L’articolo che segue è un po’ datato – risale infatti
all’agosto 2014 – ma conserva tutt’oggi la sua attualità nella descrizione dell’odierna
situazione della musica sacra.
Nella memoria dei Santi Mario, Marta, Audiface e Abaco
– famiglia persiana vissuta nel III sec. e che subì il martirio a Roma, modello
delle famiglie cristiane martirizzate anche ai nostri giorni in terra di Persia
– e Canuto IV, re di Danimarca e martire, rilancio questo contributo.
Bartolomeo Colombo, Decapitazione di San Mario, Marta, Audiface e Abaco, XVII sec., Cappella dei Martiri Persiani, Duomo, Tivoli |
La musica sacra cattolica: alzare il tono
Il noto compositore James
MacMillan, cattolico scozzese, guida un movimento per ridare bellezza alla
musica liturgica
James MacMillan, CBE è uno dei
compositori di maggior successo e direttore d’orchestra di fama mondiale. Il
suo primo riconoscimento internazionale risale al 1990, e da allora si è
esibito o le sue esibizioni sono state trasmesse in tutto il pianeta. Dal 2000
al 2009 è stato compositore e direttore d’orchestra della BBC Philharmonic, e
fino al 2013 è stato primo direttore d’orchestra ospite della Netherlands Radio
Kamer Filharmonie.
La musica di MacMillan riflette
la sua eredità scozzese, la fede cattolica, la coscienza sociale e lo stretto
legame con la musica folk celtica. È anche un noto critico di musica ecclesiastica
cattolica contemporanea, e di recente ha rilasciato un’intervista esclusiva a
Regina Magazine per esporre il suo punto di vista.
In primo luogo, ci parli
di Musica Sacra Scotland…
Nell’ultimo anno ho istituito una
nuova organizzazione dedicata a rivitalizzare la pratica del canto in
chiesa, Musica Sacra
Scotland. Si basa su una serie di persone impegnate in varie diocesi
scozzesi e finora ha organizzato una conferenza nazionale a Glasgow nel
novembre 2013; ne sta preparando una seconda a Dundee per il novembre 2014.
Cosa trova di tanto allettante in
questo progetto?
Il canto gregoriano è il vero
suono del cattolicesimo, e ci sono
stati tentativi recenti di adattare questa musica alle traduzioni inglesi. Gli
anglicani lo hanno fatto per quattrocento anni, per cui quando è stato
stabilito l’Ordinariato un’importantissima applicazione pratica dei principi
cattolici è tornata alla Chiesa. Gli americani sembrano poi essere avanti e
stanno producendo nuove pubblicazioni che permettono di cantare in lingua
volgare i testi propri e trascurati per l’ingresso, l’offertorio e la
Comunione.
Cosa pensa di questo sviluppo
negli Stati Uniti?
Gli ideatori di questa musica
sono curatori della tradizione più che “compositori”, con tutte le questioni
relative a individualità, stile ed estetica che accompagnano il termine. Ma
quello che stanno facendo questi curatori è notevole. Prendendo la forma e il
suono del canto cattolico, stanno creando un autentico repertorio tradizionale
per la liturgia della Chiesa. Stanno adattando una musica semplice, funzionale
e che si può cantare alla natura del rituale ecclesiale per una Chiesa che ha
attraversato varie convulsioni dopo il Concilio Vaticano II.
Cosa sta accadendo nel Regno
Unito?
La versione britannica di tutto
ciò è ancora più intrigante. L’Istituto di Musica Liturgica Beato John Henry
Newman è stato creato sulla scia della visita di papa Benedetto nel
regno Unito nel 2010 da padre Guy Nicholls, un sacerdote oratoriano di
Birmingham. Il suo Graduale Parvum è una forma assai promettente
di canti propri, basata sull’opera pioneristica di László Dobszay. Anziché
contare su canti nuovi semplici, il lavoro si è basato sulla constatazione che
la Chiesa ha già una vasta gamma di melodie gregoriane più semplici, le
antifone all’Officio Divino. Possono essere affiancate al testo proprio per
formare una nuova unità, con l’autenticità di una melodia gregoriana vera e
antica.
