Come noto, domani 30 gennaio, si svolgerà a Roma la manifestazione
delle famiglie contrarie al d.d.l. Cirinnà bis, noto come Family Day.
A questa manifestazione parteciperanno diverse sigle
cattoliche, tra le quali anche il popolo del Summorum Pontificum e la stessa
Fraternità San Pio X. Tuttavia sebbene sia giusto per un cattolico opporsi all’innovazione
legislativa che si vorrebbe introdurre, è forse bene ricordare che quest’opposizione
non è soltanto contraria all’introduzione, nell’ordinamento italiano, della
c.d. stepchild adoption, bensì è più ampia ed estesa. Bisogna chiarire
la questione.
In effetti, per un cattolico, non si tratta di scegliere
tra un male maggiore (l’introduzione dell’adozione anche per le coppie
omosessuali) ed uno minore (il riconoscimento civile delle unioni civili).
Entrambe le ipotesi sono inaccettabili e, come mali, sono da porsi sullo stesso
piano. In altre parole, non vi è scelta tra diverse gradazioni di male, bensì
di opporsi al male tout court.
Perché? Per il semplice motivo che chi sostiene questo,
e cioè “riconoscimento sì, adozione no”, semplicemente ignora o non conosce l’ordinamento
italiano. In verità, quella che con termine anglosassone si chiama stepchild
adoption (oggi va molto di moda usare termini anglosassoni!), ma che potremmo
definire come “adozione del figliastro” o adozione in casi particolari, è già
nota dal 1983. La l. 4.5.1983 n. 184 – che regola in Italia l’istituto
dell’adozione del minore - permette l'adozione del figlio del coniuge, purché
vi sia il consenso del genitore biologico ed a condizione che l'adozione corrisponda
all'interesse del figlio (cfr. artt. 44 ss.). È previsto anche il consenso di
quest’ultimo qualora abbia già compiuto i 14 anni. Nel caso sia tra i 12 e i 14
anni d'età, il Giudice è tenuto ad ascoltare il minore e tener conto dei suoi desideri
ed aspirazioni (art. 45). Dunque, quest’istituto già esiste nel nostro
ordinamento. Non è una novità e vale per le coppie coniugate e, dunque,
eterosessuali. La proposta Cirinnà, sebbene non etichetti le unioni come
“matrimoni” (ma è solo una questione di etichetta!!!), in realtà estende i
diritti derivanti dal matrimonio, o almeno molti di questi, anche alle semplici
unioni civili, comprese quelle tra persone dello stesso sesso. Pertanto, con la
novella che si vorrebbe introdurre de facto i partner sarebbe assimilabili
ai coniugi e, dunque, ben potrebbero a loro applicarsi le norme previste dalla
legge sull’adozione. La limitazione che si vorrebbe imporre, e cioè quella che
solo le unioni eterosessuali possano ricorrere alla stepchild, potrebbe
presentare problemi di costituzionalità, in quanto le coppie omosessuali si
troverebbero discriminate e, dunque, penalizzate. Il ricorso alla
Consulta sarebbe inevitabile, la quale – vista anche la sua attuale
composizione a preponderante maggioranza laicista – senz’altro dichiarerebbe
l’incostituzionalità della norma nella parte in cui non permettesse anche alle
coppie omosessuali il ricorso all’adozione ex artt. 44 ss. l. 184/1983.
Dunque, quest’istituto, escluso dal legislatore, vi rientrerebbe per via giurisprudenziale
…. Un po’ come successo per la legge sulla fecondazione artificiale, la l. n. 40/2004,
che oggi è stata praticamente scardinata per via di picconate assestate dal
Giudice delle leggi e dalla giurisprudenza. Perciò, il problema sarebbe – nel
caso dell’esclusione dello stepchild – semplicemente rimandato nel
tempo, giammai risolto, e per giunta affidato alla mano dei giudici –
costituzionali in primis. Ecco perché non è condivisibile la soluzione “riconoscimento
sì, adozione no”, atteso che è sostanzialmente un boomerang, che rischia
di far rientrare nel breve-medio periodo ciò che si vorrebbe escludere.
Insomma, un’illusione o, se preferiamo, una falsa opposizione.
Un cattolico, perciò, non potrà che esprimere la
propria radicale e totale opposizione a questo progetto, ivi incluso, soprattutto,
il riconoscimento delle unioni civili (l’adozione ne è una diretta conseguenza!).
