È stato scoperto il
luogo dove Gesù fu processato da Pilato?
A questo
interrogativo nel dicembre 2014, forse, si è data una risposta, venendo resa
nota la scoperta dei resti del palazzo di Erode, nel quale Gesù fu processato
da Pilato. La notizia è stata diffusa in Italia ed all’estero nei primi giorni
del 2015 (cfr. Gerusalemme, gli archeologi scoprono il luogo del processo a
Gesù, in La Stampa, 5.1.2015; Ivan
Francese, Scoperto il palazzo di Erode: qui venne processato Gesù?,
in Il Giornale, 5.1.2015; F.Q., “Gesù fu processato qui?”. Per gli
archeologi Usa trovato il palazzo di Erode, in Il Fatto quotidiano, 5.1.2015; Mario Iannacone, Il
luogo del processo a Gesù: nuove ipotesi, in Avvenire, 6.1.2015. Cfr. anche Site of Jesus’
trial unearthed? Archaeologists believe they have found remains of Herod’s
palace in Jerusalem, under former Turkish prison near Tower of David Museum,
in The Columbian, Jan. 9th 2015; Ruth Eglash, Archaeologists find possible site of Jesus’s
trial in Jerusalem, in The Washington Post, Jan 4th, 2015; Robin Ngo, Tour Showcases
Remains of Herod’s Jerusalem Palace—Possible Site of the Trial of Jesus, in
Bible History Daily, Oct. 12, 2015).
«Questo è il luogo dove Gesù è stato processato»
di Chiara Rizzo
Da pochi
giorni sono visitabili i resti del palazzo di Erode a Gerusalemme. Intervista
all’archeologo statunitense Shimon Gibson, che ci spiega cosa spinge gli
studiosi a ritenerlo il luogo del processo a Cristo
Da neanche una
settimana nella città vecchia di Gerusalemme, accanto alla porta di Giaffa,
sono visibili al pubblico per la prima volta i resti del palazzo di Erode il
Grande, scoperti nel 2000 durante gli scavi alla Torre di David. Avvolto per
anni nel mistero, quel palazzo (costruito nel 25 a.C.) sarebbe stato occupato
all’epoca in cui visse Gesù dal procuratore romano a Gerusalemme Ponzio Pilato,
e proprio qui Cristo potrebbe essere stato processato e condannato alla
crocifissione. Ne è convinto per esempio l’archeologo statunitense Shimon
Gibson, da anni impegnato a Gerusalemme in diversi scavi: «Mancano le
iscrizioni che confermino con certezza cosa sia successo in quel luogo, ma
tutti gli indizi, archeologici, storici ed evangelici, fanno pensare che fosse
proprio questo il luogo del processo a Gesù», dice. Gibson, docente di
Archeologia all’Università del North Carolina e capo del dipartimento
archeologico dell’Università della Terra Santa, racconta a tempi.it il lungo
lavoro con cui ha unito uno per uno, in quindici anni, i tasselli della ricerca
storica fino a convincersi che il palazzo di Erode «sia il luogo dove Gesù è
stato processato».
Lei ha svolto un’ampia indagine, incrociando testi
evangelici e di storici. Quali indizi l’hanno convinta?
Tito Flavio Giuseppe (37-100 d.C.), uno storico romano di origine ebraica, nel 70 d.C. scriveva: «Pilato, dopo aver sentito che costui (Gesù) era accusato dagli uomini di più alto rango, lo aveva condannato». Il più celebre Tacito, intorno al 115 d.C., cioè 80 anni circa dopo la morte di Cristo conferma: «Cristo era stato condannato alla pena di morte durante il regno di Tiberio, per sentenza del procuratore Ponzio Pilato, e la rovinosa superstizione (il cristianesimo, ndr) fu momentaneamente soffocata». Passiamo alla descrizione nei documenti dei luoghi di questa condanna. Anzitutto sappiamo, da tutti i Vangeli, che dopo l’arresto al Getsmani Gesù fu portato nella casa del sacerdote Caifa per essere interrogato. Nel vangelo di Giovanni (18; 15-19) si apprende che «lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno». L’esatta locazione della casa di Caifa non è nota: tuttavia, la tarda tradizione bizantina l’ha collocata nella zona occidentale della città, proprio non lontano dai resti del palazzo abitato dall’allora governatore romano. Il vangelo di Marco non dice molto sul luogo in cui si tenne il processo, se non che la folla «accorse» da Pilato, «mentre egli sedeva in tribunale» (Mc, 15; 8). Matteo aggiunge però che Pilato «sedeva sul suo scranno in tribunale», in greco il “bema”. È un primo indizio. Lo scranno di Pilato potrebbe essere della stessa specie di quello usato dal figlio di Erode il Grande, il tetrarca Filippo, descritto dallo storico romano Flavio Giuseppe che raccontava si trovasse nel palazzo di Erode: «Il trono su cui sedeva quando emetteva giudizi lo seguiva ovunque egli andasse».
