Secondo Gregorio di
Tours, nel XIX anno di regno di Costanzo II (o Costanzo il giovane), figlio di
Costantino I, allorché morì l’eremita Antonio (sant’Antonio abate) all’età di
105 anni, il vescovo sant’Ilario di Poitiers, fu inviato in esilio su
istigazione degli eretici (ariani). Durante il suo esilio, compose opere sulla
fede cattolica, le quali, inviate all’imperatore Costanzo, fecero sì che egli
permettesse che, quattro anni dopo, fosse liberato e tornasse nella sua patria.
Dopo un’intesa opera di apostolato in Gallia, nel IV anno di regno di
Valetiniano e Valente, presso Poitiers, il santo vescovo, pieno di santità, di
fede e di ogni virtù, migrò verso il cielo, dopo aver compiuto numerosi
miracoli ed anche alcune resurrezioni di morti (Cfr. Albert J. Herbert, Raised from
the dead-true stories of 400 resurrection miracles, trad. it. di Camilla Giacomini (a cura di), I
morti resuscitati. Storie vere di 400 miracoli di resurrezione, Tavagnacco
1998, p. 45): «Nono decimo Constantii junioris anno, Antonius monachus
transit, centesimo quinto aetatis suae anno. Beatissimus Hilarius Pictaviensis
episcopus, suasu haereticorum exsilio deputatur: ibique libros pro fide
catholica scribens, Constantio misit, qui quarto exsilii anno eum absolvi
jubens, ad propria redire permisit. ... Quarto Valentiniani et Valentis anno,
sanctus Hilarius apud Pictavos, pienus sanctitate et fide, multis undique
virtutibus editis, migravit ad caelos. Nam et ipse legitur mortuos suscitasse» (San Gregorio di Tours, Historia
Francorum, lib. I, capp.
XXXV-XXXVI, in PL 71, col. 179C-180A).
Sant’Ilario di
Poitiers morì il 13 gennaio 367, come attesta il martirologio geronimiano. Ma
questo annuncia, in più, al 1° novembre la dedicazione a Poitiers della
basilica sorta sulla sua tomba ed il martirologio di san Pietro riproduce
questa menzione. Essa non sarebbe, senza dubbio, sufficiente ad attirare la
celebrazione di sant’Ilario in questo giorno se, una volta di più,
l’omonimia non vi avesse giocato. In effetti, si onora a Viterbo, il 3
novembre, i martiri Valentino ed Ilario, di cui i corpi riposavano presso
l’abbazia di Farfa dal IX al XV sec. I loro nomi sono iscritti negli Auctaria di Usuardo e si trova
parimenti la loro festa presso l’abbazia di Saint-Bertin nel Nord della
Francia, nel XII sec. Ma è del vescovo di Poitiers che si tratta in questo
caso.
Sempre secondo san
Gregorio di Tours, la festa di sant’Ilario era già celebrata il 13 gennaio
nella sede episcopale di Lemonum (l’attuale Poitiers)
fin dalla fine del V sec., vale a dire sotto il governo di san Perpetuo. Si
ritrova la menzione al nostro Santo, al 3 novembre, nei manoscritti fiorentini
del martirologio di Usuardo del XV sec. e, al 1° novembre, nel collettario di
san Anastasio così come nel messale di Città di Castello, conservato presso
l’Archivio Lateranense. Questo annuncia alle calende di novembre: Omnium
Sanctorum et Caesarii et Hilarii. Nella colletta e nella secreta di sant’Ilario esso
evoca la sua depositio (E.
De Azevedo, Vetus Missale romanum monasticum
lateranense (Archivio
lateranense Cod. 65), Romae 1752, pp. 285-287) (così ricorda Pierre Jounel, Le Culte des
Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle,
École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 303).
Il nostro Santo fu
festeggiato dal XIII sec. a Roma. Ma fu molti secoli più tardi che, sotto il
beato Pio IX, la festa fu inserita nel calendario romano. Lo stesso pontefice
lo dichiarò dottore della Chiesa nel 1851.
Tuttavia, essendo
il 13 gennaio giorno dell’Ottava dell’Epifania, l’ufficio di sant’Ilario fu
rinviato all’indomani.
