In questo venerdì delle Quattro Tempora di Quaresima,
nel quale si fa particolare memoria della lancia e dei chiodi di N.S.G. Cristo
rilancio questo contributo su S. Alfonso M. de’ Liguori di Cristina Siccardi.
Carlo Saraceni, Ostensione del Sacro Chiodo da parte di San Carlo Borromeo, 1610-20 circa, Chiesa di San Lorenzo in Lucina, Roma |
Giovanni Baglione, S. Carlo in preghiera dinanzi al Sacro Chiodo invoca la cessazione della peste, XVII sec., Chiesa di S. Pietro, Pogno |
Gian Battista della Rovere detto Il Fiammenghino, Processione di S. Carlo del Sacro Chiodo durante la peste, 1602, Duomo, Milano |
Reliquia del Sacro Chiodo, Duomo, Milano. La reliquia è oggetto a Milano, in occasione della festa dell'Esaltazione della Santa Croce, del c.d. rito della Nivola. Cfr. anche Gregory Di Pippo, A Relic of the Passion in Milan Cathedral, in New Liturgical Movement, Sept. 10th, 2015 |
Sant’Alfonso, un grande maestro per il nostro tempo
di Cristina Siccardi
Il tempo di Quaresima è quello in cui le persone dovrebbero profittare con
maggior determinazione per ordinare gli scompigli della propria anima. Viviamo
immersi in una cultura di massa dove peccati e tentazioni non solo vengono
considerati leciti, ma sono sponsorizzati continuamente e sono considerati
“diritti”.
Si è disposti, per esempio, a fare mille sacrifici per essere fisicamente
prestanti come vuole lo stereotipo proposto dalla pubblicità, dalla
cinematografia, dalle riviste… ma poco o nulla si fa per la dieta dai peccati. La palestra e i centri benessere
sono diventati luoghi di grande business “per
il bene delle persone”. E mentre ogni attenzione e culto vengono prestati al
proprio corpo, l’anima si separa sempre più dal Creatore, l’Unico a volere il
vero bene della sua creatura. Eppure i grandi moralisti della Chiesa lo hanno
sempre detto: offrire sacrifici, digiuni materiali, piccole penitenze (i misericordiosi
«fioretti» insegnati dalle buone mamme ai loro figli) è assai vantaggioso non
solo per esprimere in maniera manifesta il proprio Credo, ma per svincolarsi,
con maggior forza e facilità, dalle schiavitù del mondo, dando così spazio alla
vera libertà dell’anima. Sant’Alfonso Maria de’Liguori (1696-1787) è fra questi
grandi moralisti.
Un tempo, quando nei Seminari si insegnava Teologia morale secondo gli
orientamenti di quest’ultimo, i cattolici vivevano, pur nelle tribolazioni e
peccati quotidiani, con maggiore serenità e il tessuto sociale cattolico
seguiva coordinate serie e in armonia con le coscienze di ciascuno, costituite
dalla legge divina inscritta in ogni individuo, perciò l’onestà e il senso del
dovere tenevano più distanti le varie facce della corruzione. La teologia
morale è la medicina più salutare di ogni altra, compresa quella farmaceutica,
perché quando l’anima sta bene anche il corpo ne beneficia. Straordinario
vedere come la Teologia morale di sant’Alfonso abbia connotazioni ferme, ma
allo stesso tempo di immensa e prodigiosa misericordia.
Ai suoi tempi molti confessori erano portati ad avere una rigidità
oltremisura nei confronti dei loro penitenti ed ecco che il vescovo di
sant’Agata de’ Goti mise sulla direzione corretta la situazione che si era
andata creando. Oggi siamo nella situazione opposta: misericordia, profusa
dalla maggior parte dei confessori, senza il senso della giustizia divina e
senza la pretesa dell’essenziale pentimento. Occorre ricordare che Padre Pio da
Pietrelcina, portato a modello di confessore nell’attuale Giubileo, era un
paladino della estrema serietà del sacramento della confessione.
Con sant’Alfonso Maria de’ Liguori siamo di fronte all’equilibrio della
Tradizione: facile è per gli uomini (non ne sono esenti quelli di Chiesa)
condurre idee e dottrine in accelerazione. Più difficile stare nei canoni della
proporzione. Ebbene, Sant’Alfonso fu un sapiente equilibratore.
L’ordine morale, per sant’Alfonso, è costituito da un rapporto di
conformità tra la volontà e la norma oggettiva, cioè la legge. Tale rapporto è
dato dalla conoscenza che ha il soggetto della legge come norma obbligatoria.
