Del grande Santo Arcivescovo di Milano
Ambrogio abbiamo più volte parlato.
Un recente saggio dimostra come l’insigne
Dottore intendesse il vero significato della misericordia, ben distante da
quello modernista, a buon mercato, senza pentimento e riparazione per il male
commesso.
Nella Vigilia anticipata della festa di
S. Tommaso Apostolo, rilancio questo contributo.
Sant’Ambrogio di Milano e Teodosio: una
storia di vera misericordia
di Cristiana de Magistris
Quando, nel IV secolo, la sede
episcopale di Milano si rese vacante, Ambrogio, ancora neofita e prefetto della
città, fu eletto vescovo da quel popolo che, agitato per l’elezione, era andato
a sedare. Battezzato, ordinato presbitero e poi vescovo, Ambrogio difese la
Chiesa dalla falsa scienza degli Ariani, opponendo con la sicurezza della sua
dottrina un valido baluardo ai progressi dell’errore del tempo.
Per la fermezza intransigente dei suoi
scritti e delle sue parole, per la strenua difesa dell’unica verità che salva e
della libertà della Chiesa, la sua vita fu minacciata più volte dai seguaci
dell’eresia da lui combattuta. Ma egli non temeva, perché – scrive Dom
Guéranger – «per difendere l’eredità della Chiesa era pronto a versare il
sangue». Alcuni cortigiani ardirono accusarlo di tirannide presso
il principe. Rispose: «No, i vescovi non sono tiranni, ma piuttosto da parte dei tiranni
essi hanno dovuto spesso soffrire persecuzioni».
L’eunuco Calligone, ciambellano di
Valentiniano II, osò dire ad Ambrogio: «Come, me vivente, tu osi disprezzare Valentiniano? Io ti spaccherò
il capo». «Che Dio te lo permetta! – rispose Ambrogio – Io soffrirò allora ciò che
soffrono i Vescovi e tu avrai fatto ciò che sanno fare gli eunuchi».
Tale era Ambrogio di Milano. Come tutti i veri Santi, sapeva coniugare
perfettamente dolcezza e fermezza, amore alla verità e condanna dell’errore, o
– in breve – giustizia e misericordia. Emblematico a tal riguardo fu il suo
singolare rapporto con l’imperatore Teodosio, di cui Ambrogio fu grande amico e
personale consigliere.
Grazie all’Editto di Milano con cui,
nel 382, proclamò il Cristianesimo religione di Stato, Teodosio è considerato l’imperatore
cristiano per antonomasia. Oltre a ciò, godeva della speciale stima del Vescovo
di Milano perché testimoniava senza reticenze la sua fede anche sotto le
insegne imperiali. Ma nel 390 le truppe dell’imperatore soppressero una rivolta
uccidendo oltre 7000 persone in quella che è passata alla storia come la strage
di Tessalonica. Di questo atto esecrando Ambrogio ritenne responsabile lo
stesso Teodosio, al quale si narra abbia vietato l’ingresso in chiesa
intimandogli di pentirsi e di fare penitenza.
Ambrogio non era un uomo intransigente.
«Non
sempre bisogna infierire contro quelli che hanno peccato – aveva scritto –; spesso la clemenza giova di più: a te ad acquistare pazienza, e al
peccatore a correggersi» (In Lucam 7,
27). E neppure amava farsi censore delle autorità. Anzi, affermava che non si
debbono riprendere se non in casi gravissimi. «Guarda – scriveva – che i re non devono essere temerariamente attaccati dai profeti di
Dio e dai sacerdoti se non ci sono peccati molto gravi di cui debbano essere
accusati; laddove ci sono, allora non si deve scusare ma correggere con giusti
rimproveri» (Commento al Salmo 37,
43). Fu appunto il caso di Teodosio dopo il massacro di Tessalonica. E proprio
in quel frangente Ambrogio riesce a congiungere l’esigenza della riparazione al
perdono del peccato mediante quella discrezione cristiana che solo i veri
Pastori sanno esercitare.
Il 25 dicembre 390 Sant'Ambrogio, Arcivescovo di Milano, costringe a pubblica penitenza l'imperatore Teodosio |
Lo esorta allora alla preghiera, che
può essere un’offerta umile e a Dio molto gradita: «Anche la semplice preghiera è
un sacrificio: genera il perdono poiché contiene l’umiltà (…). Infatti, Dio
dice che preferisce che si osservino i suoi comandamenti più che l’offerta del
sacrificio. Questo proclama Dio, questo Mosè annuncia al popolo, Paolo predica
alle genti. Fa’ ciò che al momento capisci essere più gradito. “Preferisco”,
dice Dio, “la misericordia al sacrificio”. Non sono forse più cristiani quelli
che condannano il loro peccato di quelli che credono di doverlo giustificare?».
E se pure vi fossero peccati che non possono essere lavati con le lacrime del
proprio pentimento – scriverà in altra occasione Ambrogio con memorabile
eloquenza – «piangerà per te la madre Chiesa, che interviene per ciascuno come
una madre vedova per il figlio unico. Essa, infatti, prova compassione, per una
specie di connaturato spirituale dolore, quando vede i suoi figli avviarsi alla
morte per dei vizi mortali» (In Lucam 5,
92).