Roma cristiana ha
dedicata a Sant’Ilario una parrocchia, nel quartiere di a Casal del Marmo, nel
novembre 1977, ponendola in un ex garage ristrutturato a partire dal 1992.
La messa è tratta
dal Comune dei Dottori ed è sovrapponibile, in gran parte, a quella della festa
di sant’Ambrogio il 7 dicembre. Vi si trova solo qualche piccola variante.
Particolarmente
attuale è il libello del nostro Santo contro l’imperatore Costanzo, il quale
cercava di comprarsi il consenso dei vescovi fedeli al Credo niceno ora
minacciandoli ora lusingandoli con promesse di onori, ricchezze e privilegi,
purché approvassero la condanna di Atanasio sancita dal conciliabolo milanese
del 355. Ilario lamenta che si tratta di una teomachia e cristomachia,
una vera persecuzione più insidiosa, giacché questi privilegi sono il prezzo
offerto a chi è fedele alla fede nicena in cambio della sostanziale adesione
all’eresia ariana. Si tratta di un modo per distruggere la fede, insomma.
Scrive il Santo
dottore: «… noi combattiamo contro un persecutore ingannevole, un
nemico che lusinga, Costanzo l’anticristo: egli non percuote il dorso [col
flagello, ndr.], ma accarezza il ventre, non ci confisca i
beni per la vita, ma ci arricchisce per la morte, non ci sospinge col carcere
verso la vera libertà ma ci riempie di incarichi nella sua reggia per la
servitù, non spossa i nostri fianchi ma si impadronisce del cuore, non taglia
la testa con la spada, ma uccide l’anima con l’oro, non minaccia di bruciare
pubblicamente, ma accende la geenna privatamente. Non combatte per non essere
vinto ma lusinga per dominare, confessa il Cristo per rinnegarlo, favorisce
l’unità per impedire la pace, reprime le eresie per sopprimere i cristiani,
carica di onori i sacerdoti perché non ci siano più vescovi, costruisce le
chiese per distruggere la fede. Ti porta in giro a parole, con la bocca, ma fa
di tutto perché non si creda che tu [o Cristo, ndr.] sei
Dio, come il Padre. … Grido a te, Costanzo, ciò che avrei detto a
Nerone e ciò che Decio o Massimiano avrebbero udito da me: tu combatti contro
Dio, infierisci contro la Chiesa, perseguiti i santi, hai in odio i predicatori
di Cristo, sopprimi la religione, tiranno non già delle cose degli uomini ma di
Dio. Ecco, secondo me, ciò che ti associa e ti accomuna a quelli. Ecco invece
ora ciò che ti è proprio: menti quando dici di essere cristiano, tu che sei il
nuovo nemico di Cristo; …» (Liber contra Constantium, 5 e 7, ora in Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo, trad.,
introduzione e note a cura di Luigi
Longobardo, ed. Città Nuova, Roma, 1997, pp. 48-49, 50).
Il Cesare di turno,
anche oggi, torna a sollecitare i vescovi fedeli alle sane dottrina e morale
ricoprendoli di privilegi o rassicurazioni circa esenzioni da tributi, ecc., in
cambio del loro placet sui suoi provvedimenti (vedi l’annosa
questione delle c.d. unioni civili, che recentemente, contrariamente a quanto
avvenuto anni
prima, hanno, invece,
riscosso il benestare del Segretario della CEI ed anche del card. Bassetti
- v. qui, qui, qui, qui, qui, qui -, trovando il plauso del mondo - v. anche qui). Quanto hanno da imparare, pure oggi, quei pastori dal
Santo vescovo Ilario, il quale preferì l’esilio in Frigia e la deposizione
dalla sua sede episcopale piuttosto che accettare compromessi inquinanti la
fede nicena! E quanto mancano oggi vescovi coraggiosi e fedeli come Ilario in
grado di difendere, senza compromesso alcuno, la sana morale cattolica.
Bottega toscana, S. Ilario, XVI-XVII sec., museo diocesano, Firenze |
Anonimo lombardo-piemontese, S. Ilario, XVII-XVIII sec., museo diocesano, Novara |
Busto-reliquiario di S. Ilario, Église Saint-Hilaire, Givet |
Reliquiario di S. Ilario, Cripta, Église Saint-Hilaire le Grand, Poitiers |
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