E così siamo giunti
alla vigilia del voto in Senato del c.d. d.d.l. Cirinnà, che prevede, da un
lato, il riconoscimento – con annessa equiparazione al matrimonio – delle c.d.
unioni civili tra persone dello stesso sesso (con gli annessi logici e
consequenziali che tale riconoscimento comporta) e, dall’altro, il
riconoscimento delle c.d. convivenze di fatto (che, evidentemente, col
riconoscimento, cesserebbero di essere … di fatto …).
Orbene, come
cattolici, non si può non ribadire che tutta la Rivelazione, intendendo per
tale sia la Scrittura sia la Tradizione della Chiesa, stigmatizzano il peccato
contro natura. Dargli riconoscimento giuridico suona come un’aperta sfida a Dio stesso, visto che si tratta di uno dei quei
peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio” ed attirano il giusto sdegno
del Signore su coloro che lo praticano e lo riconoscono.
Per questo i
cattolici sono chiamati, in questo frangente, oltre a non prestare alcun voto a
tale normativa iniqua, anche – qualora sventuratamente la stessa diventasse
legge – a non prestare alcuna collaborazione, attiva o passiva, all’attuazione
di questa legislazione. I cattolici sono chiamati all’obiezione di coscienza.
I politici di fede sinceramente
cattolica, e non “cattolici à la page”, sono chiamati a votare decisamente in
senso negativo questo d.d.l., senza se e senza ma, non essendoci spazio alcuno per
compromessi di sorta (ad es., affermando “sì al riconoscimento, no alle
adozioni” o “no alle adozioni, sì ad un affido rafforzato”). Il politico di
fede cattolica deve saper trarre da ciò le debite conseguenze, non esclusa, in
extrema ratio, la rinuncia al seggio, memore delle parole del Signore: «Che
giova all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l'anima sua?» (Mt 16, 26).
Del resto non fece altrettanto S. Tommaso Moro, celeste patrono dei politici
cattolici? Non abbiamo in lui un esempio da imitare? Piuttosto che votare, ed
essere compartecipe di una legge contraria a quella di Dio, preferì dapprima
dimettersi dalla carica di Lord Cancelliere, e poi accettare il martirio per
decapitazione il mattino del 6 luglio dell’anno del Signore 1535. Così facendo
salvò la sua anima. Il Santo patrono dei politici ha insegnato il primato della
coscienza sulla legge e sullo Stato e di cui questo non ha in alcun modo il
monopolio. Lasciò scritto: «Ho cercato di conciliare il servizio pubblico e la
mia vita interiore con la volontà di Dio e per questo non mi si può considerare
un uomo di Stato, un politico autentico, poiché costui deve accettare e
difendere anche ciò che va contro la sua stessa essenza, la sua coscienza e io
non sono mai riuscito a farlo». Affermò poi, con una convinzione che ci
stupisce ancora oggi, «l’uomo è la sua coscienza e non altro».
Ahhh …. se questi
nostri parlamentari comprendessero il valore del voto: si giocano tutto. Bene
dell’anima compresa.
Un parlamentare che
votasse a favore di tale disciplina, ancorché frutto di compromessi, certamente
esporrebbe ad un grave pericolo la sua stessa anima.
Né vale obiettare che
Gesù non abbia mai detto nulla contro la sodomia (in questo senso, ad es., si è
espresso tempo fa il c.d. “priore” di Bose, v. qui) e che le parole più dure si
troverebbero nelle Epistole paoline e Paolo sarebbe solo un’interprete del
pensiero cristiano e nulla più. No. Tale affermazione è senza ombra di dubbio
eretica, e chi la fa può definirsi, senza tema di smentita, come non cattolico
ed addirittura non cristiano, in quanto le Lettere dell’Apostolo delle Genti
costituiscono, al pari del Vangelo, la Rivelazione, essendo state pure le sue
parole ispirate da Dio. Del resto, chi afferma il contrario mostra, per un
verso, di non aver penetrato sino in fondo il cuore di Paolo, che, come ci conferma
il Crisostomo, è
il cuore stesso di Cristo (cfr. In Epistolam ad Romanos); per altro verso, dimenticano
quanto lo stesso beato Pietro diceva riguardo all’Apostolo delle Genti ed alle
sue epistole: «La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza,
come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la
sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta
di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli
ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro
propria rovina» (2 Pt. 3, 15-16). S. Pietro equipara le lettere di Paolo «al
pari delle altre Scritture» ed afferma che «gli ignoranti e gli instabili» le
travisano «per loro propria rovina».
