Il prossimo Venerdì
Santo, 25 marzo, a Dio piacendo, dovrebbe rinnovarsi il prodigio della spina
della Corona di Cristo conservate in Andria (v. qui il sito della diocesi di
Andria). L’ultima volta questo si verificò nel 2005, cioè quando il Venerdì
Santo venne a coincidere con la festa dell’Annunciazione (v. qui il video. Per altri video dedicati all'evento del 2016, v. qui). La prossima
coincidenza cadrà nel 2157.
Sacra Spina conservata nella Cattedrale di Andria |
Sequenza del prodigio del 2005 |
Il prodigio vede quella spina, solitamente secca
e con le macchie di sangue color bruno-scuro, ravvivarsi, ricoprirsi di una
peluria bianco-argentea e, talora, di esilissime e sottilissime escrescenze e
le macchie di sangue assumere una colorazione viva, di un colore rosso vivo,
quasi fosse fresco (v. supra il video del prodigio verificatosi nel 2005; v. anche qui).
Anche Bari, ed in particolare la Basilica di San Nicola, conserva una spina
analoga, che in passato ha conosciuto, sempre in occasione della medesima
coincidenza temporale, un fenomeno simile, sebbene nel 2005 non si verificasse
nulla (v. qui il sito dedicato all’evento di quest’anno 2016 e qui).
Sacra Spina conservata nella Basilica di S. Nicola, Bari |
Al tema lo
studioso Michele Loconsole ha dedicato alcuni studi, di cui riproduciamo qui un
suo contributo.
La Corona di spine
e i prodigi degli aculei verdi
«… e i soldati, intrecciata
una corona di spine, gliela posero sul capo». È questa una delle frasi più
celebri che riecheggia nelle chiese e nelle cattedrali di mezzo mondo durante
le austere letture delle liturgie quaresimali della Passione di Cristo. La
pericope, presente nei vangeli sinottici, descrive il gesto derisorio, da parte
della soldataglia romana, dell’incoronazione di Gesù il Nazareno.
Posta una corona di
spine sul suo capo, egli viene schernito e proclamato Re dei Giudei. Tuttavia, non si trattò di una
semplice corona o di un serto di spine, come verrà raffigurato dagli artisti
nelle opere pittoriche, ma di un vero e proprio casco spinoso. Il macabro
strumento, imposto sul capo di Gesù, avrebbe dovuto riprodurre la forma della mitria
orientale, il copricapo regale dei regnanti giudei, come riportato su alcune
monete che raffigurano, in bassorilievo, le effigi dei monarchi della Giudea
romana. La Corona di Spine, unitamente alle altre Reliquie della Passione di Cristo,
sarà portata alla luce da Elena, la madre dell’Imperatore Costantino, intorno
al 326 d.C., allorquando, recatasi pellegrina in Terra Santa, comandò di
rintracciare i principali luoghi evangelici della vita di Gesù, tra cui il
sepolcro e il Golgota. Ed è proprio nel pressi del Calvario che l’Augusta imperatrice
scoprirà la fossa in cui erano stati sepolti gli strumenti della Passione del
Maestro galileo, oggi inglobata nella Cappella detta di Sant’Elena, all’interno
della monumentale basilica gerosolimitana del Santo Sepolcro.
Il primo pellegrino a
dare testimonianza della presenza e del culto a Gerusalemme di una Corona di Spine, che aveva toccato e ferito
il capo di Cristo, è il vescovo napoletano Paolino da Nola. Egli, giunto in
Terra Santa nel 409, annota nel suo diario: «Alle spine con cui il nostro
Redentore fu incoronato si rendeva omaggio unitamente alla Santa Croce e alla
Colonna della flagellazione». Sarà san Vincenzo di Lerins, il pio e colto
sacerdote francese, morto tra il 440 e il 445, a informarci che la Corona di
Spine di Cristo venerata a Gerusalemme aveva la forma di «un pileus, ossia di
un elmo militare romano, che toccava e rivestiva dappertutto il Suo
capo».
L’ipotesi che la
Corona imposta a Gesù fosse, dunque, a forma di casco, e non di un semplice
serto, è rafforzata anche da
alcuni studi scientifici condotti sulla Sacra Sindone di Torino. Sul Telo
sindonico, e in specie intorno al capo dell’Uomo della Sindone – l’immagine del
corpo di un uomo, sia frontale che dorsale, la cui natura è ad oggi ancora
ignota - sono state rinvenute più di settanta macchioline di sangue prodotte da
ferite da punte acuminate, presenti sia nella zona frontale, sia occipitale.
