Sante Messe in rito antico in Puglia

mercoledì 20 gennaio 2016

“Itaque paulo post confirmáta valetúdine, Diocletiáno óbviam factus, ejus impietátem libérius accusávit. Cujus aspéctu cum ille primum obstupuísset, quod mórtuum créderet; rei novitáte et acri Sebastiáni reprehensióne excandéscens, eum támdiu virgis cædi imperávit, donec ánimam Deo rédderet. Ejus corpus in cloácam dejéctum Lucína, a Sebastiáno in somnis admónita ubi esset et quo loco humári vellet, ad Catacúmbas sepelívit, ubi sancti Sebastiáni nómine célebris ecclésia est ædificáta” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTORUM FABIANI PAPÆ et SEBASTIANI MARTYRUM

Quando ancora la disciplina della politurgia era in vigore a Roma, perciò, si celebrava oggi una doppia messa, con due stazioni distinte, l’una nel cimitero di Callisto, presso la tomba di papa Fabiano, l’altra nel cimitero vicino ad Catacumbas, presso il sepolcro di Sebastiano. Tale è la disciplina rappresentata dal Feriale Filocaliano e dalla Depositio Martyrum del 354: XIII kal. Febr. Fabiani in Callisti et Sebastiani in Catacumbas. Una cinquantina di anni separa il martirio del papa Fabiano (250 d.C.) e quello di Sebastiano (303 d.C.).
Gli antichi sacramentari mantengono questa distinzione di messe, attribuendo tuttavia a san Sebastiano, in ragione della popolarità del suo culto, la prevalenza sul papa Fabiano. Le feste dei martiri, in effetti, entrarono nelle basiliche urbane, i libri liturgici continuarono a proporre due formulari propri, ad eccezione dell’epistolario che non conosceva che la festa di san Sebastiano. Ora san Fabiano era piazzato al primo posto, nella sua qualità di papa, ora si dava la priorità a san Sebastiano, molto popolare come protettore contro la peste. Fu così a Roma sino a metà del XII sec. Dei cinque documenti che si considerano solitamente per stabilire il calendario del XII sec., tre danno il passo a san Fabiano e due a san Sebastiano. Ora, nella seconda metà di quel secolo, tanto al Laterano quanto al Vaticano, si riunirono le due celebrazioni in una sola. Sfogliando i libri si assiste a questa fusione. Il messale del Laterano contiene la messa Intret dal proprio di più Martiri, ma con due orazioni, che sono dette sub una clausula, precisa l’Ordo. Quest’ultimo espone il cambiamento poggiandosi su un manoscritto che prende a torto per testimonianza autentica del sacramentario gregoriano, imitantes videlicet beatum Gregorium, qui in sacramentario officium missae huius diei utrisque commune instituit.
Per quanto concerne l’ufficio, deplora che questo sia ancora tutto intero di san Sebastiano: quia iam multum praevaluit, ideo consuetudini ratio cedit.
Nel Vaticano, l’ufficio è ugualmente di san Sebastiano, ma totum tertium Nocturnum facimus de sancto Fabiano, di cui si fa ugualmente memorie nelle Lodi. Questo fatto non è senza interesse, perché permette di percepire i primi indici di una mutazione della liturgia romana, che sarà sempre meno legata alle condizioni locali della Città apostolica. Si passa dalla liturgia cimiteriale e basilicale di Roma alla liturgia della Curia romana (Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 215-216).
Gli antichi si accordarono per attribuire all’intercessione del soldato martire, difensore della Chiesa, un gran numero di prodigi, che gli valsero la rinomanza di taumaturgo, tanto che, nella lettura del Vangelo quanto nell’antifona per la comunione, è a lui che si ricollegano oggi le parole di san Luca secondo cui una grande moltitudine di infermi accorrevano al Salvatore perché da Lui usciva una potenza che guariva tutti.
Nel Medioevo, si invocava specialmente san Sebastiano contro la peste. Paolo Diacono racconta che nel 670, la peste cessò a Roma quando si dedicò un altare al Santo nella Basilica di San Pietro in Vincoli (Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, lib. VI, cap. 5), con una celebre effigie del Santo in mosaico, con sembianze senili e barbuto, risalente ad un decennio dopo (cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 209).



