini massacrati da Erode; i Siriaci lo fanno il 23.
Gli uni e gli altri l’hanno fissata
qualche giorno dopo la Natività di Gesù, in cui essi commemorano con la nascita
del Cristo anche la venuta dei Magi a Betlemme, leggendo nel corso della
liturgia il capitolo 2 del vangelo di Matteo, ivi compreso il testo del
massacro dei bambini. Essi tengono conto così della cronologia degli eventi.
La liturgia ispanica fa lo stesso,
commemorando l’8 gennaio l’allisio Infantum. Si può dunque pensare che a
Roma la festa degli Innocenti (in Oriente, ad Aquilea, in Gallia ed in Spagna, si parla di Infantes; in Africa ed a Roma così come a Ravenna, di Innocentes. Per quanto concerne Ravenna, v. F. Sottocornola, L’anno liturgico nei sermoni di Pietro Crisologo,
Ravenna 1974, p. 234) è stata
ricevuta dall’Oriente, a meno che essa non risalga ad un periodo anteriore all’adozione
dell’Epifania, in cui si sarebbero commemorati il 25 dicembre tutti gli eventi
che ruotano intorno al natale Domini (cfr.
Pierre Jounel,
Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième
siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 330).
Presso gli Armeni, la festa ricorre il
lunedì dopo la II domenica di Pentecoste.
Al
di là delle diverse date della festa, quel che è certo è che il Natale ha
attirato ad esso la festa degli Innocenti massacrati da Erode, così a Roma
questa giornata era contrassegnata dal lutto e dalla penitenza.
Gli
Ordines Romani prescrivevano che il Papa
ed i suoi assistenti rivestissero i paramenti viola, i diaconi ed i suddiaconi
la pænula processionale; il
Pontefice, poi, cingesse la sua testa della semplice mitra di tela bianca (Ordo
Romanus XIII, § 18, in PL 78, col. 1116B). Nell’Ufficio Notturno si
sospendeva il canto del Te Deum, alla
messa quello del Gloria e dell’Alleluja, salvo la domenica, ed i fedeli
si astenevano dagli alimenti grassi o conditi con grassi (cfr. Ordo Romanus
XI, § 26, ivi, col. 1035B). Nel XV sec., la corte pontificia celebrava
tuttavia la festa di questo giorno nella cappella papale, dove si aveva anche l’abitudine
di fare un discorso di circostanza, ma, come deplorano gli Ordines Romani XIV e XV (Ordo Romanus XIV,
§ LXXV, ivi, col. 1195A; Ordo Romanus XV, § XVI, ivi,
col. 1281B), poco a poco la tradizione scomparve.
Forse,
come ieri si voleva celebrare l’Evangelista di Efeso nella basilica di Sicininus (cioè Santa Maria Maggiore),
tra i ricordi del concilio di Efeso, così oggi si scelse di ricordare i pianti
di Rachele sui suoi figli in questa basilica dedicata al più illustre germoglio
della tribù di Beniamino, quasi per ritrovarsi, per così dire, come nella casa
delle vittime innocenti.
Roma
cristiana ha dedicato una cappella a pianta circolare, demolita da papa
Clemente VII, ai Santi Innocenti. Essa, eretta sotto papa Niccolò V, sorgeva
presso il Ponte Sant’Angelo, in ricordo ed espiazione delle vittime del giubileo
del 1450, morte schiacciate sul ponte suddetto per la calca delle persone che
accorrevano a San Pietro (Mariano Armellini, Le
chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana,
Roma 18912, p. 351; Ch. Huelsen, Le
Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 269).
L’antifona
dell’introito proviene dal Sal. 8, invocato precisamente da Gesù, quando i
principi dei sacerdoti lo rimproverarono di aver lasciato i bambini acclamarlo
nel Tempio come Messia.
La
lettura dell’Apocalisse (16, 1-5), dove si parla di centoquarantaquattromila
vergini che cantano in cielo l’epitalamio, il canto nuziale, dello Sposo-Vergine,
ha dato adito, nel Medioevo, ad uno strano equivoco, come se questo numero
simbolico, che designa in generale le dodici tribù di Israele tra le quali l’Agnello
divino coglie i suoi gigli, fosse quello delle innocenti vittime di Beth-lechem.
