Avevamo
già segnalato come l’Inghilterra non potesse più definirsi cristiana e come si stesse realizzando un'islamizzazione a tappe forzate (v. qui). Ora anche
pubblicamente ciò è ammesso. Traendone le debite conseguenze. Drammatiche. Eppure c'è la profezia di S. Edoardo il Confessore. Il fenomeno dissolutorio è evidente pure in Germania, come ricorda Giulio Meotti in un suo
articolo del novembre scorso su Il Foglio (Dio è morto in Germania); in Olanda, in cui si è deciso di far fuori le feste cristiane dalle scuole per fare spazio a quelle islamiche (v. Il Foglio, 11.1.2016). Ed in Spagna, dove in luogo della sfilata dei tre re magi a Valencia son
sfilate tre megere (v. qui). Non parliamo per pudore della Francia. L'Italia segue queste "nazioni civili" da vicino.
L’Europa ha dimenticato ormai le sue radici
cristiane e si avvia allegramente al suo dissolvimento.
“L’Inghilterra non è più
cristiana, quindi va decristianizzata”
Una Commissione suggerisce che le istituzioni devono
riflettere il fatto che la religione cristiana è in declino
di Cristina Marconi
Londra. L’incoronazione del monarca britannico, per dire,
dovrebbe essere un po’ più “pluralista”. E pazienza che la regina, così come
chi le succederà, è anche il capo della Chiesa anglicana. Qui è il paese tutto
a non essere più anglicano, né tantomeno cristiano, avendo conosciuto un
“generale declino” della sua affiliazione religiosa tradizionale negli ultimi
15 anni e un aumento della presenza di musulmani, hindu e sikh, diventati ben
più numerosi degli ebrei, un tempo secondo gruppo religioso del paese. Ma ad
essersi moltiplicati sono soprattutto gli atei e gli umanisti e questo, come
tutto il resto, andrebbe tenuto presente nel ridisegnare il volto delle
istituzioni del Regno Unito in modo da riflettere la nuova identità. Lo
suggerisce la Corab, Commissione per la Religione e il Credo nella vita
pubblica britannica, in un ponderoso rapporto pubblicato lunedì e intitolato
‘Vivere con la differenza. Comunità, diversità e bene comune’. Frutto di 2 anni
di incontri, interviste, ricerche, il documento dell’istituzione pluralista per
eccellenza – nel suo board sono rappresentate tutte le religioni e tra i
patrons c’è anche l’ex arcivescovo di Canterbury Rowan Williams – giunge a
conclusioni farraginose e confuse su tutto tranne su un punto: il paese non è
più cristiano e quindi le sue istituzioni vanno decristianizzate di
conseguenza.
Per il resto è tutto un sostituire le preghiere a scuola
con momenti di riflessione collettivi, creare comitati di scambio e di dialogo
per aggiustare le istituzioni del paese alla nuova realtà in barba al passato
e, ancora una volta, riflessioni collettive, l’annacquamento di tutto ciò che
reca tracce della religione anglicana a favore non tanto della laicité quanto
delle altre religioni. Prendiamo la Camera dei Lords, dove siedono 26 ‘Lords
Spirituals’, ossia vescovi. Secondo la Corab dovrebbero fare spazio ad
esponenti di altre confessioni e lo stesso dovrebbe avvenire in altri organismi
pubblici come, ad esempio, la commissione che vigila sulla stampa, con tanto di
premio annuale per i media che raccontano meglio le realtà religiose in modo da
incoraggiare il pluralismo confessionale dei mezzi d’informazione. “Il rapporto
è dominato dalla visione superata che la religione tradizionale sta perdendo
importanza e che la non adesione ad una religione è la stessa cosa
dell’umanesimo o del secolarismo”, ha commentato la Chiesa anglicana in una
nota, sottolineando come “sia importante ricordare che la maggior parte della
pubblica opinione è contraria alla marginalizzazione del Cristianesimo”.
Particolarmente polemica, anche da parte del governo di David Cameron, la
reazione ad una delle proposte della Commissione, ossia di avviarsi verso il
superamento delle scuole religiose aprendole le selezioni a criteri diversi da
quelli confessionali in base ai quali sono state create. Le ‘faith schools’
sono finanziate dallo stato e quelle cristiane, nel Regno Unito, spesso offrono
un livello di istruzione paragonabile a quello delle scuole private. Le scuole
musulmane, in molti casi e soprattutto di recente, sono finite nel mirino di
Ofsted, l’autorità che vigila sul sistema educativo del paese, per il tipo di
insegnamento impartito, in contrasto anche con la più lasca delle definizioni
di “valori britannici” (a Birmingham gli ispettori ne hanno trovata una in cui
i membri donne del consiglio educativo partecipavano alle riunioni d’istituto
rimanendo in corridoio per non essere viste), ma a farne le spese, secondo il
rapporto, devono essere tutti gli istituti. La religione, tuttavia, non deve
sparire dalle aule, tutt’altro: l’alfabetizzazione religiosa deve essere estesa
in modo, ad esempio, da non discriminare chi non appartiene ad una religione
abramitica e chi, come ad esempio i sikh, ha un credo la cui struttura è
dissimile da quelle più note nel paese.
“Riflessioni” al posto delle preghiere
Il Corab raccomanda
che “tutti gli studenti delle scuole statali abbiano diritto ad un programma
sulla religione, la filosofia e l’etica che sia rilevante per la società di
oggi, e il quadro generico di questo programma deve essere concordato a livello
nazionale” e il fondamento legale che permette alle scuole di svolgere atti di
preghiera collettiva deve essere revocato e sostituito dalla possibilità di
avere “tempi inclusivi per la riflessione”. Il fatto che, come sottolineato da
un dirigente della Bbc intervenuto nella ricerca, oggi la maggioranza dei
cittadini britannici non abbia gli strumenti neppure per capire l’ironia
dissacrante di un film come ‘Brian di Nazareth’ dei Monty Python perché non
conoscono la Bibbia va messo sullo stesso piano del fatto che il dio sikh
Waheguru sia spesso indicato come maschio, mentre non ha genere. Nella lotta al
radicalismo, tema trattato in maniera decisamente corriva, la soluzione
migliore è quella di permettere a tutti di esprimere apertamente le proprie
opinioni, anche quelle considerate inaccettabili, senza porre gli studenti davanti
al rischio di essere denunciati alla polizia, in modo da rendere tutto oggetto
di dibattito e dialogo. Sulla questione della giustizia, nel rapporto, subentra
finalmente un po’ di pragmatismo. Occorre, secondo la commissione guidata
dall’ex giudice baronessa Butler-Sloss, valutare se “i matrimoni tra membri dei
gruppi religiosi di minoranza devono essere registrati prima o
contemporaneamente in base alla legge britannica”, visto che il numero di
unioni musulmane non registrate è altissimo, con gravi conseguenze per le donne
in caso di divorzio. Il ministero della Giustizia dovrebbe poi emettere delle
linee guida sul rispetto degli standard britannici in termini di pari
opportunità e indipendenza giudiziaria da parte dei tribunali religiosi e
culturali come le corti ecclesiastiche, i Beit Din e i consigli della Shari’a.
L’idea di società che c’è dietro il testo, spiega la commissione, è quella in
cui “ciascuno è consapevole che la sua cultura, religione e credo è rispettata
e apprezzata in quanto parte di un processo continuo di arricchimento reciproco
e che il suo contributo alla trama della vita nazionale è valutato positivamente”.
Senza filtro critico, e con un unico caveat: il paese non è più cristiano.
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