Può
sembrare incredibile a dirsi ed a pensarsi: oggi la neo-chiesa esalta, a
diversi livelli, la figura del ribelle sacrilego, spergiuro, “riformatore”
Martin Lutero (per ragguagli v. qui).
Sembra
quasi che sia diventato modello ed icona della Chiesa e del cristiano moderno. Persino
Avvenire ne parla in termini entusiasti: ce lo ha evidenziato Chiesa e postconcilio. Ed in una certa qual misura è vero: la
sua incredulità, la sua disperazione, il suo orizzonte privo di salvezza è
davvero immagine del cristiano moderno, che non crede più e che ha una
prospettiva esclusivamente mondana, votata alla ricerca della felicità terrena
(o forse dovremmo dire: piaceri terreni), che rivendica, pure con forza, sul
piano meta-giuridico nel fantomatico “diritto alla felicità”.
Proprio
per questo, la sua, quella di Lutero è una triste icona dell’odierna
cristianità. E fa decisamente senso che la Catholica lo lodi e si mostri
prona a celebrare il V centenario della sua ribellione, visto che tesse gli
elogi di chi verosimilmente è morto disperato ed è dannato, avendo rifiutato
decisamente e convintamente, come abbiamo raccontato altra volta, l’ultima
ancora di salvezza che Dio, nella sua misericordia, gli aveva gettato (v.
qui).
Nella
memoria di S. Tommaso Apostolo, rilancio perciò questo contributo.
LUTERO,
RIVOLUZIONE SENZA APPELLO
di Matteo Carletti
Lutero maestro della fede,
cultore della buona musica, grande riformatore del Cristianesimo? A leggere
l’articolo firmato da Chiara Bertoglio sul sito di Avvenire, sembra
che il monaco tedesco sia questo ed anche di più. Scrive la Bertoglio: «Nella
storia del cristianesimo, c’è stato un teologo di grande importanza […] Un
cristiano appassionato della parola di Dio”. Ed ancora: “Un leader
religioso […] un colto dottore in teologia». A leggere l’elenco di
complimenti impallidirebbe anche il più santo tra i santi. Sarà forse
necessario ricordare
alla Bertoglio cosa insegnano il
Catechismo della Chiesa Cattolica e il Magistero sul monaco ribelle.
La storiografia contemporanea ha
ormai abbandonato quasi del tutto l’espressione “Controriforma” di anti – luterana memoria in quanto immagine
falsata di una chiesa considerata dal monaco tedesco (e da buona parte della
propaganda modernista) retriva e oscurantista, contraria a qualsiasi tentativo
di rinnovamento. In realtà oggi si parla, per lo più, di Riforma Cattolica,
intendendo con essa la grande stagione riformista che ha attraversato il XVI
secolo ed è culminata con il Concilio di Trento. Di certo è vero che la spinta
luterana ha scosso la Chiesa dalle fondamenta favorendone il rinnovamento. È
però solamente all’interno di questo rapporto che trova giustificazione la sua
dimensione indicata come “Controriforma”, anche perché, semplicemente, in
Lutero non albergava nessuna idea riformista.
Ad Avvenire sarà
forse sfuggito che le idee del «colto dottore in teologia» siano già state
giudicate eretiche, non solo da Papa Leone X con la bolla “Exsurge Domine” del
15 giugno 1520, nella quale si condannano 41 proposizioni luterane (bolla
peraltro che il «teologo di grande importanza» bruciò con gran disprezzo
davanti ai suoi studenti), ma anche dal magistero di San Pio X, che nel
Catechismo Maggiore definisce il Protestantesimo come «la grande eresia
prodotta e divulgata principalmente da Lutero e da Calvino». «Questi novatori –
prosegue San Pio X – col respingere la Tradizione divina riducendo tutta la
rivelazione alla S. Scrittura, e col sottrarre la S. Scrittura medesima al
legittimo magistero della Chiesa, per darla insensatamente alla libera
interpretazione dello spirito privato di ciascheduno, demolirono tutti i
fondamenti della fede, esposero i Libri Santi alla profanazione della
presunzione e dell’ignoranza, ed aprirono l’adito a tutti gli errori».
La Chiesa, Madre e Maestra,
arrivò ad affermare con il Papa della Pascendi che
«Il protestantesimo o religione riformata […] è la somma di tutte le eresie,
che furono prima di esso, che sono state dopo, e che potranno nascere ancora a
fare strage delle anime». Ora se si può imputare a papa Leone X una certa
fretta nel giudicare un fenomeno che forse andava meditato nel tempo, ciò non
si può certamente dire di Pio X, il quale muove parole di fuoco quattrocento
anni dopo la nascita della “chiesa” protestante, dopo avendone constatato gli
effetti e le terribili conseguenze per la fede. Cosa sia cambiato nel XX secolo
tale da indurre ripensamenti così radicali circa i protestanti è mistero che
avvolge certe alte (e basse…) sfere dell’ecumenismo nostrano. Cosa poi oggi di
quelle eresie i protestanti disconoscano, tanto da essere chiamati “fratelli
separati”, è altrettanto misterioso. Il fatto è che pare ci si trovi di fronte
ad un fenomeno opposto: invece di ricondurre sulla via della Verità coloro che
l’hanno abbandonata si sdoganano per vere idee e posizioni già condannate,
rischiando di creare confusione sul piano della Dottrina e della prassi. Non è
un caso che Gerard Muller, Prefetto per la Dottrina della Fede, in un recente
discorso tenuto ai vescovi del Cile, abbia ricordato come si debba far
attenzione affinché la Chiesa non si abbandoni ad una certa “deriva
protestante”.
Anche l’ex Prefetto poi divenuto
Papa Joseph Ratzinger, nel suo ormai noto libro intervista con Vittorio Messori “Rapporto sulla fede”, metteva già in guardia dal
fenomeno della “protestantizzazione” della Chiesa Cattolica nel 1984. «Chi oggi
parla di “protestantizzazione” della Chiesa cattolica, – sosteneva Ratzinger –
intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo
della Chiesa, un’altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo
di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio
agitato in qualche ambiente integrista». Deriva che certo non può essere
fermata incensando troppo colui che ha combattuto la Chiesa come istituzione
divina, i Sacramenti, la Tradizione e l’insostituibile necessità della ragione
umana. Confidiamo che la “febbre” ecumenica che pare stia colpendo diversi
apparati della Chiesa, possa comprendere che il dialogo è si possibile e
necessario, purché si eviti di perdere “pezzi” di Verità che Dio stesso ha dato
ai suoi pastori. La Verità, che è Cristo, è una ed essa non ci è stata Rivelata
come la somma delle “verità”. Ci conforta una sola certezza: la Verità non può
perdere, la Verità ha già vinto il mondo. Per quanti sforzi si possano fare, il
risultato non potrà che essere scontato.
Nessun commento:
Posta un commento