Un ammonimento
quantomeno appropriato anche oggi.
Per cui, non è
possibile separare Paolo da Cristo e viceversa, quasi facendo una cernita tra
il Vangelo e le Lettere.
Gesù
stesso, l’Alfa e l’Omega, d’altro canto, nell’Apocalisse di S. Giovanni ordinò
all’Apostolo di scrivere: «per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli
omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è
riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte» (Ap. 21, 8). Il termine “immorali” qui
traduce l’espressione latina “fornicatoribus”, che indica tutti coloro,
uomini o donne, che ardono di passione sregolata verso altri individui (non
interessa se altri uomini o donne).
Il
Signore, dunque, in maniera chiara ha inteso riferirsi, con un termine
generale, ad ogni forma di immoralità sessuale, avulsa dalla finalità
procreativa ed al di fuori dell’istituzione nuziale legittima e secondo natura.
S.
Paolo è ancora più esplicito. Scrive letteralmente: «Per questo Dio li ha
abbandonati a passioni degradanti; le loro donne hanno cambiato i rapporti
naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il
rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli
altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se
stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento» (Rm. 1, 26-27). Questi
due versetti rappresentano l'unico punto in tutta la Bibbia in cui gli atti
omosessuali sono presi in considerazione nella loro duplice sfumatura: atti di
uomini con uomini e atti di donne con donne. Se è vero che Paolo ha appena
stigmatizzato la stoltezza dell'uomo che, aderendo all'idolatria, ha scambiato «la
verità di Dio con la menzogna, adorando e prestando un culto alle creature
invece che al Creatore» (1, 25), è anche vero che obiettivo dei vv.
26-27 è quello di mostrare a quali distorsioni può essere esposto l'ordine
della creazione, quando l'uomo perde la verità ontologica di sé stesso e della
realtà creata.
Ancora
(1 Cor. 6, 9-11): «O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di
Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati
(lett. malakoi), né sodomiti (lett. arsenokoitai), né ladri, né
avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E
tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati,
siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del
nostro Dio!». Quest’elenco si distingue per la minaccia («non erediteranno il
regno di Dio») e per l'amplificazione della devianza nell'ambito sessuale e
relazionale.
Ancora
(1 Tim. 1, 9-10): «sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per
gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i
profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i
pervertiti (lett. arsenokoitais), i trafficanti di uomini, i falsi, gli
spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, secondo il
vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato».
S.
Paolo ricorda a Timoteo che queste pratiche sono contrarie «alla sana dottrina».
I
passi di riferimento si potrebbero moltiplicare.
Per
cui, chiara è la condanna di Dio. Unanime, nella condanna, la Tradizione della
Chiesa.
Ecco cosa ne pensavano i Santi,
altro che interpretazioni personalistiche, come vorrebbe taluno. Sant'Agostino
(dottore e padre della Chiesa) scriveva: «I delitti che vanno contro natura, ad
esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand'anche tutti gli uomini li
commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio infatti
non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di se stessi.
Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha
creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venir violata» (Sant'Agostino, Confessioni, c. III,
p.8).
E San Gregorio Magno, nel suo
grandioso apostolato, non si dimenticò di asserire: «Che lo zolfo evochi i
fetori della carne, lo conferma la storia stessa della Sacra Scrittura, quando
parla della pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodomia dal Signore. Egli aveva
deciso di punire in essa i crimini della carne, e il tipo stesso del suo
castigo metteva in risalto l'onta di quel crimine. Perché lo zolfo emana
fetore, il fuoco arde. Era quindi giusto che i sodomiti, ardendo di desideri
perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del
fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male
compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso» (San Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, XIV,
23, vol. II, p. 371).
San Pier Damiani, dato che si
erano accese delle questioni in merito, ribadì, senza se e senza ma: «Questo
vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per
gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti, uccide il corpo, rovina l'anima,
contamina la carne, estingue la luce dell'intelletto, caccia lo Spirito Santo
dal tempio dell'anima» (San Pier Damiani - dottore della chiesa e grande
riformatore dell'Ordine Benedettino, Liber Gomorrhanus, in P.L., vol.
145, coll. 159-190).