San Sebastiano, 680 circa, Basilica di San Pietro in Vincoli, Roma

I testi storici più antichi, con riferimento a san Sebastiano, si trovano in un passaggio della spiegazione dei salmi di sant’Ambrogio: «Lasciateci proporvi l’esempio del santo martire Sebastiano. Egli era milanese di ascita. Forse il persecutore dei cristiani aveva lasciato Milano, ovvero non vi era mani venuto, oppure era più tenero. Sebastiano vide non vi era alcuna occasione di combattimento o che si rammolliva. Partì, dunque, per Roma dove, a causa dello zelo dei cristiani per la loro fede, la lotta era calda. Vi soffrì e vi fu coronato». Per questo, Ambrogio definisce il santo come: «Sebastianus vir Christianissimus Mediolanensium» (AmbrosiusIn psalm CXVIII, sermo XXII).
I testi liturgici in uso nel Messale tradizionale – che celebrano i due santi insieme con Messa doppia – sono quelli dell’antica messa stazionale di san Sebastiano, salvo un piccolo numero di modifiche. In effetti, numerosi manoscritti omettono interamente san Fabiano ed il più antico lezionario romano, quello del VII sec., come ce lo fa conoscere un manoscritto di Würzburg, indica per questo giorno non soltanto l’epistola, ma anche la lezione profetica dell’Antico testamento, secondo l’uso romano nelle più grandi solennità dell’anno (24: IN NAT SCI SEBASTIANI lec epis beati pauli apos ad ebreos FF sci per fidem uicerunt regna usq. testimonium fidei probati inuenti sunt in xpo ihu dno25: IN NAT UBI SUPRA lec lib sapi salo. reddidit ds mercidem laboris scorum usq. manuum tuam laudauerunt partier dne ds noster).
È inutile aggiungere che la messa di san Sebastiano, come tutte le altre, ha sempre nei sacramentari un prefazio speciale. Il fatto di aver soppresso tutte gli antichi prefazi propri di ciascuna domenica e di ogni festa dell’anno, che sono così belli e che caratterizzavano così bene la liturgia romana, è stato un vero impoverimento imposto al nostro Messale ed una gran perdita per la pietà ecclesiastica. Forse si può sperare in una correzione del Messale juxta codicum fidem (così come vi è già stato per l’antifonario gregoriano da parte di san Pio X), in cui gli antichi prefazi del sacramentario di san Gregorio riprenderanno il loro spazio nella liturgia?
Originariamente le due messe, quella di san Sebastiano come quella di san Fabiano, avevano le collette proprie; quando si fusero queste due stazioni, ci si accontentò di aggiungere il nome di Sebastiano a quello di Fabiano nelle collette del Comune dei martiri pontefici.
La lettura odierna, tratta dall’Epistola agli Ebrei, già assegnata nel Lezionario di Würzburg alla messa di san Sebastiano, descrive sotto dei vivi colori tutte le sofferenze sopportate dai giusti dell’Antico Testamento a causa della loro fede. Non è semplicemente, in effetti, il fatto di soffrire che ci rende graditi a Dio, ma, come insegna l’Apostolo, è la confessione della fede in mezzo ad opere virtuose ed alle sofferenze, che ci merita la corona: Hi omnes testimonio fidei probati inventi sunt. Per questo la Chiesa canta nell’ufficio di Terza:
Os, lingua, mens, sensus vigor
Confessionem personent,
affinché ogni momento confessiamo il nome di Gesù Salvatore, cioè avanziamo a grandi passi nella via della salvezza.
Nel Comes di Würzburg, la seconda lettura dell’Antico Testamento per la sinassi di questo giorno ad catacumbas, è tratta dal Libro della Sapienza (10, 17-20), laddove è celebrata la vittoria degli Israeliti sugli Egiziani, allorché Jahvé fu il vendicatore del suo popolo e sua guida attraverso il deserto.
Il responsorio è tratto dal celebre cantico di Mosé nell’Esodo (15, 2, 6), dopo il passaggio del mar Rosso ed in origine era in relazione con la pericope precedente del libro della Sapienza. Il mar Rosso nel quale Satana è stato abbattuto è il martirio, nel mezzo del quale gli eroici atleti del Cristo hanno trionfato dei loro persecutori. Questi ultimi li hanno posti sui cavalletti e sui roghi, per strappare la fede dal loro cuore; ma l’anima invincibile dei martiri è giunta sana e salva alla riva dell’eternità ed i boia hanno compreso tutta la vergogna della loro disfatta.