Peraltro tale riconoscimento “dei diritti” è solo una questione ideologica e
formale, visto che la giurisprudenza ha riconosciuto alle unioni civili, c.d.
unioni di fatto o more uxorio oggi esistenti, pressoché gli stessi
diritti che il d.d.l. Cirinnà bis - nel tempo ci sono state circa
cinquanta proposte di legge in tal senso (v. qui) - vorrebbe attribuire
o riattribuire (v. qui, qui e qui. Cfr. anche qui e qui, ove si ricorda come
taluni diritti dei conviventi semplicemente devono passare attraverso la
formalizzazione di appositi contratti o clausole negoziali, il che
coerentemente con la natura di fatto dell’unione). A che pro dunque una
legge? Al solo scopo di equiparare al matrimonio (che per un cattolico è anche
un sacramento) le unioni civili. Una volta riconosciuti i medesimi diritti,
verrà meno anche l’etichetta. Questa sarebbe la strada, che si vorrebbe far
percorrere all’Italia. Per rendersene conto, basta guardare all’esperienza
francese dove, introdotto il PACS nel 1999, dopo una decina d’anni, nel
2013, non si sono avute remore a passare al matrimonio vero e proprio essendosi
i francesi abituati all’idea che i pattisti fossero dei veri e propri coniugi
con i medesimi diritti derivanti dal matrimonio e che quindi fosse inutile
mantenere una distinzione tra etichette. La stessa cosa avverrà in Italia: si
inizia con le unioni civili e si finirà ineluttabilmente tra una decina d’anni
ad un vero e proprio matrimonio. Un
motivo in più per un cattolico di opporvisi senza compromessi di sorta sulla
legge morale, senza se e senza ma, non potendosi accettare alcun accomodamento,
che peraltro suonerebbe da presa in giro, come cercato sinteticamente di
illustrare.
Ecco perché un cattolico dovrebbe partecipare al Family
Day con la puntualizzazione che egli deve dissociarsi anticipatamente da
qualsiasi lettura “compromissoria” o “del male minore”, che dovesse darsi dagli
organizzatori o dai vescovi (v. qui), e che fosse in contrasto con la legge morale non
solo riguardo ai minori, ma anche e soprattutto riguardo al riconoscimento
legislativo di siffatte unioni parafamiliari.
Mons. Galantino col ministro Boschi |
FAMILY DAY: il “non possumus” del popolo cattolico
di Lupo Glori
Il Family Dayche si terrà a Roma il prossimo sabato 30 gennaio,
per protestare contro il ddl Cirinnà, che giovedì 28 gennaio approderà in Aula
al Senato per la decisiva discussione generale, sta raccogliendo un numero di
adesioni superiore alle aspettative da parte di tutto il mondo, non solo
cattolico, schierato a difesa della famiglia.
Nella grande area del Circo Massimo si raduneranno migliaia di
associazioni, di gruppi e di famiglie, provenienti da tutta Italia per
manifestare la propria ferma opposizione alle unioni civili e all’istituto
della cosiddetta stepchild adoption, previsti dal
disegno di legge n. 2081, Regolamentazione delle unioni
civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.
La straordinaria mobilitazione nazionale di questi giorni contro il ddl Cirinnà
ha fatto sorgere spontaneo l’inevitabile paragone con il Family Day del 2007, indetto per affossare i
cosiddetti DICO e dare una spallata decisiva all’allora governo Prodi.
Tuttavia, le differenze tra ieri ed oggi sono profonde e la manifestazione
del prossimo 30 gennaio non sarà una fotocopia di quella del 12 maggio 2007. A
distanza di quasi dieci anni i rapporti di forza in campo sembrano infatti
essersi clamorosamente capovolti, così che, se nel 2007 era stata la Chiesa,
attraverso le sue più autorevoli istituzioni, a chiamare a raccolta il popolo
cattolico per scendere in piazza contro un disegno di legge inaccettabile,
oggi, i ruoli si sono paradossalmente rovesciati e, dopo le prove generali di
piazza San Giovanni del 20 giugno, è lo stesso popolo cattolico a rivolgere un
accorato “non possumus” alle gerarchie ecclesiastiche,
invitandole a scendere in piazza a loro fianco.
Un evidente e brusco cambio di rotta messo in evidenza da Agostino
Giovagnoli suLa Repubblica, il quale ha sottolineato tale inedito
movimento dal basso, scrivendo: «Nel 2007, mentre era papa
Benedetto XVI, la regia del Family day fu di Camillo Ruini, Presidente della Cei; alle associazioni
del laicato cattolico fu imposto di partecipare; oratore di quella giornata fu
Savino Pezzotta che era stato relatore ufficiale al Convegno nazionale della
Chiesa italiana l’anno prima; l’obiettivo era affossare i Dico. La Chiesa italiana, insomma, scese in campo, serrando le fila,
in nome di valori morali non negoziabili ma combattendo una battaglia politica.
La manifestazione del prossimo 30 gennaio, invece, non è voluta dalla Cei e su
di essa i vescovi hanno espresso opinioni diverse. Le associazioni cattoliche
non sono obbligate a partecipare e infatti solo alcune saranno presenti. Realtà
ecclesiali come il Movimento dei Focolari hanno espresso perplessità e
Comunione e Liberazione non ha preso posizione. L’Associazione Scienza e Vita
non aderisce ma alcuni suoi rappresentanti saranno presenti».
Per una giornata, che si preannuncia storica, diverse associazioni
metteranno da parte le loro discordanti visioni “strategiche”, circa la linea
d’azione da seguire per contrastare l’apparentemente inarrestabile processo
rivoluzionario, e scenderanno unite in piazza per far sentire forte la propria
voce e affermare il valore fondamentale dell’istituto famigliare naturale
fondato sul matrimonio indissolubile tra un uomo ed una donna, nucleo primario
di formazione dell’uomo e cellula vitale di ogni società.
