venerdì 18 marzo 2016

“In episcopátu injúrias multas et calamitátes, non secus ac beátus Athanásius, cui coævus erat, ab Arianórum factiónibus fídei causa perpéssus fuit. Hi enim ægre feréntes Cyríllum veheménter hærésibus obsístere, ipsum calúmniis aggrediúntur, et in conciliábulo depósitum e sua Sede detúrbant. Quorum furóri ut se subtráheret, Tarsum Cilíciæ aufúgit, et quoad vixit Constántius, exsílii rigórem pértulit. Post illíus mortem, Juliáno Apóstata ad impérium evécto, Hierosólymam redíre pótuit, ubi ardénti zelo gregi suo ab erróribus et a vítiis revocándo óperam navávit” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI CYRILLI EPISCOPI HIEROSOLYMITANI CONFESSORIS ET ECCLÉSIÆ DOCTORIS

L’inizio dell’episcopato di questo Pontefice (+ 386?) fu segnato da Dio dal prodigio di una croce luminosa apparsa nel cielo di tutta Gerusalemme il 7 maggio 351. È lo stesso Santo vescovo, nella sua lettera all’imperatore Costanzo, a descriverci l’evento di cui fu testimone con i propri occhi: «Nam in his sanctis sanctae Pentecostes [seu post paschalis temporis] diebus, Nonis Maiis [7], circoter horam tertiam, crux permagna e luce constructa, in coelo super sanctum Golgotham et usque ad sanctum Olivarum montem expansa apparuit: non uni et alteri tantum conspecta, sed universae civitatis multitudini evidentissime ostensa. Neque, ut aliquis forte putaverit, celeriter in imagine praetervolavit; sed compluribus horis desuper terram oculorum visu conspecta est, solares radios coruscantibus fulgoribus exsuperans; alioqui illis oppressa infuscataque latuisset, nisi ipso sole valentiores conspicientium oculis emisisset fulgores. Ita ut universa civitatis multitudo illico in sanctam Ecclesiam confertim accurreret, immissae a Deo visionis metu cum laetitia conjuncto perculsa; juvenum simul ac seniorum turba, virorum ac mulierum, aetatisque omnis, ad ipsas usque in thalamis per domos reclusas puellas; indigenarum una atque exterorum; Christianorum ac Gentilium ex diversis partibus huc adventantium. Qui omnes unanimiter velut ex ore uno Christum Jesum Dominum nostrum, Filium Dei unigenitum, mirabilium effectorem laudibus celebrabant: re ipsa et experientia cognoscentes, Christianorum piissimum dogma, non in persuasoriis sapientiae verbis. sed in demonstratione Spiritus ac potentiae consistere: non ab hominibus solum adnuntiatum, sed e coelis Dei ipsius testimonio comprobatum»; «Nel periodo che precede il giorno della santa Pentecoste [che in quell’anno cadde il 19 maggio, ndr.], cioè nel periodo dopo Pasqua, alle none [ovvero il 7] di maggio, verso l’ora terza [ovvero le nove del mattino], un vasto corpo luminoso, in forma di croce, è apparso nel cielo, proprio sopra il Santo Golgota, giungendo fino al Santo Monte degli Ulivi [cioè, per quasi due miglia di lunghezza], visto non da una o due persone, ma in modo chiaro ed evidente da tutta la città. Ciò non è stato, come si potrebbe pensare, un fenomeno transitorio momentaneo: perché è continuato diverse ore visibile ai nostri occhi, e più splendente del sole, alla luce del quale si sarebbe eclissato, se questo non fosse stato più forte. L’intera città, colpita da un timore reverenziale temprato con gioia, corse subito alla Chiesa, giovani e vecchi, cristiani e pagani, cittadini e stranieri, tutti con una sola voce per lodare il Signore nostro Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio, l’operatore dei miracoli, confermando attraverso l’esperienza la verità della dottrina cristiana, che non consiste in discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza (1 Cor. 2, 4) né si fonda sul solo annuncio umano, ma a cui i cieli stessi di Dio danno testimonianza (cfr. Ebr. 2, 3-4)» (San Cirillo di Gerusalemme, Epistola ad Constantium piissimum imperatorem. De signo lucidae crucis Hierosolymis viso, quod in caelis apparuit, PG 33, 1165-1176, partic. 1169A-1170C).
Il nostro Santo conclude la sua lettera con l’augurio che l’imperatore possa sempre glorificare la santa e consustanziale Trinità.
Gli storici del tempo, ortodossi e non ortodossi, tra cui Sozomeno, Teofane, Eutichio, Giovanni di Nicea, Glycas, e altri citano san Cirillo riguardo a questo evento. Altri, come Socrate, Filostorgio, e l’anonima Cronaca di Alessandria danno un proprio racconto di questo fenomeno. Questo miracolo – che, in verità potrebbe, secondo taluni, descriversi come un fenomeno, sebbene molto raro, ma perfettamente naturale, conosciuto sotto il nome di “croce parelica”, descritto come un fenomeno ottico (cfr. Bertrand Cornet, La Fête de la Croix du 3 mai, in Revue belge de philologie et d’histoire, 1952, pp. 837-848, partic. p. 840, nt. 2) – fu considerato dai cristiani del tempo come la vittoria finale dell’Ortodossia cattolica sull’Arianesimo. Filostorgio e la Cronaca di Alessandria affermano che questa Croce di luce era circondata da un “grande arcobaleno”.