Il vangelo (Lc 6, 17 -23), dove si parla dell’intervento di Gesù a profitto dei malati, si adatta molto bene a san Sebastiano, che l’antichità cristiana venerava come protettore speciale contro le epidemie. Nella basilica esquilina di San Pietro in Vincoli, si conserva ancora l’altare con l’immagine in mosaico del grande martire che fece erigere il papa Agatone per liberare Roma dalla peste che l’affliggeva. Questa devozione popolare verso san Sebastiano era generale in Italia, e specialmente a Roma, dove si contano almeno nove antiche chiese in onore del santo. Oltre la basilica costantiniana ad Catacumbas (su quest’antica basilica, cfr. Mariano Armelliniop. cit., pp. 896-900; Ch. HuelsenLe Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 460), nel quartiere Ardeatino, denominata Basilica di San Sebastiano fuori le mura, e le cui catacombe erano veneratissime da San Filippo Neri, il quale proprio qui ricevette, nel 1544, dallo Spirito Santo il dono di un’ardente carità che fece dilatare il suo cuore (cfr. Armelliniop. cit., p. 898), ce n’era una – in verità un oratorio - nel Patriarchium del Laterano, eretta dal papa Teodoro (chiesa di San Sebastiano in Laterano) (ibidem, p. 106); un’altra si elevava sul Palatino, vicino all’ippodromo dove san Sebastiano aveva sofferto il martirio, e che sorge accanto al Foro Romano ed al Colosseo, nell'area dell'antico tempio inizialmente dedicato al Sol Invictus Elagabal (c.d. Elagabalium), eretto dall'Imperatore Eliogabalo all'inizio del I sec. d.C. e di cui si vedono ancora tracce delle fondamenta nello spiazzo adiacente la chiesa, ed in seguito a Giove, e che custodiva diversi oggetti sacri, tra cui il Palladio di Atena, portato da Troia (Chiesa di San Sebastiano alla Polveriera o al Palatino, o di Santa Maria in Pallara o in Pallaria) (ibidem, pp. 524-525; Ch. Huelsenop. cit., pp. 353-355); un’altra si trovava vicino al Tevere, nella regione Arenula, rione Regola (chiesa di San Sebastiano de Arenula) (cfr. Armelliniop. cit., p. 398); una quarta (chiesa di San Sebastiano a Scossacavalli) (ibidem, p. 778), una quinta (chiesa di San Sebastiano in via Pontificum) (ibidem) ed una sesta tuttora esistente, eretta da papa San Pio V nel 1568, e non lontana dal Colonnato del Bernini (Chiesa dei Santi Martino e Sebastiano degli Svizzeri) (ibidem, p. 783) nel quartiere di Borgo, vicino a San Pietro; ce n’era infine una sesta sulla c.d. via papale, laddove, secondo la tradizione, il corpo di san Sebastiano sarebbe stato gettato in una cloaca e recuperato da santa Lucina, serva della matrona sant’Irene di Roma (cfr. Armelliniop. cit., p. 455; Ch. HuelsenLe Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, pp. 460-461).
Nel Medioevo, il capo di san Sebastiano fu trasportato da Gregorio IV sul monte Celio, nella basilica dei Quattro Santi Coronati (cfr. Armelliniop. cit., pp. 499-500); quasi nello stesso tempo, una parte importante delle sue reliquie passò all’abbazia di San Medardo di Soissons. In quest’occasione una piccola fiala, contenente alcune gocce del suo sangue, rimase nell’abbazia imperiale di Farfa in Sabinia, dove le reliquie avevano ricevuto l’ospitalità la notte seguente la partenza da Roma del gruppo dei monaci di Soissons.
Roma cristiana ha dedicato a papa Fabiano una chiesa nel quartiere Tuscolano, in piazza Villa Fiorelli. Essa, eretta a parrocchia nel 1933, fu costruita nel 1936 (Chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio). Fu istituita come titolo cardinalizio nel 1973 (titolo dei Santi Fabiano e Venanzio a Villa Fiorelli).
Il frutto eterno menzionato nella preghiera prima dell’anafora è la grazia, cioè il dono di Dio, che, per sua natura, non è soggetto a revocazione né a ripensamento. Questo dono, al contrario, nel disegno magnifico di Dio, vuole svilupparsi continuamente nell’anima, cioè donarsi sempre più all’uomo, affinché lo renda gradualmente capace del possesso beatifico di Dio nel paradiso.
Dio ha congiunto dei tesori di grazie e di meriti ai modesti atti del nostro culto, e noi, al contrario, languiamo in una moltitudine di miserie e di mali fisici e spirituali, unicamente perché non abbiamo una fede sufficiente per ricorrere ai rimedi che ci offre la bontà divina (Lc 6, 17 e 19). Questa salutare virtù del Salvatore non è venuta meno dopo l’Ascensione. Ancora oggi, entriamo in contatto con Gesù nei Sacramenti, le ispirazioni, le predicazioni, le tribolazioni della vita stesse, e se in tutte queste circostanze ci avvicinassimo a Lui con fede, sgorgherebbe da Lui una virtù in grado di guarire tutte le nostre infermità.
Ecco quello che è il mondo agli occhi della fede: Multitudo languentium, una moltitudine di persone che languiscono, tanto più degni di compassione che, tra esse, ben poco numerose sono quelle che, a somiglianza degli infermi di cui parla oggi il Vangelo, vanno dal celeste medico Gesù.
Alla tomba primitiva di san Sebastiano, ritrovata tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 apud vestigia Apostolorum sulla via Appia, si rapporta un frammento della balaustra o transenna di marmo con quest’iscrizione del V sec., risalente all’epoca di papa Sant’Innocenzo I:
TEMPORIBUS • SANCTI
INNOCENTI • EPISCOPI
PROCLINVS • ET • VRSVS • PRAESBB
TITVLI • BYZANTI
SANCTO • MARTYRI
SEBASTIANO • EX • VOTO • FECERVNT
Questo monumento si trova oggi al museo del Laterano (cfr. Armelliniop. cit., p. 896).