L’elevato numero dei decalchi fa pensare che l’oggetto in questione avesse
proprio la forma di un casco, che ha torturato la testa del condannato fino a
ferirne la nuca. Da questa evidenza si comprende meglio il perché in
Europa siano custodite oltre 200 Sacre Spine, tutte ritenute tratte dalla
Corona di Spine di Cristo, di cui un centinaio in Italia.
Se, infatti, sono
almeno una settantina gli aculei che hanno insanguinato il capo dell’Uomo della Sindone – il numero sarebbe
ancora più alto perché sul Lino torinese non si è potuta imprimere l’intera
immagine della testa, a causa del risvolto operato sul tessuto che ne doveva
permettere la corretta sepoltura secondo la ritualità vigente – molte altre
sarebbero state le spine che formavano il macabro copricapo le cui punte, però,
non hanno ferito la sua testa. Tante sono le Sacre Spine, custodite e venerate
nelle chiese e nelle basiliche europee, che non presentano tracce di sangue
raggrumato sugli steli legnosi.
Lo studio scientifico
sul Sacro Telo, poi, ci aiuta a comprendere se tra le due Reliquie della
Passione di Cristo, la
Sindone e la Corona di Spine, possano sussistere ulteriori elementi di
confronto; ad esempio, se i pollini rinvenuti sul Lenzuolo torinese possono
appartenere alle specie botaniche delle Sacre Spine considerate autentiche (1)
o se il sangue presente sui Sacri Aculei è dello stesso gruppo sanguigno
riscontrato sulla Sacra Sindone, nonché sulle particole dei numerosi Miracoli
Eucaristici e sul Sudario di Cristo custodito ad Oviedo. La necessaria brevità
di un articolo non permette di argomentare quanto accennato, questioni da me
affrontate in un recente lavoro (2). Mi è però sufficiente aggiungere
che le Sacre Spine ritenute della Corona di Cristo manifestano prodigi
particolari, fenomeno che potrebbe spiegare, da solo, la loro autenticità. (3)
Quando il 25 marzo,
festa dell’Annunciazione (o del concepimento di Gesù), coincide con il Venerdì Santo (memoria mobile della morte
di Gesù) le Sacre Spine tratte dalla Corona di Cristo mostrano, e solo per quel
giorno, una prodigiosa trasformazione fisica, come è stato documentato da
numerosi atti notarili negli ultimi quattro secoli e, più recentemente, anche
da fotografie e filmati. Alcune di esse rinverdiscono (l’aculeo sembra come
ringiovanire o rinvigorirsi), altre prendono a fioreggiare (appaiono gemmazioni
o funghi lattiginosi), altre ancora, infine, rosseggiano (le macchioline di
sangue raggrumate, ove sono presenti sullo stelo legnoso, prendono a ravvivarsi
di un rosso intenso).
Non mancano casi in
cui i fenomeni prodigiosi si manifestano nella duplice o nella triplice forma,
come per le Sacre
Spine di Andria (Bari), di Montone (Perugia) e di Napoli (Monastero delle
Carmelitane Scalze ai Ponti Rossi). La concomitanza liturgica, rarissima,
accade due o tre volte ogni cento anni. Nel secolo scorso è accaduto nel marzo
del 1910, del 1921 e del 1932. Nel nostro secolo soltanto nel 2005 e nel 2016.
In quello successivo, nel 2157 e nel 2168. La motivazione sembra chiara: è la
coincidenza liturgica della memoria dell’Incarnazione di Cristo (prima
Creazione) con la sua morte (che apre alla seconda Creazione o Risurrezione).
* Studioso delle
reliquie della Passione di Gesù, è autore tra l’altro dei libri “La tela e la
spina – Due reliquie a confronto” (Progedit 2014), e “La corona di spine di
Cristo. Storia e Mistero” (Cantagalli 2005)
1 Cfr. Michele
Loconsole, Il Telo e la Spina. Due Reliquie a confronto, Bari 2016.
2 Cfr. Michele Loconsole, La
Corona di Spine di Cristo. Storia e Mistero, Siena 2005, p. 17-22.
3 Cfr. Emanuela
Marinelli, La questione dei pollini presenti sulla Sindone di Torino e
sul Sudario di Oviedo, in I Congreso Internacional sobre la Sàbana Santa in
España, Valencia (Spagna), 28-30 aprile 2012.
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