Con
l’approssimarsi della Pasqua, è sempre più diffuso, in molte parrocchie “cattoliche”,
l’uso di far precedere i giorni della celebrazione della Passione, Morte e
Resurrezione di N. S. Gesù Cristo dalla celebrazione della Pesach
ebraica. Sovente, a questo rito, che, talora, al massimo del sacrilegio, si
svolge nello stesso edificio sacro, sono invitati gruppi numerosi di ignari fedeli.
Tale celebrazione è giustificata, a dire dei “pastori”, dall’asserita necessità
di “comprendere il contesto nel quale Gesù ha inaugurato la nuova Pasqua”.
Nulla di più falso e certamente dannoso per la salvezza delle anime. Se la necessità, invero, fosse quella di far comprendere il “contesto”, sarebbe a ciò sufficiente - e forse più opportuna e meno spiritualmente dannosa - la visione di un semplice documentario. Viceversa, il fatto di rivivere personalmente ed attivamente, da parte di cattolici, la cena ebraica pasquale, scandita com’è da una precisa ritualità, da parole e da simboli ben determinati, costituisce un indubbio atto di apostasia dalla fede cristiana, giacché, come abbiamo ricordato l’anno passato nello studio che qui rievochiamo (v. qui e qui), nel quale abbiamo richiamato la dottrina del Dottore Angelico e dei sacri canoni dei Concili della Chiesa, i riti – tutti i riti! – ebraici, nati com’erano nella prospettiva e nell’attesa della venuta del Messia, vero Agnello, una volta giunto, hanno perso senso e significato, essendo morti, divenendo perciò, qualora fossero celebrati ancora dai cristiani, mortiferi, cioè arrecanti l’eterna dannazione. Per cui, è gravemente dannoso, da un punto di vista spirituale, per la salvezza delle anime, sotto le mentite spoglie della comprensione del contesto dell’ultima Cena, far vivere la cena ebraica, giacché, per un cattolico, esiste un’unica cena: quella alla Mensa Eucaristica durante la celebrazione della Santa Messa. Questo è l’unico banchetto in memoria del Signore. Egli, infatti, non dice di ripetere la cena ebraica, ma solo la Cena Eucaristica: «HOC facite in meam commemorationem», «fate QUESTO in mia memoria».
Nulla di più falso e certamente dannoso per la salvezza delle anime. Se la necessità, invero, fosse quella di far comprendere il “contesto”, sarebbe a ciò sufficiente - e forse più opportuna e meno spiritualmente dannosa - la visione di un semplice documentario. Viceversa, il fatto di rivivere personalmente ed attivamente, da parte di cattolici, la cena ebraica pasquale, scandita com’è da una precisa ritualità, da parole e da simboli ben determinati, costituisce un indubbio atto di apostasia dalla fede cristiana, giacché, come abbiamo ricordato l’anno passato nello studio che qui rievochiamo (v. qui e qui), nel quale abbiamo richiamato la dottrina del Dottore Angelico e dei sacri canoni dei Concili della Chiesa, i riti – tutti i riti! – ebraici, nati com’erano nella prospettiva e nell’attesa della venuta del Messia, vero Agnello, una volta giunto, hanno perso senso e significato, essendo morti, divenendo perciò, qualora fossero celebrati ancora dai cristiani, mortiferi, cioè arrecanti l’eterna dannazione. Per cui, è gravemente dannoso, da un punto di vista spirituale, per la salvezza delle anime, sotto le mentite spoglie della comprensione del contesto dell’ultima Cena, far vivere la cena ebraica, giacché, per un cattolico, esiste un’unica cena: quella alla Mensa Eucaristica durante la celebrazione della Santa Messa. Questo è l’unico banchetto in memoria del Signore. Egli, infatti, non dice di ripetere la cena ebraica, ma solo la Cena Eucaristica: «HOC facite in meam commemorationem», «fate QUESTO in mia memoria».
La
partecipazione attiva ad cene “sacre” costituisce, perciò, un gravissimo
peccato mortale, in quanto atto di apostasia, manifestando – pure esteriormente
– la fede in un cristo ancora venturo ed il rinnegamento del Cristo venuto.
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