Nella festa della Transvolazione della Santa Casa a
Loreto, rilancio questo contributo del prof. De Mattei, pubblicato in lingua
inglese dall’immancabile Rorate caeli.
Perugino, Madonna di Loreto tra i SS. Girolamo e Francesco d’Assisi, 1507, Victoria and Albert Museum, Londra |
Caravaggio, Madonna di Loreto o dei pellegrini, 1603-1605, Chiesa di S. Agostino, Roma |
Domenichino, Madonna di Loreto tra i SS. Giovanni Battista, Eligio ed Antonio abate, 1618, North Carolina Museum of Art, Raleigh |
Guercino, S. Bernardino da Siena in preghiera dinanzi alla Vergine di Loreto, 1618, Pinacoteca, Cento |
Antonio Liozzi o Ubaldo Ricci di Fermo, S. Nicola da Tolentino ha la visione la traslazione della S. Casa di Loreto, 1753 circa, Chiesa di S. Michele, Sant’Angelo in Pontano |
Josep Antonio de Ayala, La Famiglia Del Valle ai piedi della Vergine di Loreto con la Trinità ed i SS. Giuseppe e Francesco d'Assisi, 1769, Museo Soumaya, Città del Messico |
Il Sacco di Roma: un castigo misericordioso
di Roberto de Mattei
La Chiesa vive un’epoca di sbandamento dottrinale e morale. Lo scisma è
deflagrato in Germania, ma il Papa non sembra rendersi conto della portata del
dramma. Un gruppo di cardinali e di vescovi propugna la necessità di un accordo
con gli eretici. Come sempre accade nelle ore più gravi della storia, gli
eventi si succedono con estrema rapidità. Domenica 5 maggio 1527, un esercito
calato dalla Lombardia giunse sul Gianicolo.
L’imperatore Carlo V, irato per l’alleanza politica del papa Clemente VII
con il suo avversario, il re di Francia Francesco I, aveva mosso un esercito
contro la capitale della Cristianità. Quella sera il sole tramontò per l’ultima
volta sulle bellezze abbaglianti della Roma rinascimentale. Circa 20 mila
uomini, italiani, spagnoli e tedeschi, tra i quali i mercenari Lanzichenecchi,
di fede luterana, si apprestavano a dare l’attacco alla Città Eterna. Il loro
comandante aveva concesso loro licenza di saccheggio.
Tutta la notte la campana del Campidoglio suonò a storno per chiamare i
romani alle armi, ma era ormai troppo tardi per improvvisare una difesa
efficace. All’alba del 6 maggio, favoriti da una fitta nebbia, i Lanzichenecchi
mossero all’assalto delle mura, tra Sant’Onofrio e Santo Spirito. Le Guardie
svizzere si schierarono attorno all’Obelisco del Vaticano, decise a rimanere
fedeli fino alla morte al loro giuramento. Gli ultimi di loro si immolarono
presso l’altar maggiore della Basilica di San Pietro. La loro resistenza
permise al Papa di riuscire a mettersi in fuga, con alcuni cardinali.
Attraverso il Passetto del Borgo, via di collegamento tra il Vaticano e
Castel Sant’Angelo, Clemente VII raggiunse la fortezza, unico baluardo rimasto
contro il nemico. Dall’alto degli spalti il Papa assisté alla terribile strage
che cominciò con il massacro di coloro che si erano accalcati alle porte del
castello per trovarvi riparo, mentre i malati dell’ospedale di Santo Spirito in
Saxia venivano trucidati a colpi di lancia e di spada.
La licenza illimitata di rubare e di uccidere durò otto giorni e
l’occupazione della città nove mesi. «L’inferno è nulla in confronto
colla veste che Roma adesso presenta», si legge in una relazione
veneta del 10 maggio 1527, riportata da Ludwig von Pastor (Storia dei Papi, Desclée, Roma 1942, vol. IV, 2,
p. 261).
I religiosi furono le principali vittime della furia dei Lanzichenecchi. I
palazzi dei cardinali furono depredati, le chiese profanate, i preti e i monaci
uccisi o fatti schiavi, le monache stuprate e vendute sui mercati. Si videro
oscene parodie di cerimonie religiose, calici da Messa usati per ubriacarsi tra
le bestemmie, ostie sacre arrostite in padella e date in pasto ad animali,
tombe di santi violate, teste degli apostoli, come quella di sant’Andrea, usate
per giocare a palla nelle strade. Un asino fu rivestito di abiti ecclesiastici
e condotto all’altare di una chiesa. Il sacerdote che rifiutò di dargli la
comunione fu fatto a pezzi. La città venne oltraggiata nei suoi simboli religiosi
e nelle sue memorie più sacre (si veda anche André Chastel, Il Sacco di Roma, Einaudi, Torino 1983; Umberto
Roberto, Roma capta. Il Sacco della città dai Galli
ai Lanzichenecchi, Laterza, Bari 2012).
