In diverse occasioni abbiamo lamentato come la Francia, sazia
del suo laicismo, si avvii inesorabilmente verso la propria rovina (culturale,
morale, sociale e politica) dinanzi all’avanzata di islam forte e compatto
ideologicamente e religiosamente. Di quella Francia, ormai priva di anticorpi
in grado di resistere ad un impatto con una cultura forte quale quella
musulmana, dicevamo che era praticamente spacciata e prossima alla rovina. Non
era - la nostra - una visione millenarista o catastrofista, ma una semplice
constatazione disincantata e crudamente realista su una nazione incapace di
reagire proprio perché ha tagliato (quasi) del tutto le proprie radici,
abbandonandosi ad un pensiero decadente e debole, privo di un’identità forte.
Eppure la Francia, ad un tempo fille aînée de l’Eglise, figlia
primogenita e prediletta della Chiesa, sembrava - come indicato da molti -
avviata oltre alla rovina sopra indicata anche alla definizione sradicazione
della fede cristiana da quelle terre (cfr. Giulio Meotti, Cattolici
adieu, in Il
Foglio, 27.1.2014).
Sulla condizione della Francia ci sono molte profezie. Tra
queste particolarmente confortante è quella della Venerabile Marta Robin: «La
Francia scenderà fino in fondo all’abisso, fino al punto in cui non si vedrà
più alcuna soluzione umana, né alcuna speranza di risollevarsi. Resterà
totalmente sola, abbandonata da tutte le altre nazioni, che volgeranno altrove
lo sguardo, dopo averla condotta alla perdizione. Non resterà a lungo in questo
estremo limite, sarà salvata, ma non dalle armi né dal genio degli uomini,
perché non resterà logo alcun mezzo umano. … La Francia sarà salvata, perché il
Buon Dio interverrà grazie alla S. Vergine. È lei che salverà la Francia e il
mondo. … Il Buon Dio interverrà grazie all’intercessione della S. Vergine e per
mezzo dello Spirito Santo. Ci sarà un’era nuova e, a partire da quel momento,
si realizzerà la profezia del profeta Isaia sull’unione dei cuori e l’unità dei
popoli. … Dopo questo nuovo “avvento” dello Spirito Santo, che si manifesterà
in modo del tutto particolare in Francia, questa realizzerà veramente la sua
missione di figlia primogenita della Chiesa e la prova, purificandola, le
renderà il suo titolo perduto» (Bernard
Peyrous, Vita
di Marthe Robin, Effetà Editrice, Cantalupa 2009, p. 134). Profezie non
molto diverse sono state formulate anche dalla carmelitana di origine libanese
Santa Mariam Baouardy e dal mistico vietnamita servo di Dio Marcel Nguyễn Tân Văn (ibidem).
Significativo è che la Chiesa in Francia, che è seme di una rinnovata società civile, passi attraverso giovani generazioni. Più silenziosi, molto più silenziosi, rispetto ai laicisti ed alla propaganda ateistica di Stato. Sono come piccoli semi e giovani virgulti, lontani dai salotti intellettuali, e che dovranno crescere pur tra mille difficoltà. Questo, oltre ad essere segno di resistenza in un generale contesto di decadente debolezza, è, tuttavia, la miglior garanzia per una risorgenza morale e spirituale francese. Ed al contempo il segno che la fede cristiana in terra francese, anche se parrà soccombere stretta tra l’islam ed il laicismo, non potrà essere sradicata.
Significativo è che la Chiesa in Francia, che è seme di una rinnovata società civile, passi attraverso giovani generazioni. Più silenziosi, molto più silenziosi, rispetto ai laicisti ed alla propaganda ateistica di Stato. Sono come piccoli semi e giovani virgulti, lontani dai salotti intellettuali, e che dovranno crescere pur tra mille difficoltà. Questo, oltre ad essere segno di resistenza in un generale contesto di decadente debolezza, è, tuttavia, la miglior garanzia per una risorgenza morale e spirituale francese. Ed al contempo il segno che la fede cristiana in terra francese, anche se parrà soccombere stretta tra l’islam ed il laicismo, non potrà essere sradicata.