San Tommaso D'Aquino, dal canto
suo, volle ribadire il concetto che l'omosessualità è una gravissima offesa a
Dio: «Nei peccati contro natura in cui viene violato l'ordine naturale, viene offeso
Dio stesso in qualità di ordinatore della natura» (S. Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, II-II, q. 154,
a. 12).
Santa Caterina da Siena e San
Bernardino da Siena, addirittura affermano che la sodomia è il peccato più
grave, dopo quello contro lo Spirito Santo e, comunque, se la sodomia è
praticata con persistenza, in violazione dei dettami di Dio, anch'esso diventa
peccato a cui non c'è perdono: «…Commettendo il maledetto peccato contro
natura, quali ciechi e stolti, essendo offuscato il lume del loro intelletto,
non conoscono il fetore e la miseria in cui sono …» (S. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza,
cap. 124).
«Più pena sente uno che sia
vissuto con questo vizio de la sodomia che un altro, perocchè questo è maggior
peccato che sia» (San Bernardino da Siena,
Predica XXXIX, in Id., Prediche
volgari, p. 915).
San Pietro Canisio (dottore della
Chiesa) non ebbe paura di dire che l'omosessualità viola sia le leggi divine
che quelle naturali: «… Di questa turpitudine mai abbastanza esecrata sono
schiavi coloro che non si vergognano di violare la legge divina e naturale» (San Pietro Canisio, dottore della Chiesa,
Summa Doctrina Christianae, III a/b, p. 455).
Per cui non può esservi dubbio
alcuno che la Rivelazione, ovverosia ciò che Dio ha voluto farci conoscere di sé
e del Suo Mistero, sia nel senso di condannare gli atti omosessuali. A maggior
ragione, degno di maggior condanna, è l’approvazione di una legislazione che
legittimasse questi atti, equiparando ciò che è frutto di una passione sregolata
e disordinata al matrimonio. Si tratta di una violazione palese della Legge divina,
che espone gravemente il politico che l’approva ed il pubblico ufficiale, che
dovesse attuare, mediante la sua cooperazione materiale, tale legge ingiusta,
alla riprovazione di Dio ed alla condanna eterna. Parimenti, il cittadino cattolico,
onde non rendersi pur egli complice, non potrà votare o dare la sua preferenza
a quei politici o partiti o movimenti, che dovessero essere favorevoli o che
avessero in qualche modo approvato o patrocinato questa legge. Commetterebbe,
infatti, qualora li votasse parimenti peccato grave.
Tutto
ciò trova conferma nelle parole del Santo Teoforo Ignazio di Antiochia,
martire, il quale, scrivendo agli Efesini, ammoniva: «Non ingannatevi, fratelli
miei. Quelli che corrompono la famiglia “non erediteranno il regno di Dio”. Se
quelli che fanno ciò secondo la carne muoiono, tanto più che con una dottrina
perversa corrompe la fede di Dio per la quale Cristo fu crocifisso! Egli,
divenuto impuro, finirà nel fuoco eterno e insieme a lui anche chi lo ascolta»
(Lett. agli Efesini, cap. XVI).
Nella
festa di S. Scolastica, Vergine, sorella di S. Benedetto, rilancio questo
contributo tratto da Riscossa Cristiana e rilanciato da Chiesa e
postconcilio.
Fabrizio Boschi, S. Benedetto in gloria con le SS. Scolastica e Francesca Romana genuflesse, Basilica di Santa Trinità, Cappella Strozzi, Firenze |
Acquaforte da un'opera del Mignard, S. Scolastica sorella di S. Benedetto e Religiosa del Suo Ordine, XVII sec., collezione privata |
Ramón Bayeu, S. Scolastica in gloria, 1787, monasterio de San Joaquín y Santa Ana, Valladolid |
Dopo il Family Day.
Cirinnà, “battaglie” cattoliche e democristianismo. Alessandro Gnocchi
intervista Elisabetta Frezza
Ineludibile e da
incorniciare. Riprendo da Riscossa Cristiana [qui].