Clemente VII, della famiglia dei Medici non aveva raccolto l’appello del
suo predecessore Adriano VI ad una riforma radicale della Chiesa. Martin Lutero
diffondeva da dieci anni le sue eresie, ma la Roma dei Papi continuava ad
essere immersa nel relativismo e nell’edonismo. Non tutti i romani però erano
corrotti ed effeminati, come sembra credere lo storico Gregorovius. Non lo erano
quei nobili, come Giulio Vallati, Giambattista Savelli e Pierpaolo Tebaldi, che
inalberando uno stendardo con l’insegna “Pro Fide et Patria”,
opposero l’ultima eroica resistenza a Ponte Sisto, né lo erano gli alunni del
Collegio Capranica, che accorsero e morirono a Santo Spirito per difendere il
Papa in pericolo.
A quella ecatombe l’istituto ecclesiastico romano deve il titolo di “Almo”.
Clemente VII si salvò e governò la Chiesa fino al 1534, affrontando dopo lo
scisma luterano quello anglicano, ma assistere al saccheggio della città, senza
nulla poter fare, fu per lui più duro della morte stessa. Il 17 ottobre 1528 le
truppe imperiali abbandonarono una città in rovina.
Un testimone oculare, spagnolo, ci dà un quadro terrificante della
città un mese dopo il Sacco: «A Roma, capitale della
cristianità, non si suona campana alcuna, non sì apre chiesa non si dice una
Messa, non c’è domenica né giorno di festa. Le ricche botteghe dei mercanti
servono per stalle per i cavalli, i più splendidi palazzi sono devastati, molte
case incendiate, di altre spezzate e portate via le porte e finestre, le strade
trasformate in concimaie. È orribile il fetore dei cadaveri: uomini e bestie hanno la medesima sepoltura; nelle chiese ho
visto cadaveri rosi da cani. Io non so con che altro confrontare questo,
fuorché con la distruzione di Gerusalemme. Ora riconosco la giustizia di Dio,
che non dimentica anche se viene tardi. A Roma si commettevano apertissimamente
tutti i peccati: sodomia, simonia, idolatria ipocrisia, inganno; perciò non possiamo
credere che questo non sia avvenuto per caso. Ma per giudizio divino»
(L. von Pastor, Storia dei Papi, cit., p. 278).
Papa Clemente VII commissionò a Michelangelo il Giudizio
universale nella Cappella Sistina quasi per immortalare il dramma o che subì,
in quegli anni, la Chiesa di Roma. Tutti compresero che si trattava di un
castigo del Cielo. Non erano mancati gli avvisi premonitori, come un fulmine
che cadde in Vaticano e la comparsa di un eremita, Brandano da Petroio,
venerato dalle folle come “il pazzo di Cristo”, che nel giorno di giovedì santo
del 1527, mentre Clemente VII benediceva in San Pietro la folla, gridò: «bastardo sodomita, per i tuoi peccati Roma sarà distrutta.
Confessati e convertiti, perché tra 14 giorni l’ira di Dio si abbatterà su di
te e sulla città».
L’anno prima, alla fine di agosto, le armate cristiane erano state
disfatte dagli Ottomani sul campo di Mohacs. Il re d’Ungheria Luigi II
Jagellone morì in battaglia e l’esercito di Solimano il Magnifico occupò Buda.
L’ondata islamica sembrava inarrestabile in Europa. Eppure l’ora del castigo
fu, come sempre l’ora della misericordia. Gli uomini di Chiesa compresero
quanto stoltamente avessero inseguito le lusinghe dei piaceri e del potere.
Dopo il terribile Sacco la vita cambiò profondamente.
La Roma gaudente del Rinascimento si trasformò nella Roma austera
e penitente della Contro-Riforma. Tra coloro che soffrirono nel Sacco di Roma,
fu Gian Matteo Giberti, vescovo di Verona, ma che allora risiedeva a Roma.
Imprigionato dagli assedianti giurò che non avrebbe mai abbandonato la sua
residenza episcopale, se fosse stato liberato. Mantenne la parola, tornò a Verona
e si dedicò con tutte le sue energie alla riforma della sua diocesi, fino alla
morte nel 1543.
San Carlo Borromeo, che sarà poi il modello dei vescovi della
Riforma cattolica si ispirerà al suo esempio. Erano a Roma anche Carlo Carafa e
san Gaetano di Thiene che, nel 1524, avevano fondato l’ordine dei Teatini, un
istituto religioso irriso per la sua posizione dottrinale intransigente e per
l’abbandono alla Divina Provvidenza spinto al punto di aspettare l’elemosina,
senza mai chiederla. I due cofondatori dell’ordine furono imprigionati e
torturati dai Lanzichenecchi e scamparono miracolosamente alla morte.
Quando Carafa divenne cardinale e presidente del primo tribunale
della Sacra romana e universale Inquisizione volle accanto a sé un altro santo,
il padre Michele Ghislieri, domenicano. I due uomini, Carafa e Ghislieri, con i
nomi di Paolo IV e di Pio V, saranno i due Papi per eccellenza della
Contro-Riforma cattolica del XVI secolo. Il Concilio di Trento (1545-1563) e la
vittoria di Lepanto contro i Turchi (1571) dimostrarono che, anche nelle ore
più buie della storia, con l’aiuto di Dio è possibile la rinascita: ma alle
origini di questa rinascita ci fu il castigo purificatore del Sacco di Roma.
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