È un progetto pensato in modo
brillante, e facile e gradevole da cantare. Negli ultimi 35 anni la cattedrale
di Westminster ha sviluppato la sua musica basata su canti per l’officio e la
Messa, nell’uso quotidiano, ma in particolare per i primi Vespri e la preghiera
mattutina della domenica nel corso dell’anno – l’officio è cantato da tutti
senza l’ausilio di un coro.
Perché ha assunto una posizione
di leadership al riguardo?
I miei incontri con queste
iniziative mi hanno convinto che è la via più autentica per la musica
cattolica, combinando l’ethos partecipativo del Vaticano II con la
storia e le tradizioni profonde della musica ecclesiale. È uno sviluppo incoraggiante
dopo decenni di sperimentazione che hanno promosso musica di una banalità
deprimente. Molti dei motivi nuovi sono “illetterati” a livello musicale, come
se fossero stati scritti da adolescenti semiformati. Lo stile e pesante e sentimentale,
bloccato a livello di tono e ritmo e melodicamente vuoto.
Che tipo di risposta ha ricevuto
da cantanti, parrocchie e diocesi?
Finora la risposte sono state
molto positive. I vescovi scozzesi hanno offerto il proprio sostegno, e infatti
il vescovo di Aberdeen, Hugh Gilbert, è diventato il nostro
patrocinatore.
Penso che ci sia una sete reale
di ciò che stiamo facendo dopo decenni di deriva e inevitabile confusione
quando la Chiesa ha abbracciato le lingue volgari.
C’è grande resistenza nei
confronti di questo tipo di musica?
Ai cattolici scozzesi va
ricordato continuamente quando sia importante la questione della nostra
liturgia. È una vergogna che la discussione a volte scada in un paragone tra il
nuovo rito e la forma straordinaria.
Nessuno afferma che il nuovo rito
dovrebbe essere sostituito, ma la ricomparsa dell’antico rito latino, per ora a
livello marginale, non può non essere un elemento positivo a lungo termine per
la Chiesa universale. La constatazione che ci sono queste considerazioni per
quanto riguarda pratiche positive e negative, approcci autentici e non
autentici, attributi di santità, bontà della forma e universalità è la svolta
in cui molti di noi speravano. Queste considerazioni dovrebbero essere sempre
in prima linea nella mente di chiunque sia responsabile della liturgia, clero o
fedeli.
Qual è l’aspetto importante di
tutto questo?
Credo che ci sia una questione
più ampia che affrontiamo tutti noi. In questo Paese c’è sempre stata una
spinta fortemente antiestetica verso il cattolicesimo scozzese. La domanda è:
“Si può dimostrare la bellezza oggettiva nella liturgia della Chiesa nel XXI
secolo?”
Sì, bellezza. Quando è stata
l’ultima volta che abbiamo ascoltato un’omelia sulla questione? Sentiamo
parlare molto di verità, di bontà, ma la bellezza?
Il bello, il vero e il buono –
sono questi i valori fondamentali riconosciuti fin dall’antichità come qualità
intrinseche dalle quali derivano essenzialmente tutti i valori. Come dai tre colori
primari può scaturire un milione di sfumature, così anche un milione di
sfumature di qualità può essere ricondotto a questi tre valori primari.
Verità, bontà e bellezza formano
una triade di termini che sono stati ampiamente discussi nella tradizione del
pensiero occidentale. Sono stati definiti “trascendenti” sulla base del fatto
che tutto ciò che esiste è in qualche misura o in qualche modo soggetto ad
essere definito vero o falso, buono o cattivo, bello o brutto. Oltre ai
filosofi, agli scienziati e ai politici, anche molti mistici e maestri
spirituali hanno sostenuto l’idea di queste tre fondamentali “finestre sul
divino”.
Cosa c’è, a suo avviso, di
tipicamente scozzese in questo dibattito?
Per un uomo scozzese come me,
cresciuto in una cultura machista e della working class ad Ayrshire, è
difficile ricordare di aver mai sentito la parola “bellezza” negli anni della
formazione. Penso che molti maschi della working class avrebbero una reale
difficoltà anche a pronunciarla!