Teodosio obbedì al Pastore del quale
poi disse: «Non c’è che un vescovo al mondo: Ambrogio». E il suo
sincero pentimento gli meritò da parte del Vescovo di Milano un tal plauso come
pochi se ne leggono negli annali della storia: «Sì – disse
il santo Vescovo nell’elogio funebre dell’imperatore –, ho amato questo uomo che preferì ai suoi adulatori colui che lo
riprendeva. Gettò a terra tutte le insegne delle dignità imperiali, pianse
pubblicamente nella Chiesa il peccato nel quale lo si era perfidamente
trascinato, e ne implorò il perdono con lacrime e gemiti. Semplici cortigiani
si lasciano distogliere dalla vergogna, e un imperatore non ha arrossito di
compiere la penitenza pubblica, e da allora in poi non un sol giorno passò per
lui senza che avesse deplorato la sua mancanza».
Ambrogio ebbe vivissimo il senso del
peccato perché aveva compreso a fondo la misericordia di Dio. A tal punto da
fare della misericordia l’unica chiave per comprendere l’eterno piano salvifico
di Dio. «Sant’Ambrogio –
scrive il Cardinal Biffi – è sicuro che l’uomo deve essere
salvato; il suo è un ottimismo teologico che non ignora affatto il peccato e la
sua gravità. Ma nel suo ottimismo Ambrogio si spinge più lontano di tutti:
secondo lui, la stessa nostra miseria nativa fa parte di un progetto di
elevazione, sicché c’è, paradossalmente, qualcosa di positivo nella colpa, dal
momento che Dio la vede come premessa necessaria alla manifestazione della
misericordia, misericordia che per Ambrogio è il senso ultimo e la ragione
decisiva di tutta l’azione creatrice».
Nel suo Hexaemeron, Ambrogio aveva scritto: «Ringrazio il Signore Dio nostro
che ha creato un’opera così meravigliosa nella quale trovare il suo riposo.
Creò il cielo, e non leggo che si sia riposato; creò la terra, e non leggo che
si sia riposato; creò il sole, la luna e le stelle, e non leggo che si sia
riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che, a questo punto, si è riposato,
avendo un essere cui rimettere i peccati». Finalmente Dio aveva
trovato quello che voleva, un uomo da poter perdonare. «Da questo – scrive ancora il cardinal Biffi – non si può dedurre che si può peccare, anzi fare quanti più
peccati possibile in modo da essere perdonati: al contrario, si deve dedurre la
necessità di pentirsi, di fare tanti atti di pentimento in modo che la
misericordia del Signore possa arrivare a toccarci. Siamo stati creati per
mezzo di Cristo e per mezzo di Cristo siamo stati redenti».
Per questa necessità del pentimento,
Ambrogio, quando ascoltava la confessione dei peccatori, versava tante lacrime
che costringeva a piangere insieme con lui chi era venuto a confessare le
proprie colpe. «Sembrava –
scriveva il suo biografo Paolino – che egli stesso fosse caduto
insieme con chi era venuto meno». Così pregava, a questo proposito,
il grande Vescovo: «Ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto,
concedimi, o Dio, di provarne compassione e di non rimproverarlo
altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che mentre piango su un altro, io
pianga su me stesso».
Alla cristianità postmoderna che ha
smarrito il senso del peccato e pare comprendere solo il linguaggio evanescente
di una indefinibile e fluttuante misericordia, Ambrogio di Milano ha molto da
insegnare. Ma forse il messaggio più attuale del Santo Vescovo di Milano è dato
dall’aver centrato perfettamente l’amore del prossimo, che oggi pare oscurare l’amore
di Dio in nome di una sempre più stravagante misericordia. Il nostro “primo
prossimo” è il Signore Gesù che non è lontano da nessun uomo, anzi è il più
vicino perché è da Lui che riceviamo la misericordia.
«Egli –
dice Ambrogio – è il prossimo, il prossimo di
tutti: Lui che a tutti elargì misericordia togliendo il peccato del mondo.
Gesù, se possiamo concederci una sdrammatizzatura, è il più prossimo. Perciò
quando si parla del precetto dell’amore non bisogna mettere in contrasto l’amore
per Cristo e l’amore per il prossimo perché in realtà anche l’amore per Cristo
è l’amore per il prossimo. Perché Lui è prossimo prima e più di ogni altro.
Siccome nessuno è maggiormente prossimo di Colui che guarì le nostre ferite,
amiamolo sì come Signore, ma amiamolo anche come prossimo. Niente, infatti, è
tanto prossimo quanto il Capo alle membra». È per amore di questo
Capo che Ambrogio indusse misericordiosamente Teodosio a penitenza e lo riportò
all’ovile dell’unico Pastore.
Fonte: Corrispondenza romana, 16.12.2015
Fonte: Corrispondenza romana, 16.12.2015
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