L’inizio
dell’episcopato di questo Pontefice (+ 386?) fu segnato da Dio dal prodigio di
una croce luminosa apparsa nel cielo di tutta Gerusalemme il 7 maggio 351. È lo
stesso Santo vescovo, nella sua lettera all’imperatore
Costanzo, a descriverci l’evento di cui fu testimone con i propri occhi: «Nam in his sanctis sanctae Pentecostes [seu post paschalis temporis] diebus, Nonis
Maiis [7], circoter horam tertiam, crux permagna e luce constructa, in
coelo super sanctum Golgotham et usque ad sanctum Olivarum montem expansa apparuit:
non uni et alteri tantum conspecta, sed universae civitatis multitudini
evidentissime ostensa. Neque, ut aliquis forte putaverit, celeriter in imagine
praetervolavit; sed compluribus horis desuper terram oculorum visu conspecta
est, solares radios coruscantibus fulgoribus exsuperans; alioqui illis oppressa
infuscataque latuisset, nisi ipso sole valentiores conspicientium oculis
emisisset fulgores. Ita ut universa civitatis multitudo illico in sanctam
Ecclesiam confertim accurreret, immissae a Deo visionis metu cum laetitia
conjuncto perculsa; juvenum simul ac seniorum turba, virorum ac mulierum,
aetatisque omnis, ad ipsas usque in thalamis per domos reclusas puellas; indigenarum
una atque exterorum; Christianorum ac Gentilium ex diversis partibus huc
adventantium. Qui omnes unanimiter velut ex ore uno Christum Jesum Dominum
nostrum, Filium Dei unigenitum, mirabilium effectorem laudibus celebrabant: re
ipsa et experientia cognoscentes, Christianorum piissimum dogma, non in
persuasoriis sapientiae verbis. sed in demonstratione Spiritus ac potentiae
consistere: non ab hominibus solum adnuntiatum, sed e coelis Dei ipsius
testimonio comprobatum»; «Nel periodo che precede il giorno della
santa Pentecoste [che in quell’anno cadde il 19 maggio, ndr.], cioè nel
periodo dopo Pasqua, alle none [ovvero il 7] di maggio, verso l’ora terza
[ovvero le nove del mattino], un vasto corpo luminoso, in forma di croce, è apparso
nel cielo, proprio sopra il Santo Golgota, giungendo fino al Santo Monte degli
Ulivi [cioè, per quasi due miglia di lunghezza], visto non da una o due
persone, ma in modo chiaro ed evidente da tutta la città. Ciò non è stato, come
si potrebbe pensare, un fenomeno transitorio momentaneo: perché è continuato
diverse ore visibile ai nostri occhi, e più splendente del sole, alla luce del
quale si sarebbe eclissato, se questo non fosse stato più forte. L’intera
città, colpita da un timore reverenziale temprato con gioia, corse subito alla
Chiesa, giovani e vecchi, cristiani e pagani, cittadini e stranieri, tutti con
una sola voce per lodare il Signore nostro Gesù Cristo, il Figlio unigenito di
Dio, l’operatore dei miracoli, confermando attraverso l’esperienza la verità
della dottrina cristiana, che non consiste in discorsi persuasivi di
sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza (1 Cor.
2, 4) né si fonda sul solo annuncio umano, ma a cui i cieli stessi di Dio danno
testimonianza (cfr. Ebr. 2, 3-4)» (San Cirillo di Gerusalemme, Epistola ad Constantium piissimum imperatorem. De signo
lucidae crucis Hierosolymis viso, quod in caelis apparuit, PG 33,
1165-1176, partic. 1169A-1170C).
Il nostro Santo conclude la sua lettera con l’augurio che l’imperatore
possa sempre glorificare la santa e consustanziale Trinità.
Gli storici del tempo, ortodossi e non ortodossi, tra cui
Sozomeno, Teofane, Eutichio, Giovanni di Nicea, Glycas, e altri citano san
Cirillo riguardo a questo evento. Altri, come Socrate, Filostorgio, e l’anonima
Cronaca di Alessandria danno un proprio racconto di questo fenomeno. Questo
miracolo – che, in verità potrebbe, secondo taluni, descriversi come un
fenomeno, sebbene molto raro, ma perfettamente naturale, conosciuto sotto il
nome di “croce parelica”, descritto come un fenomeno ottico (cfr. Bertrand Cornet, La Fête de la Croix
du 3 mai, in Revue belge de philologie et d’histoire, 1952, pp.
837-848, partic. p. 840, nt. 2) – fu considerato dai cristiani del tempo come
la vittoria finale dell’Ortodossia cattolica sull’Arianesimo. Filostorgio e la
Cronaca di Alessandria affermano che questa Croce di luce era circondata da un “grande
arcobaleno”.