Tito Flavio Giuseppe (37-100 d.C.), uno storico romano di origine ebraica, nel 70 d.C. scriveva: «Pilato, dopo aver sentito che costui (Gesù) era accusato dagli uomini di più alto rango, lo aveva condannato». Il più celebre Tacito, intorno al 115 d.C., cioè 80 anni circa dopo la morte di Cristo conferma: «Cristo era stato condannato alla pena di morte durante il regno di Tiberio, per sentenza del procuratore Ponzio Pilato, e la rovinosa superstizione (il cristianesimo, ndr) fu momentaneamente soffocata». Passiamo alla descrizione nei documenti dei luoghi di questa condanna. Anzitutto sappiamo, da tutti i Vangeli, che dopo l’arresto al Getsmani Gesù fu portato nella casa del sacerdote Caifa per essere interrogato. Nel vangelo di Giovanni (18; 15-19) si apprende che «lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno». L’esatta locazione della casa di Caifa non è nota: tuttavia, la tarda tradizione bizantina l’ha collocata nella zona occidentale della città, proprio non lontano dai resti del palazzo abitato dall’allora governatore romano. Il vangelo di Marco non dice molto sul luogo in cui si tenne il processo, se non che la folla «accorse» da Pilato, «mentre egli sedeva in tribunale» (Mc, 15; 8). Matteo aggiunge però che Pilato «sedeva sul suo scranno in tribunale», in greco il “bema”. È un primo indizio. Lo scranno di Pilato potrebbe essere della stessa specie di quello usato dal figlio di Erode il Grande, il tetrarca Filippo, descritto dallo storico romano Flavio Giuseppe che raccontava si trovasse nel palazzo di Erode: «Il trono su cui sedeva quando emetteva giudizi lo seguiva ovunque egli andasse».
Passiamo al secondo indizio.
Nel Vangelo di
Marco si ha l’impressione che il processo a Gesù si sia tenuto in un’area all’aperto,
dato che leggiamo: «Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel
pretorio, e convocarono tutta la corte» (Mc 15; 16). La stessa impressione si
ha nel testo di Matteo: «Allora i soldati condussero Gesù nel pretorio, e radunarono
attorno tutta la coorte» (Mt 27; 27). Alcuni studiosi hanno in passato ritenuto
che il pretorium fosse un edificio interno. Ma una coorte romana in
media raggruppava 600 soldati e sarebbe servito un luogo più ampio, aperto. In
effetti, secondo Flavio Giuseppe il palazzo di Erode aveva un’area residenziale
verso nord, protetta da tre alte torri (i resti di una delle quali sono oggi
stati recuperati) e da un muro di difesa, con un largo e meraviglioso giardino,
e un accampamento militare, cioè proprio un “praetorium”. Accanto al
palazzo sono stati ritrovati i resti di una porta, che io ritengo essere quella
“degli Esseni”: una porta che avrebbe rappresentato una via d’accesso speciale
per il re Erode, poi per il Governatore, e per i soldati e accanto alla quale
sono stati ritrovati i resti di un’ampia corte dove potrebbe essersi radunata
la folla all’epoca del processo. Il palazzo consisteva di due ali gemelle, cioè
due palazzi squadrati. Le zone di servizio, come le cucine o i magazzini, si
trovavano a nord del palazzo nell’area attualmente occupata dalla corte della
cittadella e corrispondono con i resti visibili oggi. Il palazzo era elevato
proprio su un imponente piattaforma, parte della quale ora è stata scoperta con
gli scavi archeologici sotto il Giardino Armeno. Si tratta di un terzo
importante indizio.
Perché?