Ha preso il nome
della senatrice Monica Cirinnà perché è stata lei a presentare il disegno di
legge sulle unioni civili che porta dritto dritto al riconoscimento delle
convivenze omosessuali con tutto quel che ne consegue. Ma, in realtà, quello
delle unioni omosessuali è un calderone messo da tempo sul fuoco e dentro ci
bolle di tutto, dalle astuzie vere e presunte della politica politicante ai
cosiddetti temi civili che sarebbe meglio chiamare incivili, fino al triste
spettacolo offerto da ciò che resta della Chiesa cattolica ai tempi del Papa
venuto dalla fine del mondo. Intanto, nel pignattone incandescente ognuno ci
butta quello che crede con l’idea di cavarne quello che spera, con il solo
risultatozzzzfrzz che chi va nella pignatta si imbroda. Così, nei vapori irrespirabili
che ne scaturiscono, in cui tutto ha lo stesso sapore, risultano appiccicose e
limacciose anche le ragioni di quelli che dovrebbero avere ragione. Nel gioco
un po’ ingenuo di smuovere le masse per smuovere le élite, proprio loro, quelli
che dovrebbero aver ragione, finiscono per pretendere di avere ragione
oscurando o ignorando quelle che dovrebbero essere le loro vere ragioni:
riducono tutto a un argomento umano, ne fanno una gara all’ “io sono più umano
di te” quando, invece, bisognerebbe dire “io sono cristiano perciò ho più ragione
di te”. Ma questi non sono argomenti buoni per la piazza, che di solito i
cristiani li dà in pasto ai leoni.
Dentro il Circo
Massimo un tempo i martiri vincevano versando il sangue ed è difficile che oggi
ci riescano urlando nei megafoni. Ammesso che si possa archiviare questa
Cirinnà, ce ne sarà un’altra. Ma qui si potrebbe obiettare che è meglio poco
piuttosto che niente, però si potrebbe replicare che è meglio niente
piuttosto che poco di buono. Ma è materia complessa, per cui è bene chiedere
lume a chi ne sa. Per questo sono andato a parlare con Elisabetta
Frezza, che ha il difetto di essere una mia amica, ma ha il pregio di essere
un avvocato con le idee chiare e il coraggio di esporle in pubblico. Molti
l’avranno già sentita parlare o avranno letto i suoi articoli sulle questioni
dell’omosessualismo, sul gender e su tutto ciò che ne discende, nella società,
nella scuola, nella famiglia. Quanto segue è quello che è uscito dalla nostra
chiacchierata.
Alessandro Gnocchi
Elisabetta, partiamo
dalla fine. Magari si riesce a pescare un filo che ci fa risalire fino ai veri
termini della questione. C’è stato il Family Day, due milioni di persone sono
andate in piazza a dire che vogliono difendere la famiglia e tante altre belle
cose. Ma come andrà a finire con la legge Cirinnà?
È tutto già scritto.
Le unioni civili si faranno, magari senza utero in affitto (tramite stepchild
adoption) in prima battuta, ma si faranno. Hanno già deciso. Cioè, ha già
deciso, lui.
Lui chi? Lui Renzi,
lui Bergoglio?
Lui Ruini. Su
Riscossa Cristiana lo ha spiegato bene Patrizia Fermani. Ruini lo ha fatto
sapere tramite Corriere della Sera, su sollecitazione di un compiaciutissimo
Aldo Cazzullo. Dietro a tutto c’è ancora il grande vecchio, è proprio il caso
di dire così. Non dimentichiamolo, Ruini è quello del “non chiediamo
l’abolizione della 194”, quello che con Carlo Casini stabilì per
tabulas i 140.000 embrioni morti ogni anno della legge 40 e fece
digerire al mondo cattolico il rospo della fabbricazione degli esseri umani in
provetta. Grazie a lui, capace di mettere in circolo la vulgata del “porre fine
al far west procreativo”, si inaugurò il mercimonio umano legalizzato,
eugenismo incorporato, con imprimatur episcopale. La stessa cosa accade ora, e
il programma è stato presentato con estrema chiarezza: di questo bisogna dare
atto agli strateghi della nuova manovra suicida, ovvero della consacrazione a
tutto tondo dei rapporti contro natura.
Però, nelle ultime
ore, si parla di una marcia indietro sulla legge, pare che l’ingranaggio si sia
inceppato: Grillo dà ai suoi libertà di coscienza, Alfano punta i piedini e fa
il permaloso…
Certo, la dialettica
politica dove tutte le idee sono sullo stesso piano e tutto è negoziabile, fa
il suo corso. I politici praticano il loro mestiere e cercano di intercettare
il massimo di consenso compatibile col mantenimento della poltrona, che è
sempre il loro obiettivo supremo. Alla fine, magari, ci presenteranno come un
trionfo una battuta d’arresto, una pausa di riflessione, sulla sorte dei
bambini. In realtà la bomba ad orologeria è innescata, lo sanno tutti, stanno
solo baruffando col timer. Una pena. In questo scenario desolante, non si deve
guardare alle marionette, ma al puparo.