Ancora oggi gli orientali celebrano l’evento al 7 maggio, facendo Commemorazione del Segno della preziosa Croce che apparve nel cielo sopra Gerusalemme. La liturgia orientale, in effetti, nel Tropario canta: «Ha brillato in questo momento più luminosa del sole l’immagine della tua Croce, che hai estesa dal Santo Monte degli Ulivi al Calvario, e mostrando chiaramente la Tua forza che è in essa, o Salvatore, hai anche rafforzato in tal modo i fedeli» e nel Kontakion: «Facendo brillare i suoi raggi sopra il cielo, l’immacolata Croce è apparsa sulla terra, luminosa con splendore, per essa è stato aperto il Cielo, che un tempo era chiuso. Accordato il fulgore della sua opera divina, siamo con certezza guidati allo splendore senza tramonto. Nelle battaglie l’abbiamo quale vera arma della pace e trofeo invincibile».
La festa di san Cirillo, il quale era morto il 18 aprile 387, fu istituita nel 1882 da Leone XIII; essa è in relazione con l’opera di questo Pontefice per favorire il ritorno delle Chiese orientali all’unità della Comunione cattolica.
La messa è quella del Comune dei Dottori, come il 29 gennaio, salvo le seguenti particolarità: la prima colletta contiene un’allusione delicata all’opera dottrinale di Cirillo, che fu l’energico campione della divinità del Verbo contro gli Ariani. Per questo motivo, sotto gli imperatori Costanzo e Valente, il nostro Santo fu deposto dalla sua sede e costretto tre volte a condurre una vita difficile di esilio, che gli valse il merito e la gloria di confessore della fede.
La lezione dell’Epistola è tolta dall’Ecclesiastico (Sir. 39, 6-14), e si trova alla fine della Messa del Comune dei Dottori.
Il Vangelo, che noi ritroviamo per la festa di sant’Atanasio, si rapporta alle persecuzioni ed all’esilio inflitti a Cirillo dagli Ariani. Il Salvatore non vuole che gli Apostoli si espongano temerariamente alla morte o che esercitino un ministero inutile presso quelli che non hanno cura della loro opera.
Egli ordinò, dunque, ai suoi discepoli (Mt. 10, 23-28) perseguitati in una città di recarsi in un’altra, affinché la parola evangelica si diffonda e tutto il mondo possa veder brillare la fiaccola della Parola divina ricevendone la salvezza. Gli Apostoli, Paolo soprattutto, eseguirono esattamente quest’ordine che aveva loro dato il Salvatore e, rigettati dai Giudei, si portarono verso i Gentili del mondo greco-romano in seno del quale si reclutò di preferenza la Chiesa primitiva.
Il grande fuggitivo del IV sec., sant’Atanasio, alla persecuzione del quale, come dice la liturgia, aveva cospirato il mondo intero, ha scritto un libro (Apologia de Fuga sua) per dimostrare che la fuga in tempo di persecuzione, vale a dire nelle circostanze previste dal testo evangelico di questo giorno, è un atto di grande perfezione, non solamente perché è un precetto del Cristo, ma perché, in luogo di mettere fine alle sofferenze inerenti all’apostolato con una morte rapida, essa, al contrario, le prolunga, riservando il missionario a delle prove nuove e più dure.
Era certo a proposito che la messa in onore del glorioso autore delle Catechesi Mistagogiche di Gerusalemme s’ispirasse almeno ai preziosi scritti in cui Cirillo, con una chiarezza ed una concisione ammirabili, espone la dottrina della Chiesa relativamente ai sacramenti ed all’Eucaristia in particolare. Il concetto della colletta di azione di grazie, in cui si domanda che la santa Comunione, ci faccia partecipare alla società della natura divina, è tratta dagli scritti di Cirillo, il quale, a sua volta, si ispira alla II Lettera di san Pietro (1, 4).
Non c’è nulla di più nobile né di più misterioso della grazia che comunica certo all’anima, in un modo creato e proporzionato alla sua capacità, ma tuttavia sempre vera e reale, la vita divina. Creata e divina, diciamo; due termini che sembrano escludersi; e tuttavia l’elevazione dell’anima all’ordine soprannaturale esige precisamente il sostegno di quella vita superiore. La grazia, difatti, prepara l’anima alla gloria, tanto che non c’è da stupirsi se i teologi sembrano imbarazzarsi quando devono spiegare la sua natura intima, poiché, per comprenderla, ne bisognerebbe conoscere anche l’ultimo termine, che è la visione beatifica dell’essenza divina.


Ansano o Sano di Pietro, Morte di S. Girolamo ed apparizione di S. Girolamo a S. Cirillo di Gerusalemme, 1444, Musée du Louvre, Parigi

Jan Luyken, Il segno della Croce sopra Gerusalemme al tempo di Cirillo, 1649-1712, Musée du Louvre, Parigi

Francesco Solimena, S. Cirillo di Gerusalemme, XVII sec., museo diocesano, Napoli

Francesco Bartolozzi, S. Cirillo di Gerusalemme, XVIII-XIX sec.

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