Pochi giorni fa abbiamo celebrato la memoria liturgica
di S. Pier Damiani. Ora, l’attualità dell’insegnamento di quest’insigne Dottore
della Chiesa ci è riproposto da un contributo di Cristina Siccardi, che
volentieri rilanciamo.
San Pier Damiani, una voce per il nostro tempo
di Cristina Siccardi
«Tutto ciò che è presente, passa; resta invece quel che si
avvicina. Come ha ben provveduto chi ti ha lasciato, o mondo malvagio, chi è
morto prima col corpo alla carne che non con la carne al mondo!»,
questi sono alcuni versi dello scritto poetico che san Pier Damiani
(1007-1072), la cui memoria liturgica è stata lo scorso lunedì 21 febbraio,
scrisse per coloro che avessero visitato il suo sepolcro, custodito nella
cattedrale di Faenza.
Ricevette l’ordinazione presbiterale intorno al 1034-1035 e in questo
periodo entrò anche nella vita monastica di Fonte Avellana (Pesaro-Urbino),
eremo fondato dal ravennate san Romualdo, del quale scrisse la biografia. Qui
ebbe modo di farsi apprezzare per le sue capacità di docente e dell’eremo
diverrà priore per 14 anni, dal 1043 al 1057.
Durante il suo priorato si adoperò nell’organizzazione e nella promozione
della vita monastica, stilando anche una fruttuosa Regola. Curò pure
l’ampliamento e la ristrutturazione di edifici esistenti e ne costruì di nuovi,
come il monastero di San Gregorio in Conca (Rimini), l’eremo di Gamogna
sull’Appennino faentino, il monastero di San Bartolomeo in Camporeggiano,
presso Gubbio… e intrattenne un nutrito carteggio con i principali monasteri
del centro d’Italia. Ma la sua azione, in qualità sia di religioso integro, sia
di letterato valente, andò oltre i confini monastici e fu chiamato dai
Pontefici per porsi al loro servizio.
Nella nutrita produzione teologica, canonistica, monastica di Pier Damiani
(trattati, opuscoli, lettere, sermoni) si possono distinguere due centri di
interesse: eremitico-monastico e teologico-ecclesiastico. La Croce è al centro
della sua dottrina: «Non ama Cristo, chi non ama la croce di Cristo»,
affermava (Sermo XVIII, 11) e si qualificava come «Petrus crucis Christi servorum
famulus – Pietro servitore dei servitori della croce di Cristo» (Ep 9, 1) e, ancora, «O beata Croce ti venerano, ti
predicano e ti onorano la fede dei patriarchi, i vaticini dei profeti, il
senato giudicante degli apostoli, l’esercito vittorioso dei martiri e le
schiere di tutti i santi» (Sermo XLVIII, 14).
La Chiesa, di quando in quando, ha necessità di coloro che rimettano ordine
nella sua dimensione umana, perché errori e peccati deturpano il modus operandi ecclesiale.
San Pier Damiani fu assai utile, in questa impresa. La Chiesa, oggi, versa in
uno stato di malattia e di vecchiaia a causa di errori che vengono tollerati e
spesso vezzeggiati.
Quando nel 1989 crollò il muro di Berlino, la Chiesa non seppe riempire i
vuoti ideologici che si erano formati in Europa, come altrove; forse a causa
del suo inverno, dopo le illusioni primaverili del Concilio Vaticano II. E il
vuoto è stato presto colmato da ideologie eredi del nazismo e del comunismo:
pensiamo, per esempio, allo sviluppo derivato dall’eugenetica tedesca
(selezione degli individui attraverso sofisticati studi scientifici, fino ad
arrivare al programma Aktion T4, nome convenzionale con cui viene identificato
il programma nazista di eutanasia). E nonostante la cavalcata del diabolico
pensiero filosofico e scientista sia proseguita, la Chiesa attualmente si trova
non impreparata – in quanto valenti studiosi contemporanei esistono per
contrastarla – ma pavida, indeterminata e svirilizzata. Troppa debole fede?