Per tornare alla
questione Ruini, non è così malizioso chi pensa che il problema vero stia dentro
al mondo cattolico e che il Family Day sia la gioiosa maschera mortuaria di un
cattolicesimo votato a gestire la disfatta invece che a organizzare la riscossa.
Partito l’ordine, si
finisce per serrare i ranghi. Tutti, o quasi, ai loro posti in modo più o meno
strisciante. Tra gli organizzatori della manifestazione, dietro l’apparente
compattezza, regna la confusione più totale, ben espressa nella persona del
portavoce Massimo Gandolfini che un giorno chiede di scorporare la sola questione
dei figli, un altro parla di diritti individuali degli omosessuali, un altro
ancora di diritti civili della coppia, magari “attenuati”, in un virtuosismo
ormai incontrollato di variazioni sul tema.
Quindi, il concetto
“No Cirinnà” è forte e chiaro come sembra o no?
Bisogna tenere
presente quanto dicevamo prima: il grido di battaglia “No Cirinnà” può
benissimo voler significare – e infatti significa – “Ok a una Cirinnà bis”, con
qualche ritocco cosmetico a scadenza. Tanto, a completare il lavoro ci sta
comunque la Corte Costituzionale in servizio permanente effettivo. Basti vedere
cosa dichiara per esempio l’avvocato Simone Pillon, anche lui come Gandolfini
di area neocatecumenale, formazione protagonista assoluta della piazza: “Il
problema del ddl è la prima parte, ovvero tutti quegli articoli che
sostanzialmente equiparano le unioni civili al matrimonio. La seconda parte,
dove pure ci sono punti che non ci trovano d’accordo, potrebbe rappresentare
una base di trattativa e comunque fa riferimento ad un elenco di diritti
individuali: questo potrebbe vederci d’accordo. Il problema è l’equiparazione”.
Come da comandamento ruiniano. (vedi su ZENIT cliccando qui).
Ma, alla fine, questa
resistenza c’è o non c’è?
C’è una finta
resistenza che ha fissato il limite della ritirata strategica sulla linea
dell’utero in affitto. Una retroguardia condivisibile persino da alcune
femministe. Come sempre, la tattica è quella disastrosa di cercare ciò che
unisce al di là di ciò che divide. La grande ammucchiata rimane sempre la
grande tentazione. Ringhiano, ringhiano tutti, ma non mordono, anzi alla fine
leccano la mano di chi li nutre. È un dogma del democristianismo: can che
abbaia, lecca. In tal senso il più onesto è il presidente del Movimento per la
Vita, presente massicciamente in piazza. Gianluigi Gigli, in un articolo su Avvenire,
cala paternalisticamente dall’alto perle di autentica saggezza democristiana.
Un conto – dice – è la piazza, utile per “consolare un sentimento identitario”
(sic), altro conto il parlamento degli ottimati, dove è assurdo fare barricate
velleitarie contro la Cirinnà perché una legge sulle unioni civili “è ormai
imposta dalla Consulta e dalla UE”. Del resto, il legame di sangue tra
Movimento per la Vita e vertici episcopali, cementato dall’otto per mille, è
inossidabile (vedi su Scienza e Vita cliccando qui).
E allora, in Italia,
è rimasto qualcuno che non vuole questa legge neanche emendata?
Nella vetrina
ufficiale no. Il dissenso integrale pare evaporato. Resta, penso, nel sentire
di molti in cui alberga ancora il buon senso comune e il senso di realtà, della
gente sana distante dalle alchimie della politica dei palazzi sacri e profani.
Quella che crede ancora che ci siano dei principi veritativi da difendere a
qualunque costo. Purtroppo, spesso, crede anche che siano rimasti uomini capaci
di rappresentarla. Ma questi uomini non ci sono, o meglio, quelli che hanno il
coraggio, nonostante tutto, di andare al cuore della questione – in questo
caso, cioè, di dire che i rapporti sodomitici sono di per sé un male perché offendono
la legge naturale e divina – vengono lasciati esibire ai margini, in omaggio al
pluralismo di facciata.
