Nella memoria di S. Giovanni, apostolo ed evangelista,
e nel ricordo dell’inizio delle Apparizioni del Signore (27 dicembre 1673) nel
monastero della Visitazione di Paray-le-Monial a Santa Margherita Maria
Alacoque, rilancio quest’interessante recensione di Cristina Siccardi.
Alonso Cano (attrib.), S. Giovanni a Patmos, XVII sec., museo del Prado, Madrid |
Domenichino, S. Giovanni evangelista, 1621-29, National Gallery, Londra |
Domenichino, S. Giovanni evangelista, XVII sec., Bob Jones University, Greenville |
Fyodor Antonovich Moller (Фёдор Антонович Моллер), S. Giovanni predica durante i baccanali a Patmos, 1856, Museo di Stato Russo, San Pietroburgo |
Icona del Santo Apostolo Giovanni il Teologo, XIX sec. |
Alexander Kapitonovich Sytov, S. Giovanni il Teologo, 1995 |
Andrei Mironov, S. Giovanni il Teologo e S. Procoro, 2015, collezione privata |
Gesù maestro tra i SS. Giovanni evangelista e Paolo apostolo |
Un libro di Giovanni Turco: Costituzione e Tradizione
di Cristina Siccardi
Essendo l’Universo ordinato secondo criteri e principi, anche le società
umane, piccole o grandi che siano, sono obbligatoriamente tenute a stabilire
criteri e principi di convivenza e di relazionalità. Quando le costituzioni
umane rispettano e si ricollegano alla Costituzione naturale, allora esse sono
ordinamenti non creati a nuovo (rivoluzionari), ma connaturate, ovvero
scaturiscono in maniera naturale e logica.
La «Costituzione naturale», scrive uno dei filosofi più
credibili e più logici dell’età contemporanea, «non dipende da nessuna opinione. La sua negazione comporta
l’esclusione della “cosa”. Dalla sua evacuazione non può che derivare una
apparenza della res publica, ovvero un suo simulacro, il quale presenta una
continuità puramente nominale con la sostanza in luogo della quale è posto. In
tal senso, la Costituzione naturale rinvia alla politicità ed alla giuridicità
naturale della comunità politica, cioè all’ordine secondo giustizia finalizzato
al bene comune». La citazione è tratta (p. 7) da Costituzione e Tradizione (Edizioni Scientifiche),
libro di fresca pubblicazione, scritto dal Professor Giovanni Turco, docente
all’Università di Udine, dove insegna Diritto pubblico, Etica e deontologia
professionale, Teoria dei diritti umani.
Il filosofo cristiano, che ha lasciato il più ampio e approfondito corpus intorno al tema della legge naturale, è San
Tommaso d’Aquino. La Summa Theologica è
una cattedrale di pensiero fondata sulla consapevolezza che la lex humana, il cosiddetto «diritto positivo» dell’età
moderna, deve essere posta in rapporto con le fonti di diritto superiore,
ovvero la lex naturalis e la lex divina. In San Tommaso le tre fonti (legge divina –
legge naturale – legge umana) si compenetrano in un disegno nel quale l’uomo
partecipa del piano divino per la salvezza.
Il diritto naturale per San Tommaso deve essere calato, nella realtà
mutevole terrena, con saggezza, sapienza e competenze di ordine tecnico e
strumentale. I principi primi del diritto naturale sono auto-evidenti, infatti
sono principia indemostrabilia naturaliter cognita, ossia,
seppure indimostrabili, sono colti immediatamente dall’intelletto.
La prima fonte della Giustizia, per il Dottore Angelico, è la ragione
divina, che dà luogo alla legge divina e guida verso la beatitudine eterna e a
questa l’uomo è tenuto a sottoporsi con umiltà. La seconda fonte di Giustizia è
la legge naturale, conoscibile per mezzo della ragione e fondata su principi
universali, comuni a tutti gli uomini. La legge umana è tenuta a basarsi sia
sulla legge divina che su quella di natura. I doveri che la legge di natura
impone possono, però, essere compiuti solo con il «libero arbitrio»,
cioè da persone libere e consapevoli. Ancora, secondo San Tommaso, la ragione riconosce
il bene e la legge di natura corrisponde alla naturale inclinazione verso il
bene.
La legge di natura, quindi, non è direttamente la volontà di Dio, ma è il
modo attraverso il quale il singolo individuo partecipa al piano di Dio per
l’umanità. La dottrina del diritto naturale ha accompagnato il pensiero
occidentale fin dai suoi albori. Essa è stata decisiva prima nel favorire la
fusione della cultura greca con quella romana e poi fra quella classica e
quella cristiana nell’età del Medioevo. Con l’età moderna l’antropocentrismo è
divenuto, in pratica, la fonte principale e, con il trascorrere del tempo,
sempre più esclusiva, oggi unica. Ecco che è sorto e si è sviluppato da un lato
il costituzionalismo e, dall’altro, le ideologie dominanti delle Rivoluzioni
d’America e di Francia, che sono diventate le fonti del diritto attuale degli
Stati.