Toh, un Cristo è risorto
Chi l’avrebbe mai detto? Nella Francia martoriata dal
terrorismo islamico affiora un nuovo cattolicesimo, per nulla salottiero, unico
antidoto al laicismo esasperato
di Matteo Matzuzzi
I cattolici non erano spariti, basti pensare alle oceaniche adunate di giovani accovacciati a Notre-Dame per la messa degli studenti |
“Sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale” (Benedetto XVI, 26 settembre 2009)
Scherzava
ma neanche tanto, Vittorio Messori, quando qualche tempo fa disse che non era
un caso se la Madonna aveva scelto Lourdes e una giovinetta semianalfabeta per
palesarsi. Insomma, apparire a Castel Gandolfo non avrebbe forse avuto l’impatto
che ebbe nella Francia indelebilmente segnata dalla tempesta rivoluzionaria. E
non è una semplice coincidenza se i vescovi d’Oltralpe, ogni volta che debbono
riunirsi per sgranare il rosario delle chiese chiuse o demolite, analizzare le
statistiche della partecipazione alla messa domenicale o per stilare comunicati
in risposta al politico di turno che vorrebbe togliere la croce occitana dal
gonfalone di Tolosa, si ritrovino a due passi dalla grotta ove Maria apparve a
Bernadette. Quasi fosse una supplica alla Vergine perché li aiuti a
rievangelizzare una terra che pure un tempo era la figlia prediletta della
chiesa e che ora è divisa tra i casermoni delle banlieue che paiono piccole
enclave d’Arabia in Europa e la pulizia neutralista che mira a sradicare ogni
parvenza di cristianesimo insita nella storia francese.
Eppure
qualcosa si muove, o quantomeno i segni di un’inversione di tendenza, nel
popolo fedele – ridotto nei numeri ma assai fervente – iniziano a intravedersi.
Il Figaro, qualche settimana fa, pubblicava un dossier in cui si parlava senza
remore di “rivoluzione” (seppur silenziosa) in atto, sottolineando un’acclarata
e sempre più evidente “dinamicità” del cattolicesimo cosiddetto ortodosso.
Frenava gli entusiasmi il sociologo Yann Raison du Cleuziou, autore nel 2014 di
un saggio dal titolo che più esplicito non si potrebbe (Qui sont les cathos
aujourd’hui?, Desclée De Brouwer), quando sosteneva che “tutti gli indicatori
mostrano che il declino c’è e che la sola religione in crescita è l’islam”.
Però, ammetteva, “sta mutando il rapporto di forze all’interno della chiesa”. E
il cambiamento si concretizza nell’affermarsi dei “neocattolici”, capaci di
prendere il sopravvento sui “cattolici d’apertura”.
Distinzione
prettamente francese, che va ben oltre il vecchio e consunto schema che tendeva
a dividere progressisti da una parte e tradizionalisti dall’altra, come fossero
i buoni e i cattivi nel Giudizio universale michelangiolesco. La galassia, ha
scritto Eugénie Bastié, è troppo eterogenea per ridurre tutto a vetusti cliché.
Lo riconoscono anche i cattolici della gauche, seppur con fastidio e a
malincuore, nostalgici del “cattolicesimo da café” e della stagione che aveva
nel cardinale François Marty il proprio leader spirituale: “Oggi, tutto il
cattolicesimo sociale è accusato di essere responsabile della crisi più
generale del cattolicesimo ed è altresì imputato di non riconoscere
pubblicamente che esso stesso è il responsabile della perdita d’influenza del
cattolicesimo” nel mondo, scriveva già un anno fa Vincent Soulage, militante
socialista, consigliere municipale a Nanterre fino al 2008, docente di storia e
ben introdotto tra i cosiddetti cattolici di sinistra.
Pare finito il tempo delle grandi aperture – per qualcuno, cedimenti – allo zeitgeist, allo spirito del tempo; così come sembra essere stata posta la pietra tombale sulla stagione degli edotti dialoghi tra maître à penser di gran fama ma poco accessibili al resto della massa cattolica. “Per i ‘nuovi cattolici’ dialogare non significa ascoltare gli intellettuali laici e rispondere annuendo, non dicendo nulla che possa offendere gli altri”, osserva Samuel Gregg sul Catholic World Report. Non si vuole più dialogare con il mondo: lo si vuole sfidare.
Pare finito il tempo delle grandi aperture – per qualcuno, cedimenti – allo zeitgeist, allo spirito del tempo; così come sembra essere stata posta la pietra tombale sulla stagione degli edotti dialoghi tra maître à penser di gran fama ma poco accessibili al resto della massa cattolica. “Per i ‘nuovi cattolici’ dialogare non significa ascoltare gli intellettuali laici e rispondere annuendo, non dicendo nulla che possa offendere gli altri”, osserva Samuel Gregg sul Catholic World Report. Non si vuole più dialogare con il mondo: lo si vuole sfidare.