Da ciò egli è condotto a respingere la probabilità isolata come regola
universale di condotta, perché essa, almeno nei gradi inferiori, non è
conoscenza; lo è invece la certezza morale in quanto rapporto conoscitivo. Questo
genio della teologia morale lavorò in maniera folgorante per contrastare le
eresie sue contemporanee e la «Norma universale»
divenne «certezza morale». Così si staccò dal facilismo dei
probabilisti, accogliendo il lato migliore del probabiliorismo e stabilendo una
posizione di netto contrasto di fronte a tutte le gradazioni del rigorismo e
del giansenismo.
I suoi formidabili scritti e la sua infaticabile predicazione portarono
sulla retta via gli insegnamenti nei Seminari, che erano diventati fucine di errori
a causa di teologi fuori equilibrio: l’Europa prese contatto con la nuova
Morale, alla quale si riconobbe a mano a mano il merito di aver consumato le
sorti del giansenismo e le tendenze più discusse del probabilismo. Tutto il
pensiero antecedente fu da sant’Alfonso riassunto: più di 70.000 citazioni da
800 autori attestano da sole il sovrumano lavoro di revisione, di critica, di
vagliatura compiuto da quest’uomo di Dio.
La mentalità di sant’Alfonso, un po’ avversa alle discussioni astratte,
riappare identica nella Morale come nella Dogmatica, nella Predicazione, nella
Missione, nella Pastorale. Nella sua complessa ed articolata opera rientrano le
nuove preoccupazioni, ispirate dalla lotta contro il materialismo,
l’indifferentismo religioso e l’incredulità, come dimostrano la Breve Dissertazione contra gli errori de’ moderni increduli oggidì
nominati materialisti e deisti e gli analoghi scritti
successivi, con i quali il teologo si pone, primeggiando fra tutti, fra le
tendenze controversistiche, antirazionalistiche, antilluministiche e
apologetiche della seconda metà del XVIII secolo.
È un teologo libero da sé (esente dalla vanagloria) e dai pregiudizi (più
facili da assumere rispetto all’affrancatura del saggio); scevro da influenze
di indirizzi dell’una o dell’altra scuola di moda, ma fedelissimo alla
Tradizione della Chiesa. Se si eccettuano alcuni autori prediletti, come santa
Teresa d’Avila o san Francesco di Sales, la sua dottrina scorre fra i vari temi
offerti dalla Tradizione con indipendenza di giudizio. Ama veleggiare nella
Tradizione, quella libera e realista, e in questa sceglie e discerne per il
bene delle anime, guardando sempre all’aspetto efficace, pratico, salutare. Ci
sono poi temi sui quali non transige e sui quali insiste senza mai stancarsi:
preghiera, uniformità alla volontà di Dio (che costituisce il termine
dell’esercizio di perfezione), meditazione sui Novissimi e sulla Passione di
Nostro Signore, Eucarestia, devozione alla Vergine Maria.
Scrive Giuseppe Cacciatore nel Dizionario biografico degli
italiani dell’Enciclopedia Treccani (Vol. 2 – 1960): «Non si esagera dicendo che si deve a lui principalmente se le
grandi teorie della mistica e dell’ascesi, le quali con san Francesco di Sales
erano uscite dalla scuola ed entrate nella cosiddetta buona società, uscirono
anche da questa e si riversarono tra il popolo. Alfonso, nell’ultima storia del
pensiero cattolico, senza parere, è stato colui che ha ritrovato le vene
dell’antica concezione eroica del cristiano ed ha, nella sua vita e nella
dottrina – umile soltanto nella veste -, rinnovato i grandi teorici dell’amore
di Dio, come li aveva conosciuti il Medioevo».
La sua Morale ruppe con facilità la resistenza del giansenismo e sorsero i
suoi eminenti propagatori: Pio Brunone Lanteri, Giuseppe Cafasso, Giovanni
Bosco in Italia; Gousset e Mazenod in Francia; Diesbach in Svizzera e in
Baviera; Hennequin nelle Fiandre; Waibel in Germania. I suoi libri corsero il
mondo in tutte le lingue.
Il filosofo Kierkegaard notava, nel sentimento religioso di questo Dottore
della Chiesa, rispondenze d’anima che personalmente lo staccavano senza
pentimenti dal pietismo protestante; mentre Gioberti e Döllinger, provando
acceso fastidio nei suoi confronti, lo snobbavano dalle loro tronfie ed erronee
cattedre. L’originalità di Sant’Alfonso è quella dei pensatori cattolici
equilibrati, che si radica nel Pensiero Eterno di Dio; quella senza tempo, che
trova dimora nella «Bellezza così antica e così nuova»,
per usare la sublime espressione di Sant’Agostino; quella in grado di
sgomberare il giardino dai rovi e che si propone di raddrizzare il cammino
verso Dio, distorto da taluni per ingenuità o per malafede.
Fonte: Corrispondenza romana, 17.2.2016
Fonte: Corrispondenza romana, 17.2.2016
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