Torniamo
a parlare del Sinodo, concluso lo scorso ottobre.
Sì,
perché oggi si apprende da fonti al di sopra di ogni sospetto che, in verità,
le conclusioni sinodali erano già state tirate diversi mesi prima del sinodo
stesso. Pare, anzi, che la stessa esortazione post-sinodale era bella e pronta.
Di questo disegno facevano parte i due motu proprio dello scorso 8
settembre e che entreranno in vigore l’8 dicembre.
Sembrava
cosa fatta. Ed invece, no. Ci riferisce la fonte anonima denominata “Pio Pace”
del blog Rorate caeli. Le cose non son andate come speravano i novatores.
Certo, la formulazione ambigua ed equivoca della Relazione finale apre la via
al seguito. Lo abbiamo detto anche noi nell’immediatezza della conclusione dell’assise
sinodale (v. qui). Non illudiamoci, quindi. Ma
almeno il team del card. Baldisseri non ha avuto quell’esplicitazione che
desiderava: ovverosia che la c.d. via penitenziale diventasse la porta d’accesso
alla Comunione dei divorziati risposati. Questo compito è spettato a P.
Spadaro, il quale dalle colonne de La Civiltà cattolica ha spiegato che
i padri sinodali hanno effettivamente gettato le basi per l’accesso ai sacramenti dei divorziati
risposati (per l'articolo di P. Spadaro, v. qui). L'assemblea dell’ottobre 2015 non era altro, dunque, che uno
spettacolo teatrale destinato a preparare l'atto finale che era già stato
scritto: l’esortazione post-sinodale della misericordia e del perdono per
tutti. Il suo messaggio poteva contare sul sostegno unanime dei media secolari,
e della stragrande maggioranza dei media cattolici, che una lunga tolleranza
per il liberalismo inclina naturalmente verso soluzioni compiacenti col mondo.
Conclude Pio Pace, quindi, che ciò che rimangono sono i granellini di sabbia,
ossia quei tredici cardinali che scrissero la famosa lettera, i quali che,
però, da soli, possono inceppare gli ingranaggi delle macchine più oleate (cfr. Exclusive Op-Ed - Pio Pace reveals for Rorate: “The
Post-Synodal Exhortation has been ready since September”, in Rorate caeli, 4.12.2015).
Nel
frattempo, il card. Burke ci ha tenuto a precisare, in replica a P. Spadaro,
che alcuna porta deve essere aperta, per il semplice motivo che non esiste
alcuna porta che possa essere aperta (v. qui).
Non esiste un'altra
pastorale per i divorziati risposati
di Raymond Leo Burke*
Il 28 novembre 2015, nel nuovo
numero de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, direttore
della rivista e padre sinodale, ha presentato un riassunto dei lavori del 14mo
Sinodo Ordinario dei vescovi, dedicato alla vocazione e alla missione della
famiglia (pagg. 372-391). Benché l’autore faccia varie affermazioni sulla
natura e il lavoro del Sinodo dei vescovi, che richiederebbero un più ampio
commento critico in altra sede, una sua affermazione in particolare necessita
di essere commentata immediatamente: “Il Sinodo ha pure volute toccare le
persone e le coppie ferite per accompagnarle e sanarle in un processo di
integrazione e di riconciliazione senza barriere. Circa l’accesso ai sacramenti
dei divorziati risposati civilmente, il Sinodo ha formulato la via del discernimento
e del «foro interno», ponendone le basi e aprendo una porta che invece nel
Sinodo precedente era rimasta chiusa.”
A prescindere dal fatto che le
dichiarazioni pubbliche rilasciate
da diversi padre sinodali affermino l’esatto contrario, cioè: il Sinodo
conserva la pratica costante della Chiesa riguardanti coloro che vivono in
un’unione irregolare. Dato che il testo dei paragrafi dall’84 all’86 del
Rapporto Finale del Sinodo non è molto chiaro sulle verità fondamentali della
fede, la Santa Eucarestia e il Santo Matrimonio, la stessa scarsa chiarezza
emerge ora nelle dichiarazioni pubbliche dei padre sinodali. Il fatto è che il
Sinodo non può spalancare una porta che non esiste e non può esistere, specificamente
un discernimento in coscienza che contraddice la verità sulla assoluta santità
della Santa Eucarestia e l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Il Sinodo,
come la Chiesa, d’altra parte, ha sempre predicato e praticato, ha sempre
voluto mostrare amore verso coloro che si trovano in una situazione in cui non
sono coerenti con gli insegnamenti di Cristo e della Sua Chiesa. L’amore
cristiano per le persone, comunque, non significa “integrazione e
riconciliazione senza barriere”, perché si fonda sulle insostituibili verità di
natura e di grazia e sono ordinate per il bene della persona e dell’intera
comunità. L’amore cristiano accompagna la persona sulla via della penitenza e
della riparazione, così che possa incontrare ancora Cristo nei Sacramenti.
La via del discernimento su cui i
preti accompagnano il penitente che vive in una unione irregolare, è l’assistenza del penitente,
affinché possa conformare ancora la sua coscienza alla verità della Santa
Comunione e alla verità del matrimonio a cui è vincolato. Come la Chiesa ha
sempre coerentemente predicato e praticato, il penitente è accompagnato nel suo
“foro interno” a vivere nella castità, nella fede nel vincolo matrimoniale
esistente anche se apparentemente c’è un’altra vita matrimoniale, in modo da metterlo
in grado di accedere di nuovo ai sacramenti senza dar scandalo. Papa Giovanni
Paolo II descrisse la pratica della Chiesa nel “foro interno” nell’enciclica Familiaris
Consortio (n. 84). La Dichiarazione del Pontificio
Consiglio per i Testi Legislativi del 24 giugno 2000 illustra gli insegnamenti
del paragrafo 84 della Familiaris Consortio. Entrambi i documenti sono citati
nel Rapporto Finale del Sinodo, ma purtroppo in modo ambiguo.
Dare l’impressione che ci sia
un’altra pastorale nel “foro interno”, una che
possa permettere a una persona impegnata in una unione irregolare di avere
accesso ai Sacramenti, è come suggerire che la coscienza possa essere in conflitto
con la verità della fede. Un suggerimento di questo tipo pone chiaramente i
sacerdoti in una situazione insostenibile, l’aspettativa che possano
“spalancare una porta” al penitente che, di fatto, non esiste.
Infine, con il più grave danno
inflitto all’universalità della Chiesa, crea l’aspettativa che il Romano Pontefice possa approvare una pratica
che è in conflitto con le verità della fede. Il Sinodo dei vescovi, coerentemente
con la sua natura e il suo scopo, non può farsi strumento di simili
aspettative.
*Cardinale e
arcivescovo cattolico statunitense, dall'8 novembre 2014 patrono del Sovrano
Militare Ordine di Malta.
Questo commento è apparso
originalmente sul National Catholic Register (traduzione
di Stefano Magni)
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