C’è ora
una combinazione di “vecchio e nuovo”, nota ancora Gregg, che appare sulla
scena virtuale, a cominciare dalla tv: accanto a figure del calibro di Rémi
Brague o Pierre Manent, si trova la brillantezza di un Fabrice Hadjadj, che per
spiegare quanto sia fondamentale il matrimonio tra uomo e donna, scrive nel suo
ultimo libro (Ma che cos’è una famiglia?, Edizioni Ares) che “il mio ombelico
come cicatrice e il mio pene come indice mi manifestano che sono grazie a un
altro e per un altro, che posso compiermi solo con l’altro e anche nell’altro –
non sviluppandomi ma fruttificando, cioè dando nascita a un altro (figlio) con
un’altra (donna)”. Certo, osserva ancora Gregg, la bein-pensance, il
politicamente corretto, continua a soffocare la vita culturale francese.
Cultura che è ancora dominata da una sinistra che tende a etichettare i suoi
critici come reazionari o qualcosa cui la parola ‘fobico’ può servire come
suffisso. Il punto, però, è che per l’opinione pubblica i cattolici sono meno
intimiditi da ciò. E questo è un contesto con il quale i pensatori laici francesi
non sono avvezzi ad avere a che fare”. Il motore della rivoluzione (o
rinascimento) sono i giovani, che magari non sanno neppure chi è monsignor
Georges Pontier, il presidente della Conferenza episcopale nazionale, ma sanno
tutto dell’abbé Pierre-Hervé Grosjean, parroco di Saint-Cyr-l’Ecole, attivissimo
sui social network, ex scout (come i tre quarti degli attuali seminaristi
francesi) e, soprattutto, sempre col colletto alla romana e non di rado in
talare nera. Cosa che ha interdetto una nazione intera, sospettosa verso quei
segni così familiari ai lefebvriani, forti oltralpe. Colletto e sottana, “portati
come se fosse cosa ovvia in un mondo che cristiano non lo è più”. È lui,
Grosjean, ad aver fornito l’immagine migliore sul nuovo corso: “Prima, il
cristianesimo era un’evidenza. Adesso è divenuto una causa da difendere”.
Pare
essere questa la chiave del successo, l’alchimia speciale tra la tradizione e
la modernità, tra l’ancoraggio alla città degli uomini e il rigore in dottrina.
Le comunità sorgono ovunque, come Noé 3.0, Nouveaux Outils pour l’Evangélisation,
progetto organizzato dal cardinale Philippe Barbarin a Lione – vero epicentro
della rinascita – e che ha avuto il battesimo ufficiale con l’iniziativa
#Erbilight, la festa delle luci celebrata da una delegazione di lionesi nell’Iraq
martoriato dalle persecuzioni. La leader, Natalia Trouiller, è riuscita nell’impresa
di far diventare tendenza su Twitter l’hastag #quaresima. Ora sorride: “I
cattolici francesi ce ne hanno messo di tempo per realizzare che sono una
minoranza. Oggi qui non si respira più un’aria cristiana. E quando uno è
minoritario, ha bisogno di armi: fare lobby è una, internet è un’altra”.
Lapalissiano, e pure facile a dirsi. Eppure i risultati si vedono, nonostante i
numeri, freddi e costanti da decenni, diano il senso di un’agonia: il 56 per
cento dei francesi è battezzato, ma a messa la domenica ci va solo il 6 per
cento. Sono trent’anni che va così, si fa sapere. Ma i cattolici in Francia non
erano spariti, basti pensare alle affollate messe domenicali (ove non è raro
sentir cantare in gregoriano) nel sud del paese, realtà più restia a farsi
contagiare dalle cicliche folate novatrici nordeuropee che almeno da mezzo secolo
propugnano un lifting alle strutture e alla pastorale cattolica. Sono un dato
di fatto pure le oceaniche adunate di giovani accovacciati a Notre-Dame de
Paris per la messa degli studenti e i cinquantamila ragazzi che nel 2011
andarono a Madrid per la Giornata mondiale della Gioventù (a Cracovia, il
prossimo luglio, dovrebbero essere sessantamila). Il fatto è che si era come
chiusi, quasi costretti a stare nelle catacombe, osservava il Figaro. Specie
nelle regioni del nord, Parigi inclusa. Una presenza sterile nella società e di
fatto invisibile.
