Rilancio
volentieri, in questo periodo di Ottava di Natale e nella memoria di S. Tommaso
Becket, vescovo e martire, quest’interessante contributo del sempre impeccabile
prof. Roberto de Mattei, tradotto in inglese da Rorate caeli.
S. Tommaso, Chiesa di Saint Gervais, Rouen |
Mosaico di S. Tommaso Becket tra i SS. Silvestro, Lorenzo e Nicola, 1180 circa, Cattedrale, Monreale. Il Santo vescovo ebbe diversi contatti con la Sicilia, che gli rimase legata anche dopo il martirio (v. qui). |
NATALE: l’ora della fiducia nella notte del mondo
di Roberto de Mattei
Il Santo Natale non è solo una tradizione culturale dell’Occidente o la
semplice memoria, cara ai cristiani, di un fatto storico accaduto in Palestina
2015 anni fa. Natale è il momento in cui il Redentore dell’umanità si fa
presente a noi in una culla, chiedendoci di adorarlo come Re e Signore
dell’universo. La Natività è, sotto questo aspetto, uno dei misteri centrali
della nostra fede, la porta che permette di entrare in tutti i misteri di
Cristo.
Papa san Leone Magno (440-461) scrive: «Colui che era invisibile nella
sua natura si è reso visibile nella nostra. L’incomprensibile ha voluto essere
compreso; Lui che è prima del tempo, ha cominciato ad essere nel tempo; il Signore
dell’universo, velando la sua Maestà, ha ricevuto forma di schiavo»
(Sermo in Nativitate Domini, II, § 2).
La manifestazione nella storia del Verbo Incarnato fu anche l’ora del più
grande tripudio degli Angeli. Fin dal momento della loro creazione, all’alba
dell’universo, essi sapevano che Dio si sarebbe fatto uomo e lo avevano adorato,
abbagliante all’interno della Santissima Trinità. Questa Rivelazione aveva
irrimediabilmente separato gli angeli fedeli e quelli ribelli, il cielo e la
terra, i figli della luce e quelli delle tenebre. A Betlemme giunge finalmente
per gli Angeli il momento di prostrarsi di fronte al Divino Infante, causa e
mezzo, come scrive padre Faber, della loro perseveranza.
Le armonie del Gloria in excelsis inondarono
il Cielo e la terra, ma furono udite quella notte solo dalle anime che vivevano
nel distacco dal mondo e nell’amore di Dio. Tra queste erano i Pastori di
Betlemme. Essi non appartenevano alla cerchia dei ricchi e dei potenti, ma
nella solitudine e nelle veglie notturne attorno ai loro greggi, conservavano
la fede di Israele Erano uomini semplici, aperti al meraviglioso, e non si
stupirono dell’apparizione dell’Angelo, il quale facendo sfolgorare su di loro
una luce celeste, disse: «Ascoltate che io vi porto una
buona nuova, di gran gaudio per tutto il popolo, perché è nato oggi a voi il
Salvatore, che è Cristo Signore, nella Città di Davide. Questo sarà per voi il
segno per riconoscerlo e riverirlo: che troverete un Bambino appena nato,
avvolto in fasce che giace in una mangiatoia» (Lc 2, 11-12).
I Pastori seguirono docilmente le indicazioni dell’Angelo e furono guidati
fino alla Grotta, dove trovarono il Bambino nella mangiatoia, con Maria e san
Giuseppe: «Invenerunt Mariam, et Joseph et Infantem positum in Praesepio»
(Lc 2, 16). Ebbero la grazia di essere i primi,
dopo Maria e Giuseppe, ad offrire sulla terra un atto di adorazione esterna al
Bambino di Betlemme. Adorandolo, compresero che nella sua apparente fragilità,
Egli era il Messia promesso, il Re dell’universo. Natale è la prima
affermazione della Regalità di Cristo e la mangiatoia è il suo trono. La
mangiatoia era anche lo scrigno della Civiltà cristiana che nasceva e i Pastori
ne furono i primi profeti. Il programma di questa Civiltà era raccolto nelle
parole che una miriade di Angeli proclamò quella notte: «Sia gloria a Dio nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini
di buona volontà» (Lc 2, 14).
Con immensa gioia, i Pastori andarono ad annunciare ovunque, nei campi e
nei monti, la lieta novella. «Omnes qui audierunt mirati sunt»
(Lc 2, 18), tutti rimasero meravigliati, ma non
tutti si mossero verso la capanna di Betlemme. Molti erano immersi nelle loro
occupazioni e rinunciarono a uno sforzo che avrebbe cambiato la loro vita, nel
tempo e nell’eternità. Tanti altri passarono davanti alla Grotta in quei
giorni, vi si affacciarono forse incuriositi, ma non compresero, o non vollero
comprendere, la meraviglia dell’evento.