Mi stai dicendo che i
due milioni del Circo Massimo sono da soli oppure che sono da soli e neanche tanto
ben attrezzati?
Probabilmente la
parte della folla non eterodiretta – in virtù di quel fenomeno di “gestione di
cervelli in conto terzi” che connota i movimenti ecclesiali, secondo una
folgorante definizione di Mario Palmaro – è ben orientata, anche se magari il
magma incandescente che le ribolle in corpo avrebbe bisogno di essere razionalizzato
e ricondotto a poche idee ben formulate, anziché condensato in slogan senza
senso e a doppio taglio perché assemblati con le stesse suggestive parole
passe-partout (i diritti, l’amore) a servizio della causa avversaria. La realtà
è che nessuno, da una postazione titolata, attacca il problema alla radice.
Nessuno osa più ricordare che un ordinamento (nella sua funzione, appunto,
“ordinatrice”) deve tutelare solo interessi che coincidano con l’interesse
generale, in vista della conservazione e della crescita retta e armonica della
società. Che la famiglia non è un fatto convenzionale, ma una realtà naturale
che precede il diritto, perché è il luogo dove si genera e si cresce la vita. Che
Sodoma fu incenerita da Dio per quelle stesse condotte che la Cirinnà e la sua
corte vogliono definitivamente legalizzare. Nessuno parla più di sodomia,
inclusa la maggioranza dei preti, vescovi, cardinali.
Questa parte sana di
cattolicesimo contro chi sta combattendo? Contro il mondo laico e omosessualista,
certo, ma anche contro chi dovrebbe guidarla?
A rigore, e magari
senza saperlo, sì. Combatte da sola. E deve continuare a farlo, beninteso,
senza scoraggiarsi e senza farsi intimidire. Meglio però se ha la percezione
disincantata della realtà, per quanto sconvolgente e dolorosa possa essere,
proprio per non venire deviata su lidi normalisti, per una idea distorta di
obbedienza alla autorità. Ormai sappiamo che le famiglie e le persone di buona
volontà in rivolta contro il disegno della creazione di Dio e contro gli
attentatori dei bambini debbono lottare oggi contro due eserciti riuniti sotto
una unica bandiera: l’esercito dei laici del nichilismo onusiano e quello degli
ecclesiastici che hanno tradito la Chiesa di Cristo con i loro emissari in
borghese.
E quale è il nemico
che ti fa più paura?
Il vero nemico non è
il radicale, il satanista, l’abortomane, ma il democristiano che ne permette
l’operato aprendogli la strada tramite la contorsione logica e morale del “male
minore”. Se su tutto questo ci metti che il Papa del “chi sono io per
giudicare” ha nuovamente tessuto l’elogio di Emma Bonino, mi pare che il quadro
sia completo. Tanti fedeli disorientati cercano disperatamente di aggrapparsi
all’uscita “cattolica” di questo o quel prelato, e si è giunti al paradosso che
pare una grazia sentir dire pubblicamente qualcosa di aderente al magistero di
sempre. Di fatto, la sodomia è sdoganata dai vescovi e il gioco dialettico,
anche aspro, tra Galantino, Mogavero e compagni da un lato (apertamente contro
il family day), e Bagnasco e Ruini dall’altro (a favore della manifestazione),
è solo quello tra il poliziotto buono e il poliziotto cattivo, per pigliare nel
sacco il malcapitato popolo di Dio.
Il mestiere mi
imporrebbe di farti questa domanda in forma asettica, quasi ingenua, ma
l’amicizia me lo impedisce. Allora ti chiedo brutalmente cosa pensi
dell’Appello che ha raccolto molti insigni giuristi intorno a una protesta
contro il disegno di legge.
Questo Appello,
promosso dal “Centro Studi Livatino”, ha raccolto le firme di moltissimi
giuristi: docenti universitari, avvocati, magistrati, presidenti emeriti di
Corti. Si intitola Rilancio della famiglia come riconosciuta dalla
Costituzione, no a improprie equiparazioni. Ora, a chi abbia in testa il codice
di decrittazione della realtà capovolta in cui siamo calati non può sfuggire
già dal titolo come questa iniziativa si immetta nella scia del moderatismo di
regime. Il testo del documento lo conferma in pieno. Ha avuto particolare
risalto proprio perché è stata presentata come presa di posizione elitaria, di
categoria. In un tempo in cui vanno tanto di moda gli “esperti” e tanto si
parla di “competenze”, una sfilza di nomi di legulei fa la sua matta figura. Ma
non è altro che l’ennesimo avallo alla linea “maleminorista”, con l’aggravante
che è un avallo titolato perché proveniente dalla crème dei
giuristi di area sedicente cattolica o giù di lì.