L’ha
capito per tempo anche l’arcivescovo della capitale, il cardinale André
Vingt-Trois, che dodici mesi fa presentò – in occasione dell’Avvento – un
programma di iniziative e manifestazioni affidate ai giovani per “andare a
incontrare i nostri contemporanei”. Basta salotti e più strada per “testimoniare
la fede”. Solo marketing, storceva il naso chi poco si rallegrava nel vedere i
banchetti tra un café e un bistrot, nel quartiere latino piuttosto che a
Montmartre. Diceva un parroco parigino al Monde che solo i ragazzi possono
salvare la situazione, loro che sono “meno succubi del complesso di non sapere
parlare bene della fede” che ha annichilito le generazioni precedenti. “I
cattolici non sempre sono ricevuti bene”, ma è venuto il tempo di “esprimere
ciò che sono e ciò in cui credono”. E il vicario diocesano, richiamando proprio
la frattura lamentata dagli intellò gauchisti, diceva che è finito il tempo “in
cui la fede è esclusivamente qualcosa da vivere nell’ambito privato”, come
perorato dai cathos d’ouverture. Proprio a questo proposito, è di un
anno fa il dibattito avviato dal periodico La Vie su quella che il sito Chretiens
de Gauche, cristiani di sinistra, ha definito “la frattura fondamentale che
attraversa oggi il cattolicesimo”. Ci sono, si legge, due criteri per
classificare i cattolici. Il primo è il rapporto con il mondo, il secondo è l’importanza
da dare alla religione nella sfera pubblica. Quanto al punto iniziale, la
domanda è: “La nostra religione deve difendere una tradizione plurisecolare o è
capace di aprirsi al mondo e dialogare con esso?”. In secondo luogo, la
constatazione che la fede non occupa solamente un posto centrale nella propria
vita, ma anche la rivendicazione che la religione deve intervenire nella vita
sociale.
“È la
posizione integralista”, sentenziava Chretiens de Gauche. Una visione
opposta a quella dei “marginalisti”, secondo i quali la religione va vissuta
nella sfera privata. In sostanza, “i cattolici d’apertura si pongono nella
linea del Vaticano II, che consiste nel considerare come indispensabile e
positiva l’apertura alla modernità”. Si tratta, faceva intendere padre
Christian Mellon, promotore de “La politique una bonne nouvelle” e
strenuo difensore dell’apertura al mondo, di quell’orientamento secondo cui il
cattolico deve stare nel mondo, anche se in modo discreto. L’opposto, insomma,
della strategia perseguita per decenni dall’Action catholique, quella
della quasi totale invisibilità. L’importante, chiosava Mellon, è che “l’etichetta
cattolica non sia esibita come una bandiera per fermare il cambiamento”. Poi c’è,
dall’altra parte, il “cattolicesimo d’identità”, radicato nel magistero di
Giovanni Paolo II, che “vuole riaffermare il proprio posto nella società” e
privilegia certe questioni quali famiglia, bioetica e difesa della vita “a
detrimento delle questioni sociali”, puntualizzano i detrattori d’oltralpe. Ma
l’analisi non spiega perché a farsi largo nella minoranza cattolica francese
siano i “nuovi”.
Lo
scrittore e giornalista Jean Sevillia ricordava tempo fa che “è dagli anni
Ottanta che assistiamo alla scomparsa dei cosiddetti cristiani di sinistra”, in
particolare da quando Karol Wojtyla mandò sulla cattedra episcopale parigina
Jean Marie Lustiger, ebreo convertito che vide morire la madre e la sorella ad
Auschwitz. Lo chiamavano “il bulldozer”, per la sua capacità di tradurre in
atti le parole d’ordine del Papa polacco, pur declinandole in una versione
prettamente transalpina. Ma è altrettanto vero che “molti anziani preti hanno
conservato quella mentalità” degli anni Sessanta e Settanta. Se oltre a ciò si
considera poi che la Francia ha schiere intere di teologi “apparentemente
ansiosi di svuotare la fede cattolica di ogni contenuto morale” con il mantra
di non “sparare sentenze (eccezion fatta, naturalmente, sulle questioni ambientali
ed economiche)”, si comprende perché i gruppi religiosi di fresca creazione,
attivi e immersi nella società, riscontrino più successo tra i giovani
cresciuti sotto il pontificato giovanpaolino. La loro stessa presenza e
vitalità conferma quanto fosse stato profetico il teologo gesuita Gaston
Fessard in un libro uscito postumo nel 1979, Eglise de France, prends garde
de perdre la foi!. Fessard demoliva la politica sociale dell’episcopato
francese attuata nel decennio precedente. Parlava di una chiesa naïf che aveva
sposato un programma ideologico di sinistra, con una tendenza a distorcere la
fede in una ideologia socialista e marxista. Ammoniva che, proseguendo su tale
strada, la Francia avrebbe perso la propria anima, arrendendosi all’acquiescenza
allo spirito del tempo. Solo una ventata d’aria fresca avrebbe potuto invertire
il corso della storia.
Fonte: Il Foglio, 7.12.2015
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