Come rendere il culto autentico a
Dio?
Ce lo spiega in una pagina
magisteriale l’allora card. Ratzinger.
Nella festa della Conversione di
san Paolo Apostolo, rilancio questo contributo.
Battesimo di Paolo, 1140-70, cappella Palatina, Palermo |
Giorgio Vasari, S. Paolo condotto da S. Anania, 1550 circa, Cappella Ciocchi del Monte, Chiesa di S. Pietro in Montorio, Roma |
Maestro anonimo, Conversione di S. Paolo, XVI sec., National Gallery, Londra |
Karel Dujardin, La conversione di S. Paolo, 1662, National Gallery, Londra |
Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio, Conversione di S. Paolo, XVII sec., Chiesa di S. Paolo, Fiastra |
Giovanni Battista Trotti detto il Malosso, Conversione di S. Paolo, XVII sec., Chiesa di S. Giovanni Battista, Torno |
Sebastiano Taricco, S. Anania ridona la vista a S. Paolo, XVII sec. |
Jacopo Palma il Giovane, Conversione di S. Paolo, 1590-95, museo del Prado, Madrid |
Bartolomé Esteban Murillo, Conversione di S. Paolo, 1675-82, museo del Prado, Madrid |
Il
culto autentico a Dio
di Joseph Ratzinger
«L’uomo non può «farsi» da sè il
proprio culto; egli afferra solo il vuoto, se Dio non si mostra: Quando Mosè
dice al faraone: «noi non sappiamo con che cosa servire il Signore» (Es 10,26),
nelle sue parole emerge di fatto uno dei principi basilari di tutte le
liturgie. Se Dio non si mostra, l’uomo, sulla base di quell’intuizione di Dio
che è iscritta nel suo intimo, può certamente costruire degli altari al «Dio
ignoto» (cfr. At 17,23); può protendersi con il pensiero verso di lui, cercarlo
procedendo a tastoni.
Ma la vera liturgia presuppone
che Dio risponda e mostri come noi possiamo adorarlo. Essa implica una qualche
forma di istituzione. Essa non può trarre origine dalla nostra fantasia, dalla
nostra creatività, altrimenti rimarrebbe un grido nel buio o una semplice
autoconferma.
Essa presuppone qualcosa che stia
concretamente di fronte, che si mostri a noi e indichi così la via alla nostra
esistenza.
Di questa non arbitrarietà nel
culto vi sono nell’Antico Testamento numerose e impressionanti testimonianze,
In nessun altro passo, però, questo tema si manifesta con tanta drammaticità
come nell’episodio del vitello d’oro (o meglio, del torello).
Questo culto, guidato dal sommo
sacerdote Aronne, non doveva affatto servire un idolo pagano. L’apostasia è più
sottile. Essa non passa apertamente da Dio all’idolo, ma resta apparentemente
presso lo stesso Dio: si vuole onorare il Dio che ha condotto Israele fuori
dall’Egitto e si crede di poter rappresentare in modo appropriato la sua
misteriosa potenza nell’immagine del torello.
In apparenza tutto è in ordine e
presumibilmente anche il rituale procede secondo le prescrizioni. E tuttavia è
una caduta nell’idolatria. Due cose portano a questo cedimento, inizialmente
appena percettibile. Da una parte la violazione del divieto delle immagini: non
si riesce a mantenere al fedeltà al Dio invisibile, lontano e misterioso.
Lo si fa scendere al proprio
livello, riducendolo a categorie di visibilità e comprensibilità. In tal modo
il culto non è più un salire verso di lui, ma un abbassamento di Dio alle
nostre dimensioni. Egli deve essere lì dove c’è bisogno di Lui e deve essere
così come si ha bisogno di Lui.
L’uomo si serve di Dio secondo il
proprio bisogno e così si pone in realtà al di sopra di lui. Con ciò si è già
accennato alla seconda cosa: si tratta di un culto fatto di propria autorità.
Se Mosè rimane assente a lungo e Dio diventa quindi inaccessibile, allora lo si
porta al proprio livello. Questo culto diventa così una festa che la comunità
si fa da sé; celebrandola, la comunità non fa che confermare se stessa.
Dall’adorazione di Dio si passa a
un cerchio che gira intorno a se stesso: mangiare, bere, divertirsi. La danza
intorno al vitello d’oro è l’immagine di questo culto che cerca se stesso, che
diventa una sorta di banale autosoddisfacimento.
La storia del vitello d’oro è un
monito contro un culto realizzato a propria misura e alla ricerca di se stessi,
in cui in definitiva non è più in gioco Dio, ma la costituzione, di propria
iniziativa, di un piccolo mondo alternativo. Allora la liturgia diventa davvero
un gioco vuoto. O, ancora peggio, un abbandono del Dio vivente camuffato sotto
un manto di sacralità.
Ma alla fine resta anche la
frustrazione, il senso di vuoto. Non c’è più quell’esperienza di liberazione
che ha luogo lì dove avviene un vero incontro con il Dio vivente»
Da Joseph Ratzinger, “Introduzione
allo spirito della liturgia”, San Paolo 2001
Fonte: Il Timone
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