E che cosa
rappresenta o che cosa vuole questa crème?
A ben vedere, se
appena appena si conoscono nomi e fatti della storia recente snodatasi intorno
a questo tema, si scopre che gli autori dell’appello sono gli stessi del Testo
Unico sulle convivenze – già ampiamente commentato su queste colonne – che
costituisce lo schema tecnico-giuridico principe della “nuova famiglia
cristiana” aggiornata secondo copione. I due testi – Appello e Testo unico – si
compenetrano perfettamente e vanno letti in combinato disposto. Tutto torna.
Anche l’Appello dunque concorre all’obiettivo comune. In fin dei conti,
infatti, le posizioni di Gandolfini e compagnia ricalcano l’impianto del Testo
Unico, che altro non è se non la trappola per attirare, tramite Alleanza
Cattolica, la parte più a destra del dissenso simil-cattolico. Sono i normalizzatori
per mandato episcopale.
Direi che si sta
creando una struttura di tipo politico pronta a tutto, nel senso di pronta a
trattare su tutto. Mi sbaglio?
Non ti sbagli. Vedo i
Family Day come lo strumento mediatico per accreditare nuove candidature in
quota “cattolica”. Manifestazioni per designare, tramite acclamazione popolare,
le pedine del potere episcopale in parlamento, preselezionate in base alla
disponibilità al compromesso che è la cifra di tale potere. Una sorta di
vidimazione pubblica, quando serva un aggiornamento dell’interfaccia. Nel 2007
è stata lanciata Eugenia Roccella, con ottime referenze di militanza radicale,
che da quel primo Family Day rappresenta la cinghia di trasmissione tra vescovi
e stanze della politica e infatti per nove anni ha piantato “paletti”, postumi
o preventivi. Dalla passerella sul palco del 30 gennaio uscirà qualcun altro,
scelto in base ad analoghe credenziali. Il test di voto l’hanno già fatto, le
carte sono in regola.
Stai girando
parecchio con le tue conferenze. Che tipo di platea trovi?
Varia. Ho visto di
tutto. Dalla mamma allarmata alle persone in apprensione per figli di tutte le
età, fino a sacerdoti e politici. Non sono mancate le contestazioni,
provenienti da tipi umani ricorrenti: omosessuali, sindacalisti, studentesse
rampanti in psico-pedagogia, professoresse lettrici di Repubblica. Dopo la nota
del responsabile scuola della curia di Padova, che ha avuto un insperato
successo planetario specie in ambienti gay, il pubblico è un po’ diminuito,
perché molti genitori – che, comprensibilmente, non aspettavano altro – si sono
messi il cuore in pace: il ministro Giannini è donna di sani e robusti principi
e lavora per il bene dei nostri figli, li ha rassicurati il delegato diocesano.
Tuttavia, devo riconoscere che l’ultimo incontro, successivo al Family Day, ha
avuto un esito inatteso: la gente ha preso coraggio, ha toccato con mano che
nonostante tutto c’è ancora un idem sentire forte e diffuso,
ed è arrivata a contestare apertamente un prete che era relatore insieme a me e
asseriva che non bisogna essere troppo allarmisti, che è tutto sotto controllo,
l’importante è prendere atto delle novità, saper distinguere gli eccessi dalle
cose buone ed essere sempre disponibili al dialogo e al confronto.
C’è una parte di
gente che già sa come stanno davvero le cose o che almeno lo intuisce?
Sì. Tutti lo
intuiscono, nel profondo. La legge naturale non si gabba in così poco tempo.
Per qualche motivo ora il nemico sta vistosamente accelerando. E questo per
noi, tutto sommato, è un vantaggio: la propaganda invertita, propinata tutta in
un colpo, desta sospetto.
Nonostante questo,
continuo a chiedermi se la retorica sull’Italia sana, sul popolo della famiglia,
sia basata su numeri reali o su più o meno pie illusioni.