Troppa corruzione morale? Troppa superficialità e ignoranza? Forse tutto
insieme…
Bussare alla porta del Buon Pastore con la preghiera, per chi crede, è
normale; ma anche bussare alla porta del Papa è doveroso, sia per il clero che
per i fedeli. Bussare per chiedere ascolto e attenzione al Padre della
cattolicità terrena affinché venga accolto il grido da parte di chi non si
arrende alle empietà che oggi vengono perpetrate ai danni degli innocenti: i
bambini, prime vittime dei peccati degli adulti; bambini che spesso non trovano
neppure più rifugio fra le braccia dei propri genitori, latitanti perché
occupati sul lavoro o perché conquistati dai propri divertimenti o perché impegnati
con altre storie sentimentali.
Oggi, con la scienza, si pensa di rimediare o tamponare ogni tipo di
questione umana. In tal modo si crede che le problematiche psicologiche che
sorgono nei minori a causa delle lacerazioni familiari, possano essere risolte
attraverso la psicologia o la psichiatria, senza andare alla radice dei problemi,
ovvero il padre sia padre e la madre sia madre. Ahimé (come si diceva un tempo)
abbiamo non urgente necessità di psicoanalisti, ma di timor di Dio e di piscatores.
L’espressione sancta simplicitas, nel linguaggio
di Pier Damiani, designa il coraggio e la forza d’animo propria dei piscatores, uomini che partecipano con salda convinzione
alla fede. E proprio a loro si riferisce come modello di virtù nel De sancta semplicitate, lettera indirizzata a un monaco
di nome Ariprando. La sete di scienza è per san Pier Damiani, una forma di
idolatria, che distoglie l’uomo dal vero bene, che è la contemplazione di Dio.
Egli affronta così il tema della vana curiositas: il
mondo, egli sostiene, è solo la manifestazione di Dio, una teofania, pertanto
indagare troppo il creato è pericoloso poiché la «cupidigia del sapere»
è paragonata ad una tentazione diabolica.
Errori, corruzione, superbia… i peccati di sempre c’erano pure allora e si
chiamavano simonia, nicolaismo (non rispetto del celibato ecclesiastico),
rilassatezza dei costumi religiosi ed egli non temeva di denunciare lo stato di
corruzione esistente nei monasteri e tra il clero. Con il pontificato di Leone
IX si estese il suo orizzonte d’azione riformatrice e la sua collaborazione
proseguì con i successivi papati di Stefano IX, Niccolò II e Alessandro II.
Stefano IX lo nominò Cardinale e Vescovo di Ostia, ovvero uno dei sette
cardinali vescovi suburbicari a più stretto contatto con il Pontefice.
Determinante e benefico fu il suo operato. Fu presente ai sinodi romani del
1047, 1049, 1050, 1051, 1053. Nel 1049 compose il Liber Gomorrhianus (ricordiamo che è recente la
sua pubblicazione, con una introduzione del Professor Roberto de Mattei e la
traduzione di Gianandrea de Antonellis, ed è possibile acquistarlo: http://letture.corrispondenzaromana.it/libro/liber-gomorrhianus/)
sui peccati contro natura, un trattato di pregnante rilievo contemporaneo che
fu necessario scrivere all’epoca poiché la società era da essi devastata. Non
solo il Dottore della Chiesa si rivolse ai sacerdoti e ai religiosi, ma anche
ai Vescovi, responsabili di non aver imposto il rispetto della disciplina
ecclesiastica e aver tralasciato ogni intervento correttivo fra i disordini
morali, quali la sodomia.
Anche la Chiesa odierna dovrà, prima o poi, piegarsi umilmente agli
insegnamenti divini e pronunciarsi con fermezza sull’antico male che grida
vendetta al cospetto di Dio, perché, come scrive il santo di Ravenna, «Se questo vizio assolutamente ignominioso e abominevole non sarà
immediatamente fermato con un pugno di ferro, la spada della collera divina
calerà su di noi, portando molti alla rovina».
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