Eppure la Regalità del Bambino Gesù fu riconosciuta da alcuni tra gli
uomini più sapienti del tempo. I Magi, Re dell’Oriente, erano uomini i cui
sguardi erano assorti nelle cose celesti, quando nel Cielo apparve loro una
stella. La stella fu per i Magi ciò che l’Angelo era stato per i Pastori: la
voce di Dio che dice di sé «Ego sum stella splendida et matutina»
(Apoc. 22, 16). Anche i Re Magi, come i Pastori, corrisposero
perfettamente all’impulso divino. Essi non furono gli unici a vedere la stella,
e forse non furono gli unici a comprenderne il significato, ma furono i soli a
mettersi in marcia verso Occidente. Altri forse capirono, ma non vollero
abbandonare il loro Paese, le loro dimore, i propri affari.
I Pastori erano vicini, i Magi lontani da Betlemme, ma a entrambi si
applica il principio per cui, chi cerca Dio con purezza di cuore non è mai
abbandonato. Pastori e Magi recarono doni, di diverso valore, ma sia gli uni
che gli altri offrirono il dono più grande che avevano. Essi donarono al santo
Bambino gli occhi, le orecchie, la bocca, il cuore, tutta la loro vita; in una
parola consacrarono il proprio corpo e la propria anima alla Sapienza Incarnata
e lo fecero attraverso le mani di Maria e di Giuseppe, alla presenza di tutta
la Corte celeste.
In questo imitarono la perfetta sottomissione alla Volontà di Dio di Gesù
Bambino, che da Dio-Verbo si è annientato in forma di schiavo della Volontà
divina, e poi si è lasciato condurre per tutti gli stati, fino alla morte di
Croce e alla gloria: non ha scelto i suoi stati, ma ci si è lasciato guidare,
momento per momento, dall’ispirazione della Grazia, come scriveva un mistico
del XVII secolo (Jean-Baptiste Sainte-Jure, Vita di Gaston de Renty,
tr. it. Glossa, Milano 2007, p. 254). La devozione al Santo Bambino è una
devozione in cui si sperimenta un radicale abbandono alla Divina Provvidenza,
perché quel Bambino avvolto nelle fasce è un uomo-Dio che ha annientato la Sua
volontà per fare quella del Padre suo che è nei cieli, e la farà
sottomettendosi a due creature eccelse, ma a Lui sottomesse: la Beatissima
Vergine Maria e san Giuseppe.
Il Santo Natale è il giorno dell’estremo abbandono alla Divina Provvidenza,
ma anche dell’immensa fiducia nei piani misteriosi di Dio. E’ il giorno, scrive
ancora san Leone Magno in cui «il Figlio di Dio è venuto a
distruggere l’opera del diavolo (1 Gv3, 8), il giorno in cui si è unito a noi e ci ha unito a Lui, affinché
l’abbassamento di Dio verso l’umanità sollevi gli uomini fino a Dio»
(In Sermo in Nativitate Domini, VII, § 2). In questo
stesso sermone, san Leone denuncia lo scandalo di coloro che, alla sua epoca,
salendo i gradini della Basilica di San Pietro, mischiavano le preghiere della
Chiesa con invocazioni rivolte agli astri e alla natura: «Che i fedeli – scrive –rigettino
questa abitudine condannevole e perversa, che l’onore dovuto solo a Dio non si
mescoli più con i riti di coloro che adorano le creature. La Santa Scrittura dichiara: “Tu adorerai il
Signore Dio tuo e non servirai che a Lui solo”(Gen. 1, 3) ».
Come non intendere l’attualità di queste parole, mentre sulla facciata
della Basilica di San Pietro si proiettano spettacoli neo-pagani e si celebra
il culto panteista della Natura? In queste ore buie, i cattolici fedeli
continuano ad avere la stessa fiducia che ebbero i Pastori e i Magi che si
avvicinavano al Presepio per contemplare Gesù. Natale giunge, le tenebre in cui
è immerso il mondo saranno dissipate, e i nemici di Dio tremano, perché sanno
che l’ora della disfatta è per essi vicina. Per questo essi odiano il Santo
Natale e per questo noi, con sguardo fiducioso contempliamo il Sacro Bambino
che nasce e gli chiediamo di illuminare le nostre menti nel buio, di riscaldare
i nostri cuori nel freddo, di fortificare le nostre coscienze smarrite nella
notte del nostro tempo.
Bambino Gesù, che venga il tuo Regno!
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