In effetti, noi siamo
davanti a un Italia che ormai si beve come acqua limpida divorzio, aborto,
fecondazione artificiale e orrori ulteriori, e che alla fine è tentata dal
mainstream di dire come una cantilena che i diritti delle persone non si
possono toccare e che non si deve essere omofobi.
Credo che questo,
anche sottovalutato, sia il punto. La vera guerra si vince sul terreno delle
parole. Quando, anche alla migliore petizione di principio, si premette di “non
essere omofobi” la resa senza condizioni è già stata firmata.
Infatti. Questa è
innanzitutto una guerra delle parole, che vengono coniate o ri-connotate a
servizio della campagna di conquista. L’omofobia è un’invenzione onomastica che
ha creato un fenomeno virtuale. Un esempio mirabile di neolingua orwelliana. Si
tratta della terza fase della finestra di Overton, il processo di ingegneria
sociale applicata con cui si rende l’assurdo normalità. Il regista russo
Mikhalkov la spiegava così: al primo livello, chi mangia gli essere umani è
chiamato “cannibale”. Al livello successivo si parla di “antropofagia” e, con
la parola di matrice classica e di sapore scientifico, il fenomeno, per quanto
negativo, viene considerato degno di attenzione accademica e in qualche modo nobilitato.
Al passaggio ulteriore gli antropofagi divengono “antropofili”, si addolcisce
il senso di negatività del comportamento anomalo. Nell’ultima fase, si afferma
la bontà del fenomeno inizialmente percepito come deplorevole e si realizza il
capovolgimento finale: sorge la categoria degli “antropofobi”, coloro che
pervicacemente ancora vi si oppongono, nonostante la sua avvenuta
normalizzazione. Somministrato con gradualità e maniere dolci, il paradosso è
accettato senza crisi di rigetto. Ecco, sostituendo “cannibale” con
“invertito”, si capisce come siamo finiti a parlare di “omosessuali” e
“omofobi”. L’omofobia, dunque, è un’arma strategica decisiva per il
raggiungimento, da parte dei movimenti omosessualisti, di una folle supremazia
culturale e politica, secondo il disegno di una potente regia: attraverso le formule,
si crea il soggetto socialmente pericoloso, colui che si pone al di fuori della
nuova morale codificata mediaticamente e pilotata politicamente. Secondo i
dettami di ogni totalitarismo, per legittimare la repressione è necessario precostituirsi
una minaccia interna al sistema, il nemico oggettivo, appunto l’omofobo, cioè
tu, io e tutti coloro che la pensano come noi e osano dirlo o anche solo
pensarlo (è stigmatizzato anche l’atteggiamento interiore, andiamo verso lo
psicoreato). Ecco perché con quella premessa “precauzionale” – con cui ci si
illude di apparire sufficientemente ragionevoli, tolleranti e responsabili agli
occhi della massa addomesticata – si entra nel territorio del nemico e,
assumendo le sue categorie, lo si legittima. Una mossa suicida.
A maggio è in
programma la sesta Marcia per la Vita. Tu che fai parte del comitato promotore,
puoi dirmi se c’è qualcosa che la accomuna al Family Day?
Sono due cose molto
diverse. La Marcia per la Vita è un evento annuale, è come una goccia che,
martellante, deve continuare a scalfire la roccia della indifferenza verso gli
insulti alla vita. Non è una iniziativa estemporanea e mirata, come il Family
Day. Certo, con esso condivide una funzione importante, a mio parere: quella di
mantenere una visibilità nello spazio pubblico a quella componente sana del
corpo sociale che non vuole rassegnarsi allo sfacelo etico che macina corpi e
cervelli. Se molliamo anche quel piccolo pezzo di palcoscenico e ci ritiriamo
solo nel nostro privato, togliamo a noi e agli altri un appiglio cui guardare,
e magari aggrapparsi. Scendendo per le strade dietro una bandiera chiara e
vera, mostriamo a chi ha occhi e cuore per vedere che l’opera di assuefazione
delle coscienze non è completata e non si completerà mai e regaliamo forse a
qualcuno un po’ di coraggio. L’essenziale è che queste iniziative lancino un messaggio
univoco e nitido. Siano capaci di far brillare sotto il cielo di Roma, caput
mundi, l’anacronismo della verità.
Fonte: Chiesa e postconcilio, 10.2.2016
Fonte: Chiesa e postconcilio, 10.2.2016
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