Sebbene il massacro era stato compiuto, in tutto il suo rigore, nella città di
Davide ed in tutto il suo territorio, è difficile ammettere che abbia potuto
comprendere un così grande numero di bambini. La liturgia non entra per niente
in questo equivoco, prodotto da un’interpretazione troppo materiale del Testo
sacro.
La
lettura del vangelo di Matteo (Mt 2, 13-18) descrive la fuga della santa
Famiglia in Egitto ed il massacro degli Innocenti. Quanto corta è la prudenza
umana! Mentre tenta di andare di traverso alle vie di Dio, è, invece, quello il
momento in cui serve meglio i disegni della divina Provvidenza. Erode vuole uccidere
il Messia neonato: non riesce ed, al contrario, manda nel Limbo, per annunciare
la sua venuta, uno sciame di innocenti piccoli bambini, mentre il Salvatore va
ad illuminare e benedire l’Egitto.
Una
particolarità va segnalata. Prima del 1960, la festa dei santi Innocenti,
quando non cadeva di domenica, era celebrata con paramenti viola, senza il Gloria né l’Alleluja, “perchè il trionfo degli Innocenti non fu subito
completo, avendo dovuto attendere nel Limbo il Salvatore, che loro aprisse la
porte del cielo. Se cade di domenica, invece che è la commemorazione
settimanale della Risurrezione e perciò il coronamento del trionfo degli
Innocenti, si usa il rosso dei Martiri e l’ufficiatura diventa regolare” (Callewaert). La sua ottava era celebrata in rosso, con segni di gioia perché simbolo del compimento della grazia nella beata
visione di Dio. La riforma di
Giovanni XXIII ha soppresso questa particolarità.
La messa è doppia di II classe con Ottava semplice; l’Ottava fu soppressa nel 1955.
La messa è doppia di II classe con Ottava semplice; l’Ottava fu soppressa nel 1955.
Il re Erode nimbato consulta i sommi sacerdoti e gli scribi sul luogo in cui sarebbe nato il Messia - ed ordina la strage degli innocenti, Arco trionfale, V sec. d.C., Basilica di S. Maria Maggiore, Roma. Sul caso del re Erode nimbato ne abbiamo parlato in occasione della festa di S. Edoardo il Confessore |
Guido Reni, Strage degli innocenti, 1611, Pinacoteca Nazionale, Bologna |
Nicholas Poussin, Massacro degli Innocenti, 1620 circa, Musee Conde, Chantilly |
Nicholas Poussin (attrib.), Strage degli innocenti, musée du Petit-Palais, Parigi |
Pacecco de Rosa, Strage degli Innocenti, 1640, Museum of Art, Philadelphia |
Autore lombardo anonimo, Strage degli innocenti, XVII sec., Pinacoteca, Varallo |
Luca Giordano, Strage degli innocenti, 1663, Museo del Prado, Madrid |
Massimo Stanzione, Massacro degli Innocenti, 1630 circa, Museo Capodimonte, Napoli |
Massimo Stanzione, Massacro degli Innocenti, XVII sec. |
Giovan Battista Discepoli (Lo Zoppo da Lugano), La Strage degli Innocenti, XVII sec. |
Marco Benefial, Strage degli innocenti, XVIII sec., Galleria degli Uffizi, Firenze |
Scuola di Bernardo Cavallino, Strage degli innocenti, XVII sec., collezione privata |
Simone Barabino, Strage degli innocenti, XVII sec., collezione privata |
Francesco De Rosa, Strage degli innocenti, XVII sec., museo diocesano, Napoli |
Saverio Dalla Rosa, Strage degli innocenti, 1787, museo diocesano, Verona |
François Joseph Navez, Massacro degli Innocenti, 1824, Metropolitan Museum of Art, New York |
Léon Cogniet, Scena del massacro degli innocenti, 1824, musée des Beaux-Arts, Rennes |
Angelo Visconti, Massacro degli innocenti, 1860-61, Museo Cassioli, Asciano |
Gustave Doré, Il martirio degli innocenti, 1868 circa, collezione privata |
Carl Bloch, Strage degli innocenti, 1875 |
Giacomo Paracca, Strage degli Innocenti, 1587 circa, Cappella XI, Sacro Monte, Varallo |