Ancora oggi gli orientali celebrano l’evento al 7 maggio, facendo Commemorazione
del Segno della preziosa Croce che apparve nel cielo sopra Gerusalemme. La
liturgia orientale, in effetti, nel Tropario canta: «Ha brillato in
questo momento più luminosa del sole l’immagine della tua Croce, che hai estesa
dal Santo Monte degli Ulivi al Calvario, e mostrando chiaramente la Tua forza
che è in essa, o Salvatore, hai anche rafforzato in tal modo i fedeli» e nel Kontakion:
«Facendo brillare i suoi raggi sopra il cielo, l’immacolata Croce è apparsa
sulla terra, luminosa con splendore, per essa è stato aperto il Cielo, che un
tempo era chiuso. Accordato il fulgore della sua opera divina, siamo con
certezza guidati allo splendore senza tramonto. Nelle battaglie l’abbiamo quale
vera arma della pace e trofeo invincibile».
La
festa di san Cirillo, il quale era morto il 18 aprile 387, fu istituita nel 1882 da Leone XIII; essa è in relazione
con l’opera di questo Pontefice per favorire il ritorno delle Chiese orientali
all’unità della Comunione cattolica.
La
messa è quella del Comune dei Dottori, come il 29 gennaio, salvo le seguenti
particolarità: la prima colletta contiene un’allusione delicata all’opera
dottrinale di Cirillo, che fu l’energico campione della divinità del Verbo contro
gli Ariani. Per questo motivo, sotto gli imperatori Costanzo e Valente, il
nostro Santo fu deposto dalla sua sede e costretto tre volte a condurre una
vita difficile di esilio, che gli valse il merito e la gloria di confessore
della fede.
La
lezione dell’Epistola è tolta dall’Ecclesiastico (Sir. 39, 6-14), e si trova
alla fine della Messa del Comune dei Dottori.
Il
Vangelo, che noi ritroviamo per la festa di sant’Atanasio, si rapporta alle
persecuzioni ed all’esilio inflitti a Cirillo dagli Ariani. Il Salvatore non
vuole che gli Apostoli si espongano temerariamente alla morte o che esercitino
un ministero inutile presso quelli che non hanno cura della loro opera.
Egli ordinò, dunque, ai
suoi discepoli (Mt. 10, 23-28) perseguitati in una città di recarsi in un’altra,
affinché la parola evangelica si diffonda e tutto il mondo possa veder brillare
la fiaccola della Parola divina ricevendone la salvezza. Gli Apostoli, Paolo
soprattutto, eseguirono esattamente quest’ordine che aveva loro dato il
Salvatore e, rigettati dai Giudei, si portarono verso i Gentili del mondo
greco-romano in seno del quale si reclutò di preferenza la Chiesa primitiva.
Il grande fuggitivo del
IV sec., sant’Atanasio, alla persecuzione del quale, come dice la liturgia,
aveva cospirato il mondo intero, ha scritto un libro (Apologia de Fuga sua) per dimostrare che la
fuga in tempo di persecuzione, vale a dire nelle circostanze previste dal testo
evangelico di questo giorno, è un atto di grande perfezione, non solamente
perché è un precetto del Cristo, ma perché, in luogo di mettere fine alle
sofferenze inerenti all’apostolato con una morte rapida, essa, al contrario, le
prolunga, riservando il missionario a delle prove nuove e più dure.
Era certo a proposito
che la messa in onore del glorioso autore delle Catechesi Mistagogiche di Gerusalemme s’ispirasse almeno ai preziosi
scritti in cui Cirillo, con una chiarezza ed una concisione ammirabili, espone
la dottrina della Chiesa relativamente ai sacramenti ed all’Eucaristia in
particolare. Il concetto della colletta di azione di grazie, in cui si domanda
che la santa Comunione, ci faccia partecipare alla società della natura divina,
è tratta dagli scritti di Cirillo, il quale, a sua volta, si ispira alla II
Lettera di san Pietro (1, 4).
Non c’è nulla di più nobile
né di più misterioso della grazia che comunica certo all’anima, in un modo
creato e proporzionato alla sua capacità, ma tuttavia sempre vera e reale, la
vita divina. Creata e divina, diciamo; due termini che sembrano escludersi; e
tuttavia l’elevazione dell’anima all’ordine soprannaturale esige precisamente
il sostegno di quella vita superiore. La grazia, difatti, prepara l’anima alla
gloria, tanto che non c’è da stupirsi se i teologi sembrano imbarazzarsi quando
devono spiegare la sua natura intima, poiché, per comprenderla, ne bisognerebbe
conoscere anche l’ultimo termine, che è la visione beatifica dell’essenza
divina.
Ansano o Sano di Pietro, Morte di S. Girolamo ed apparizione di S. Girolamo a S. Cirillo di Gerusalemme, 1444, Musée du Louvre, Parigi |
Jan Luyken, Il segno della Croce sopra Gerusalemme al tempo di Cirillo, 1649-1712, Musée du Louvre, Parigi |
Francesco Solimena, S. Cirillo di Gerusalemme, XVII sec., museo diocesano, Napoli |
Francesco Bartolozzi, S. Cirillo di Gerusalemme, XVIII-XIX sec. |
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