Afferma Giovanni Turco: «Il costituzionalismo, per se
stesso, si palesa come una concezione che elabora una determinata nozione di
Costituzione. Si tratta della nozione moderna – ovvero razionalizzata o meglio
razionalistica – di Costituzione. Ne è testimone la Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), la quale afferma
che “ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la
separazione dei poteri determinata, non ha costituzione” (art. 16)»
(p. 11).
Pertanto la Costituzione come norma convenzionale, assume come postulati:
la divisione dei poteri e quella dei diritti dell’uomo. Il costituzionalismo si
presenta come ideologia, ovvero come «pensiero strumentale ad un
obiettivo prassiologico (il controllo e la limitazione del potere), attraverso
cui garantire la tutela di diritti (intesi come ambiti di potere, riconosciuti
come tali dal potere stesso) (…) Il costituzionalismo si configura, pertanto,
come discorso sul potere, assunto come creatore del diritto (identificato con
il complesso delle norme) o in altri termini, come dottrina, per la quale
(secondo l’espressione montesquieuana), il potere limita il potere. (…) Il
potere ne costituisce la premessa (nella sua supposta sovranità) e ne
costituisce il termine (nei risultati costituzionali da ottenere). Talché il potere è limitato nei modi e nelle forme che il potere
stesso stabilisce, con le procedure e con gli obiettivi che il potere stesso
stabilisce. (…) In questa prospettiva, i diritti e le libertà non costituiscono,
in realtà, un prius, ma un posterius. Pur se teoricamente supposti, essi finiscono per essere non un
criterio ma un risultato. Come tale mutevole e provvisorio (anche solo per via
interpretativa). Infatti, intesi razionalisticamente i diritti, mutando la norma
agendi, non può che mutare parimenti anche la facultas
agendi, che da quella deriva. Sul presupposto della reciproca immanenza
di potere e volere (individuale o collettivo, che sia) non si dà criterio che
trascenda il potere stesso, reso attuale dalla sua effettività» (pp.
12-13).
Molto altro si potrebbe dire, ma le esplicazioni di Turco sono così
interessanti e pregnanti che devono essere lette direttamente, senza barriere
interpretative che ne svilirebbero non solo la consistenza, ma la bellezza
dell’esposizione stessa e la bellezza è strumento indispensabile per catturare
l’attenzione di un pubblico anche non interessato a determinate questioni.
L’autore è in grado di spiegare al meglio e con tesi convincenti –
attraverso anche un fraseggiare filosofico che non si limita a girare intorno
agli argomenti proposti, ma che punta sempre verso la sostanza dei contenuti –
le derive del costituzionalismo a cui sono giunti i pensieri politici contemporanei
e, dunque, alle loro applicazioni legislative, amministrative e giuridiche.
Ecco che Turco recupera il concetto di Tradizione legato alle tematiche
suddette ed oggi recuperare la Tradizione significa recuperare il senno perduto
e porre ordine in un caos politico e culturale di proporzioni tragiche.
Recuperare la Tradizione significa recuperare il pensiero di San Tommaso
d’Aquino che rende evidente la stabilità dei giudizi secondo ragione: «Nessuna consuetudine (e nessuna legge positiva) può rendere lecito
l’illecito, o viceversa (come nel caso della poligamia e della poliandrias, o
della simonia). La richiesta di una prestazione in nome di una consuetudine
contraria al diritto naturale ed al diritto divino, rende la stessa invalida ed
inesigibile (ovvero intrinsecamente iniqua). Nessuna consuetudine, quindi, può
sciogliere qualcuno da ciò che è dovuto in virtù del diritto naturale e del
diritto divino» (p. 127).
Interessantissimo e di grande attualità tutto il discorso inerente le
consuetudini rette, corrotte, virtuose e viziose. Le consuetudini malvagie
portano alla corruzione morale, anche a quelle più abominevoli, queste «possono giungere fino all’effetto al peccato, tali da essere volte
permanentemente a nuocere» (p. 129). Nell’elenco dei peccati
contemporanei, compresi quelli contro natura, l’autore annovera, e gliene siamo
decisamente grati, anche la corruzione e la falsificazione dell’interpretazione
della Sacra Bibbia.
Il libro, oltre a proporre un’analisi della nozione di Costituzione e del
postcostituzionalismo contemporaneo, esamina il concetto di Tradizione, al di
là della riduzione sociologistica, attualmente di moda, che ne sterilizza il
giudizio sul contenuto, presentando due capitoli di approfondimento sul significato
della Tradizione del filosofo aquinate, un esame che costituisce un’assoluta
novità nella letteratura internazionale sul tema.
Attraverso questo saggio è possibile mettere ordine nei propri pensieri, e
comprendere che senza memoria storica è impossibile il reale bene comune: la
prima è imprescindibile per intendere e perseguire il secondo. Valga, come
esempio, gli attuali dibattiti sulle tradizioni natalizie. È meglio privarsi
del Presepio per “rispettare” gli altri (il negativo «rispetto umano», che
rigetta il rispetto a Dio e il «timor di Dio») o andare fieri delle proprie
tradizioni, che costituiscono l’ossatura del Nostro Patrimonio ereditato e,
dunque, della nostra stessa esistenza?
Fonte: Corrispondenza romana, 16.12.2015
Fonte: Corrispondenza romana, 16.12.2015
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