Con l’inizio della Settimana Santa, la grande Settimana della Redenzione
del Salvatore, volentieri lanciamo questa meditazione dell’abate Caronti
proprio su questo periodo particolare dell’anno.
LA
SETTIMANA SANTA
La Pasqua dei cristiani,
specialmente nella sua originaria delimitazione, è dedicata alla memoria della
passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Due perciò sono le sue parti: la
Settimana santa, che ricorda l’umiliazione del Salvatore; la Settimana di
Pasqua, che ne celebra il trionfo.
La Settimana santa fin
dall’antichità fu distinta da un nome speciale, quello di Septimana maior, designazione rimasta nei libri rituali e che ne
indica l’importanza storica, morale e liturgica, di fronte alle altre settimane
dell’anno ecclesiastico.
Tutta la vita del
Redentore, secondo l’ordine attuale della Provvidenza, era destinata al
sacrificio della croce. Si può dire che ogni fase dell’esistenza terrena di
Gesù Cristo era una fase della celebrazione di quel sacrificio. Ma,
propriamente parlando, è in questi giorni che si compie il vero sacrificio del
Nuovo Testamento, in quanto che il nostro Sacerdote si offre vittima al suo
Padre coll’immolazione cruenta della sua benedetta umanità. E perché questo è
l’atto principale della sua vita, è preceduto e accompagnato da altri atti che
ne mettono in evidenza il valore e lo preparano convenientemente.
L’umiliazione di Gesù
nella croce è il trionfo ch’Egli riporta sulle potenze infernali. Ma perché il
suo popolo non fosse scandalizzato della sua morte, prima di cadere in mano dei
nemici, vuol dimostrare alla città cieca ed ostinata di Gerusalemme che Egli è
veramente il Messia, il Figlio di Dio; che se lascia addensare e scoppiare
sopra di sé la tragica tempesta che deve condurlo a morte, ciò non è per
impotenza, ma solo per adempiere in sé i voleri paterni; che finalmente egli
sfida la morte da vero padrone e trionfatore della morte. Dopo le acclamazioni
di Gerusalemme, egli si ritira in Betania. Al momento opportuno ritorna nella
santa città per celebrare la Pasqua e per inaugurare il culto della nuova religione.
L’istituzione dell’Eucaristia, il doloroso svolgersi della cattura, del
processo, della condanna e della morte di Gesù: ecco il significato storico
della settimana che oggi cominciamo.
Al significato storico
si aggiunge quello morale.
Antonio Fernández Arias, Gesù Cristo riceve il mondo dalle mani di Dio Padre, 1657 circa, museo del Prado, Madrid |
Il contatto vitale e
salutifero col sacrificio della croce avviene secondo la legge dell’unione dei
fedeli col sacrificio dell’altare, unione che la tradizione ecclesiastica ha
espresso con una parola molto energica: l’incorporazione
con Gesù Cristo. E non è senza ragione che l’Eucaristia e il Calvario sono
riavvicinati nei misteri di questi giorni, come non è senza mistero che prima
di consumare il suo sacrificio cruento il Salvatore ne anticipò l’immolazione
incruenta. «Partecipando l’uomo alla cena, dice Sant’Agostino, si solleva a Dio
e viene incorporato a Lui». E il B. Alberto Magno, riprendendo questo pensiero
di cui non si comprenderà mai l’estensione e la profondità, continua a dire:
«In questo mistero ci trasformiamo nell’imagine invisibile di Dio quando ci
uniamo al Figlio e ci incorporiamo in Lui portando la sua imagine... divenendo
così eredi con Lui, perché incorporati al suo corpo e partecipi del suo spirito
che evapora dal suo sangue». E ancora: «Quando il Figlio di Dio venne nel mondo,
diede se stesso a noi per stare con noi; partendo dal mondo diede se stesso a
noi per essere in ciascun di noi, incorporando noi a se stesso». Tutto questo è
secondo la definizione del Concilio di Trento, che parlando del sacerdozio di
Gesù Cristo in opposizione al sacerdozio levitico, si esprime così: « Bisognò
che sorgesse un atro sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech, Gesù Cristo
Nostro Signore, il quale potesse portare alla perfezione tutti quelli che dovevano
essere santificati: qui possit omnes quotquot
sanctificandi essent consummare». La Messa pertanto ha questo scopo:
conservare viva ed efficace la memoria della redenzione, produrre
l’incorporazione delle membra a Cristo, capo dell’umanità rigenerata ed attuare
così individualmente ciò che sulla croce era stato acquistato solo in diritto.
Oblazione vera del corpo e del sangue del Signore per consumare la
santificazione della nuova umanità, investe tutti colla sua virtù, incorporando
tutti a Gesù Cristo; rinnovazione incruenta dell’immolazione reale, per il suo
carattere relativo, tutti conduce alla Croce perché rivivano i sentimenti di
Gesù Cristo sacerdote e vittima e percepiscano così l’effetto salutare della
sua morte. Hoc sentite in vobis quod et
in Christo Iesu Domino nostro.
Come avviene questa
incorporazione con Gesù Cristo e qual è la legge della sua applicazione?
Le due funzioni di Gesù
Cristo nel sacrificio sono la norma della nostra incorporazione. Gesù Cristo è
sacerdote, ma è sacerdote per noi. personificando i nostri bisogni, i nostri
voti, i sentimenti religiosi che devono animare tutta l’umanità.
L’incorporazione dunque a Gesù Cristo, sotto questo primo rispetto, importa che
noi riproduciamo per quanto è possibile lo stato d’animo che aveva Gesù quando
sacrificava a Dio: la soggezione profonda del nostro spirito, il senso della
lode, del ringraziamento, lo zelo per l’onore del suo Nome augusto.
Gesù Cristo è vittima,
ma è vittima per noi, sostituendosi all’uomo peccatore. L’incorporazione a Gesù
Cristo, sotto questo secondo rispetto, importa che noi riproduciamo per quanto
è possibile le condizioni richieste dalla vittima, condizioni che si possono
racchiudere nella formula che già conosciamo: il mistero della nostra morte
mistica in Cristo. Abnegazione della propria volontà e sottomissione ai voleri
di Dio, rinuncie quotidiane, dolori della vita, opere penitenziali, in una
parola: la croce. Compresa in questo modo, la S. Messa diventa la pratica
quotidiana dei nostri doveri cristiani e dei sacrifici che comporta, la morte e
la vita del Signore rinnovata e comunicata in noi.
(Abate Don Emanuele
Caronti O.S.B., Messale festivo per i fedeli, edizioni L.I.C.E., Torino 1923,
pp. 201-203)
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