E tuttavia la bellezza è alla
base della nostra fede cristiana. Dovrebbe essere di primaria importanza nella
nostra attenzione quando approcciamo il Trono di ogni Bellezza per le nostre
lodi divine. Lodi divine che in questo Paese nel corso degli anni sono state
concepite prevalentemente da maschi machisti della working class scozzese.
Prospettiva interessante. Perché
pensa che quella della bellezza sia una questione così scottante oggi in Scozia
e nella Chiesa universale?
In questa difficile situazione
entra la domanda: “Cos’è la bellezza?”. Non è solo negli occhi dello
spettatore? La mia bellezza può essere la tua bruttezza, eccetera. La bellezza
può mai essere oggettiva? Il concetto di bellezza assoluta non è distante e
separato dalla maggior parte delle persone? Non è molto “inclusivo”, vero?
Questa è stata un’argomentazione utile per quanti sono stati determinati a
rimandare a casa l’agenda consistente nell’abbassare il livello, dentro e fuori
la Chiesa. Per quanto riguarda questa discussione, è stata utile per chi
desidera trattare la liturgia come “autoespressione” o una tela sulla quale
poter gettare i valori, i sentimenti (ovviamente) e le “preoccupazioni” della
“comunità”. Questa è una distorsione del concetto cattolico di liturgia, che
sposta l’obiettivo dal suo orientamento essenziale verso Dio ponendolo invece
sul NOI.
È parte della svolta verso il
“sé” che l’oratoriano canadese Jonathon Robinson descrive “come un adolescente
preoccupato di sé che vede il mondo nei termini del suo punto di vista”.
Il risultato di tutto questo è
che “il centro di interesse nella liturgia, che dovrebbe essere il mistero di
Cristo e l’adorazione del Dio vivente, è stato spostato verso un forum per la
riflessione ideologica o sociologica”. E non è bello.
A volte parte dell’ansia e della
resistenza in Scozia può derivare da questo. Non è un dibattito o/o sul latino
e il volgare, e sicuramente ha poco a che vedere con la Messa tridentina.
Cosa fa sì che tanta gente sia
sulla difensiva o arrabbiata per un commento critico sulla liturgia contemporanea?
Potrebbe avere molto a che fare
con il parlarsi addosso che caratterizza una forma “auto-preoccupata” di
adorazione – che rischia di far ripiegare la comunità su se stessa. Le disposizioni
spaziali nella liturgia moderna meritano qui la nostra riflessione.
Papa Benedetto ha affermato che
il fatto di far rivolgere il sacerdote verso il popolo ha reso la comunità un
cerchio chiuso in sé. Nella sua forma esteriore, non si apre più su ciò che sta
oltre e sopra, ma è chiusa su se stessa. In precedenza, ha osservato, era una
questione relativa al fatto che il sacerdote e il popolo guardavano nella
stessa direzione, sapendo di essere insieme in processione verso Dio.
Guardavano a Oriente, al Cristo che viene a incontrarci.
È bellissimo. In contrasto
con questo, il “focus comunitario” narcisistico attuale non rende
necessariamente la Chiesa un migliore organo di salvezza e carità. Robinson
indica che “questa concentrazione sulla comunità non ha portato a
un’evangelizzazione più efficace o a una maggiore influenza della Chiesa nel
mondo moderno (…) Ha invece portato a una crescente inefficacia della Chiesa,
almeno in Occidente”.
Come caratterizzerebbe quindi la
questione alla base di questo dibattito in Scozia?
Papa Benedetto ci ha ricordato
che la liturgia non è un’espressione della consapevolezza di una comunità, in
ogni caso diffusa e mutevole, ma rivelazione ricevuta nella fede e nella
preghiera. La sua misura è quindi la fede della Chiesa in cui la rivelazione è
accolta.
Noi scozzesi siamo onestamente a
nostro agio con le banalità sciatte, compiacenti e sentimentali praticate in
molte delle nostre chiese?
O possiamo essere ispirati a
raggiungere la bellezza oggettiva di una lode cattolica senza tempo e
archetipica?
Ecco un’intervista di
James MacMillan alla prima Conferenza di Musica Sacra Scotland nel novembre
2013.
[Traduzione a cura di Roberta
Sciamplicotti]
Fonte: Aleteia, 6.8.2014. L'articolo è anche riprodotto in Una casa sulla roccia, 20.8.2014.
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