I governatori romani, nei territori controllati, dispensavano la giustizia in un’arena pubblica, come una corte, o una piazza adiacente il praetorium, con uno scranno del giudice posto su una piattaforma rialzata, cui si accedeva da una scalinata. È questo che in latino viene definito “tribunale”, con la stessa parola usata nei vangeli. Il palazzo di Erode calzerebbe perfettamente a questa descrizione del tribunale, ma anche a quella evangelica. Il vangelo di Giovanni offre infatti ulteriori informazioni sul luogo in cui si è tenuto il processo: «Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi (i sacerdoti, ndr) non vollero entrare per non contaminarsi. Uscì dunque Pilato verso loro»; «Pilato allora rientrò nel pretorio» (Gv 18; 28-29). Ci suggerisce che il processo ebbe luogo in uno spazio aperto dove si trovava la folla dei Giudei infiammata, con Pilato che interrogava Gesù all’interno del palazzo, al piano del pretorio, dove Cristo fu anche flagellato. Poi Giovanni aggiunge: «Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale (in greco “bema”, cioè lo scranno), nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà». Gabbatà, secondo lo storico Flavio Giuseppe, in aramaico significava “luogo elevato”, ed è così che egli descriveva il tribunale usato dai romani proprio in una parte del palazzo di Erode. Uno strato di roccia su una parte del sito corrisponde esattamente al luogo elevato descritto come tribunale dallo storico e dall’evangelista Giovanni. Litòstroto in greco significa invece pavimento lastricato di pietre. Il luogo scoperto oggi contiene proprio una corte interna pavimentata in pietre. In effetti il palazzo sarebbe stato il luogo ideale per condurre un processo pubblico, seppur sommario, perché l’accampamento militare o “praetorium” e le tre torri consentivano ai romani di monitorare la folla accalorata radunata nella vicina corte. Molto probabilmente Gesù fu caricato della croce nel praetorium accanto al palazzo, e da lì condotto verso la Porta Gennath o del Giardino, da cui fu fatto salire al Golgota.
I governatori romani, nei territori controllati, dispensavano la giustizia in un’arena pubblica, come una corte, o una piazza adiacente il praetorium, con uno scranno del giudice posto su una piattaforma rialzata, cui si accedeva da una scalinata. È questo che in latino viene definito “tribunale”, con la stessa parola usata nei vangeli. Il palazzo di Erode calzerebbe perfettamente a questa descrizione del tribunale, ma anche a quella evangelica. Il vangelo di Giovanni offre infatti ulteriori informazioni sul luogo in cui si è tenuto il processo: «Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi (i sacerdoti, ndr) non vollero entrare per non contaminarsi. Uscì dunque Pilato verso loro»; «Pilato allora rientrò nel pretorio» (Gv 18; 28-29). Ci suggerisce che il processo ebbe luogo in uno spazio aperto dove si trovava la folla dei Giudei infiammata, con Pilato che interrogava Gesù all’interno del palazzo, al piano del pretorio, dove Cristo fu anche flagellato. Poi Giovanni aggiunge: «Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale (in greco “bema”, cioè lo scranno), nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà». Gabbatà, secondo lo storico Flavio Giuseppe, in aramaico significava “luogo elevato”, ed è così che egli descriveva il tribunale usato dai romani proprio in una parte del palazzo di Erode. Uno strato di roccia su una parte del sito corrisponde esattamente al luogo elevato descritto come tribunale dallo storico e dall’evangelista Giovanni. Litòstroto in greco significa invece pavimento lastricato di pietre. Il luogo scoperto oggi contiene proprio una corte interna pavimentata in pietre. In effetti il palazzo sarebbe stato il luogo ideale per condurre un processo pubblico, seppur sommario, perché l’accampamento militare o “praetorium” e le tre torri consentivano ai romani di monitorare la folla accalorata radunata nella vicina corte. Molto probabilmente Gesù fu caricato della croce nel praetorium accanto al palazzo, e da lì condotto verso la Porta Gennath o del Giardino, da cui fu fatto salire al Golgota.
Tuttavia nella via crucis attuale, sin dal medioevo si
considera come tribunale il luogo chiamato “Fortezza Antonia”. Perché secondo
lei non sarebbe quello giusto?
È molto
difficile che fosse quello dal momento che serviva principalmente come torre di
osservazione militare. Si affacciava sul Monte Tempio, l’attuale spianata delle
moschee, e i soldati potevano da lì tenere sempre d’occhio la folla dei fedeli,
per evitare insurrezioni o proteste. La torre era sì elevata, ma era troppo
stretta per servire da residenza del governatore e da quartier generale dei
soldati. Della struttura non è sopravvissuto quasi nulla se non la base in
roccia, che ho misurato personalmente: 90 metri per 40, contro i 140 metri per
140 del palazzo di Erode che hanno convinto maggiormente la quasi unanimità
degli archeologi.
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