Ambito senese, Madonna con Gesù Bambino in gloria con angeli tra i SS. Sebastiano e Fabiano, 1620 circa, chiesa di S. Giorgio, Montemerano

Scuola lunigianese, SS. Fabiano e Sebastiano, XVII sec., museo diocesano, Massa Carrara-Pontremoli

Giuseppe Marchesi, SS. Fabiano e Sebastiano, XIX sec., museo diocesano, Trento

Ambito romano, Madonna con Bambino tra i SS. Fabiano e Sebastiano, XVII-XVIII sec., museo diocesano, Rieti 

Pietro Perugino, S. Fabiano, 1481-83, Cappella Sistina, Città del Vaticano, Roma

Pietro Perugino, SS. Irene e Sebastiano, Polittico di S. Agostino, 1502-12, Museo di Grenoble, Grenoble


Raffaello Sanzio, Ritratto (del pittore) come S. Sebastiano, 1503, Collezione Lochis, Accademia Carrara, Bergamo

Ambito di Carlo Dolci, S. Sebastiano, XVII sec., collezione privata

Josse Lieferinxe, S. Sebastiano curato Irene, 1497 circa, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia 


Josse Lieferinxe, Pellegrini alla tomba di S. Sebastiano, 1497 circa, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

Ludovico Carracci, S. Sebastiano gettato nella Cloaca Massima, 1612, Getty Museum, Los Angeles

Dirck van Baburen, S. Irene recupera S. Sebastiano, 1615, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

Gerrit van Honthorst (Gherardo delle Notti), Martirio di S Sebastiano, 1623 circa, National Gallery, Londra

Jan Van Bijlert, S. Sebastiano assistito da S. Irene, XVII sec., collezione privata

Carlo Dolci, S. Sebastiano curato da S. Irene, XVII sec., collezione privata

Pierre Jérôme Lordon, Sepoltura di S. Sebastiano, XIX sec., Fondation Calvet, Avignone

Lorenzo Vaccaro - Domenico Antonio Ferro, Busto argenteo di S. Sebastiano, 1709, museo diocesano della Cattedrale di S. Paolo, Aversa



Francesco Papaleo, S. Fabiano ed angeli, XVIII sec., Cappella Albani, Basilica di S. Sebastiano fuori le mura, Roma.
Sotto la statua di San Fabiano si conserva la reliquia del suo cranio.





Tomba di S. Sebastiano, Basilica di S. Sebastiano fuori le mura, Roma





Antonio Giorgetti, Martirio di S. Sebastiano, Basilica di S. Sebastiano fuori le mura. Roma


Reliquie di S. Sebastiano (copia di una delle frecce e frammento della colonna del martirio) Basilica di S. Sebastiano fuori le mura. Roma

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