Nell’odierna
commemorazione di S. Benedetto, abate e confessore, stante il lunedì della Settimana
Santa, rilancio questo breve contributo del compianto dom Calvet.
Il Sodoma, Il monaco Romano veste S. Benedetto, 1501-50, Abbazia Territoriale di Monte Oliveto Maggiore, Monte Oliveto |
Il Sodoma, S. Benedetto ottiene abbondante farina con la quale sfama i suoi monaci, 1501-50, Abbazia Territoriale di Monte Oliveto Maggiore, Monte Oliveto |
Filippo Napoletano, S. Benedetto riconosce e riceve Totila, re dei Goti, 1621, Basilica di S, Benedetto, Norcia |
Philippe de Champaigne, L'angelo indica a S. Benedetto il luogo dove dovrà sorgere il monastero di Montecassino,1646 circa, Musée Carnavalet, Parigi |
Philippe de Champaigne, S. Benedetto infrange la coppa avvelenata, 1638-43, Hermitage, San Pietroburgo |
Ambito Philippe de Champaigne, Morte di S. Benedetto, XVII sec., collezione privata |
Francisco de Zurbarán, S. Benedetto con la coppa di vino, 1640-45, The Metropolitan Museum of Art, New York |
L’alleanza
dello spirituale e del temporale, lo spirito della cristianità nasce in
monastero. Attualissimo
di dom Gérard Calvet O.S.B.
(1927-2008)*
Due mesi fa, nella nostra ultima Lettre
aux Amis du Monastère, mi ripromettevo di dirvi come una comunità monastica
può operare in uno spirito di cristianità. Senza dubbio non si ricostituirà
presto una civiltà cristiana, ma si possono costituire delle isole o dei
fortini, come amava ricordare il compianto padre Roger-Thomas Calmel O.P.
(1914-1975). Propongo sull’argomento alcuni fatti concreti che siano capaci d’illuminare
la nostra riflessione.
Quando i primi monaci hanno
fondato i loro monasteri nei paesi selvaggi dell’Europa, ciò che più tardi darà
vita alla civiltà, essi hanno fatto tre cose: hanno coltivato la terra (un lavoro
senza frode); hanno formato delle comunità fraterne, d’ispirazione familiare
(in accordo con l’ordine naturale); hanno fatto salire il loro canto di lode a
Dio, giorno e notte (ciò che li manteneva in contatto permanente con il loro
fine soprannaturale). Il lavoro, la vita di famiglia, il canto liturgico: come
si vede, si tratta di cose semplici e concrete, accordate alle aspirazioni
naturali dello spirito umano. Allora “ha preso”, come si dice quando il fuoco
si accende.
Vi è un inizio di cristianità
ogni volta che qualcosa di santo e di rettificato esce dalla terra. Non si
fabbricano dei valori di cristianità come non si fabbrica il grano che cresce;
lo si coltiva, certo, lo si protegge, ma occorre anzitutto della buona terra e
quel permesso divino composto da un accordo provvidenziale fra l’acqua, il sole
e il lavoro degli uomini. Il radicamento benedettino ha dato vita all’Europa
cristiana grazie a un’unione di fatti miracolosi che la storia registra sotto
il nome di cause, ma che è in primo luogo un effetto interamente gratuito della
grazia divina.
Questo accordo gratuito,
indissolubile, fra la natura e la grazia, costituisce un primo principio. Lo
spirito di cristianità eviterà di conseguenza ogni rivestimento, ogni difetto
di esecuzione. Manifestare delle abitudini di pietà a detrimento delle virtù
naturali, impostare una mistica senza ascesi, inventare dei gesti liturgici
contrari alle leggi del sacro, comporre delle parole pie su dei cattivi cantici,
pretendere d’incidere dei segni eterni su una materia friabile, sono degli
imbrogli che presto o tardi finiranno per rivoltarsi contro l’uomo. Più che una
mancanza di gusto, è una specie di menzogna, una grande disgrazia per le anime
e per la civiltà.
Mille anni di cristianità mettono
in discussione questa miserabile concezione della vita e testimoniano a favore
di un’attenzione profonda, di un’immensa serietà nei confronti dell’ordine
temporale. Il gusto della perfezione, la tenera sollecitudine con la quale si
circondano le cose del tempo, sono sempre un segno di civiltà.
Gli hippy cercano l’evasione; i
mistici cristiani piantano e costruiscono. Quando Dio ha deciso nel secolo XV
di salvare il destino politico di una nazione cristiana, ha scelto una vergine
e si è preso cura di farla istruire tramite la lunga mano di un arcangelo e di
due santi del Paradiso. Ecco qualcosa che ci dovrebbe illuminare sull’eminente
dignità dell’ordine temporale.
Quest’alleanza dello spirituale e
del temporale, quest’articolazione dell’uno sull’altro, lo ritroviamo nella Regola di
san Benedetto. La Regola, è vero, s’indirizza ai cercatori di Dio,
alla ricerca di assoluto, ma lungi dallo spingerli a evadere dalla loro
condizione di creature, essa si fonda anzitutto sulle semplici virtù naturali:
la pietà filiale, la lealtà, la pazienza, l’ospitalità, l’amore del lavoro ben
fatto, la vita in comunità con il suo corteo di esigenze, soprattutto l’umiltà
e il mutuo supporto. È tutta un’educazione dell’uomo, preoccupato di
ristabilire l’unità fra l’anima e il suo comportamento esteriore. Senza di essa
non avremmo nemmeno l’idea di costruire con decenza una chiesa abbaziale, la
cui architettura, nella purezza delle sue forme, sia come quella dei nostri
antenati: un’immagine dell’anima e una predicazione silenziosa del mistero di
Dio.
*Lettre aux Amis du Monastère, n. 27, 18 febbraio 1985, pp. 1-2, trad. it. di fr. Romualdo Ob.S.B.
*Lettre aux Amis du Monastère, n. 27, 18 febbraio 1985, pp. 1-2, trad. it. di fr. Romualdo Ob.S.B.
Fonte: Il Timone, 4.3.2016
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