Tra coloro che hanno espresso la loro adesione critica al Family Day, segnaliamo alcune associazioni che da sempre
si contraddistinguono, nella battaglia culturale in atto, per una difesa ferma
ed integrale della verità: l’Associazione Famiglia Domani,Il Cammino dei Tre Sentieri, il Comitato Verità e Vita.
L’ Associazione Famiglia Domani, nel suo comunicato
stampa, ha dichiarato la sua adesione al Family Day del
30 gennaio, specificando però come essa non possa prescindere da un NO totale
al ddl Cirinnà: «in primo luogo NO alle unioni civili di
qualsiasi forma e in secondo luogo NO alla “stepchild adoption”».
L’associazione, che ha il suo storico fondatore nel marchese Luigi Coda
Nunziante (1930-2015), ha inoltre espresso le proprie perplessità riguardo
l’eccessiva concentrazione del dibattito sul ddl Cirinnà attorno al «pur giusto diritto del bambino ad aver una madre ed un padre, oggi
minacciato dall’adozione dei minori all’interno delle coppie dello stesso sesso
e da istituti differenti quali la stepchild adoption, l’affido “rafforzato” e l’utero in affitto». Una
posizione di lotta alquanto discutibile, che «rischia di tacere
sull’inaccettabile approvazione delle unioni civili, in qualsiasi modo esse
vengano declinate, sia appellandosi ai presunti diritti delle persone
omosessuali in quanto tali, sia al falso principio della non-discriminazione».
Per queste ragioni, Famiglia Domani «rifiuta in toto il disegno di legge Cirinnà ed afferma con forza
come la salvaguardia della famiglia sia inscindibile da una difesa totale ed
integrale della verità e dell’ordine naturale e cristiano».
Anche il Cammino dei Tre Sentieri, diretto
dal prof. Corrado Gnerre, fornisce alcune doverose indicazioni ai propri amici
che si apprestano a recarsi a Roma, precisando come «alcuni
noti esponenti del Family Day (tra cui lo stesso portavoce, Massimo Gandolfini)
si sono espressi come non contrari ad un disegno di legge che riconosca
legalmente le unioni omosessuali, purché non presentino alcuna equiparazione al
matrimonio». Una posizione prosegue il testo, «ovviamente non condivisibile né sul piano morale né su quello più
specificamente “strategico” ˗ dal momento che ˗riconosciute le
cosiddette “unioni civili”, il passo verso il diritto alla filiazione da parte
delle coppie omosessuali sarà quanto mai breve e del tutto consequenziale». Tuttavia, tale dissenso “strategico” non
compromette l’adesione dell’associazione alla manifestazione in quanto scopo
principale del Family Day, secondo le
dichiarazioni degli organizzatori, è il rifiuto totale del “ddl “Cirinnà” ed
inoltre esso rappresenta «l’unica possibilità concreta
per esprimere in maniera chiara e con adeguata risonanza mediatica il proprio
dissenso nei confronti del DDL».
Un’altra valorosa associazione, il Comitato Verità e Vita,
fondato dal compianto Mario Palmaro (1968-2014) ed oggi diretto dal dott.
Angelo Francesco Filardo, aderisce al Family Day,
ribadendo il «valore fondamentale della famiglia nata dal matrimonio di un uomo
e di una donna». Il Comitato lancia un vero e proprio appello al
mondo politico affinché ogni singolo senatore e deputato «respinga in toto il ddl Cirinnà con ogni sua probabile eventuale
modifica ed ogni ddl sulle unioni civili che anche implicitamente (con velato
rimando a norme che regolano il matrimonio) possa equiparare od offrire ai
giudici creativi la possibilità di equiparare le unioni civili al matrimonio,
votando NO anche ad un eventuale voto di fiducia posto dal Governo».
Rivolgendosi a tutti i parlamentari cattolici, Verità e Vita, sottolinea come sia preferibile una
crisi di governo all’introduzione nel nostro ordinamento di una legge che
porterebbe alla distruzione della famiglia, cellula primaria della società: «Riteniamo, meno disastroso per l’Italia, per l’Europa e per tutto
il genere umano far cadere il Governo che contribuire con il proprio voto o con
la propria non partecipazione al voto alla distruzione della famiglia, cellula
fondamentale ed insostituibile di ogni società in ogni tempo e luogo!».
Il filo conduttore che accomuna le posizioni espresse nei tre comunicati è
il netto rifiuto di qualsiasi compromesso con i nemici dell’ordine naturale e
cristiano. Una visione per la quale, un’efficace opposizione alla deriva
nichilista contemporanea non può, in alcun modo, prescindere da una difesa
della verità che sia totale ed integrale. Per questa ragione, le tre
associazioni invitano tutti i propri amici e sostenitori a recarsi a Roma il
prossimo 30 gennaio per affermare, senza cedimenti e senza compromessi, il
proprio NO assoluto all’iniquo disegno di legge Cirinnà.
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