In questo Venerdì Santo, un’interessante riflessione
sulla flagellazione del Figlio di Dio.
L’articolo è riprodotto anche da Il Timone, 22.3.2016.
Giacomo Cavedone, Cristo deriso, 1614, collezione privata, Bologna |
Nicolò Grassi, Flagellazione di Gesù, 1720, Szépművészeti Múzeum, Budapest |
Anton Raphael Mengs, Flagellazione di Cristo, 1769, Palacio Real, Madrid |
William-Adolphe Bouguereau, Flagellazione di Nostro Signore Gesù Cristo, 1880 |
L’archeologia
conferma l’Uomo della Sindone
di Flavia Manservigi
L’Uomo della Sindone è Gesù? Per
molti studiosi, l’impressionante coincidenza tra i segni di tortura che hanno
lasciato un’impronta sul telo e il racconto della Passione che si trova nei
Vangeli è sufficiente a dimostrare tale identità. L’Uomo della Sindone, come
Gesù, fu incoronato di spine e il suo costato fu trafitto da una lancia. Come
il Salvatore, l’Uomo della Sindone fu flagellato abbondantemente – come
dimostrato dalla serie di numerosi piccoli segni di forma irregolare impressi
sul Lenzuolo, traccia inequivocabile delle ferite provocate dai colpi di sferza
-, come se quella fosse l’unica pena cui era stato condannato, mentre in
seguito fu anche crocifisso. Ciò concorda pienamente con il Vangelo di
Giovanni, che parla delle due condanne inflitte a Gesù da Pilato.
L’ipotesi di una possibile
identificazione tra i supplizi subiti dall’Uomo della Sindone e quelli inferti a Gesù comporta la
necessità di verificare se effettivamente i segni presenti sul telo siano
compatibili con le forme di tortura che erano applicate nel I secolo nel mondo
romano.
Per quanto riguarda la
flagellazione, in ambito romano essa era
codificata secondo un rigido protocollo legislativo, e prevedeva l’utilizzo di
un’ampia gamma di strumenti, di cui il più terribile in assoluto - utilizzato
per punire i reati più gravi - era l’horribile flagrum, un flagello
dotato di corregge terminanti con estremità contundenti, in grado di battere e
lacerare le carni. Secondo gli studiosi, sarebbe stato usato proprio questo
strumento per flagellare l’Uomo della Sindone; molti sindonologi ritengono
inoltre che questo flagrum fosse del tipo taxillatum,
ossia dotato di taxilli (piccoli ossicini di animale,
altrimenti noti come astragali).
È opportuno precisare, però, che
il termine taxillatum non è mai usato nelle fonti storiche: è stato infatti coniato solo nel XVI
secolo dal filologo e umanista Giusto Lipsio per rendere la parola greca
“astragalato”. Meglio quindi, per riferirsi a questo strumento, parlare di flagrum ’dotato
di astragali’. È inoltre opportuno considerare che questo tipo di flagrum non
era usato dai soldati Romani a scopi punitivi, ma veniva utilizzato dai
sacerdoti della dea orientale Cibele durante rituali di autoflagellazione. L’associazione
tra Gesù, l’Uomo della Sindone e il flagrum ’astragalato’ è
quindi molto improbabile.
Tuttavia, diverse fonti databili
all’epoca romana e ai primissimi secoli dell’Era
Cristiana ci parlano di flagra dotati di estremità contundenti, quindi
compatibili con le tracce sindoniche: il Codice Teodosiano, così come vari
autori - tra cui Zosimo e Prudenzio - descrivono le plumbatae,
palline di metallo che erano poste all’estremità degli orribili flagelli per
imprimere ancor più orribili punizioni.
Numerosi dizionari di Archeologia
Romana e Cristiana, datati tra la fine dell’800 e l’inizio
del ‘900, ci informano che esemplari di questo tipo di flagrum sarebbero
stati rinvenuti a Ercolano e nelle catacombe di Roma, e sarebbero quindi
databili a periodi vicinissimi a quello in cui visse Gesù. Ad oggi, non abbiamo
notizie in merito ai flagra di Ercolano: essi sono stati
probabilmente dispersi in qualche collezione privata, o potrebbero essere stati
smembrati in più parti.
Discorso diverso vale per i flagra delle
catacombe, di cui quattro esemplari sarebbero
oggi conservati presso i Musei Vaticani, dove essi sono catalogati come
flagelli bronzei romani (invv. 60564-60567). La comprovata esistenza di questi flagra dalla
forma compatibile con le tracce sindoniche sembrerebbe togliere ogni dubbio
circa la possibilità che l’Uomo della Sindone sia stato flagellato con
strumenti utilizzati in ambito romano nell’epoca in cui visse Gesù.
È però necessario precisare che i
quattro flagelli erano esposti insieme ad
altri reperti, a loro volta classificati come strumenti di tortura, ma che in
realtà avevano ben altri usi: uno di questi, inventariato come ‘graffione’, è
stato in seguito identificato con un porta lucerne etrusco. Da qui il dubbio
che anche i flagelli siano in realtà qualcosa di diverso, non legato all’ambito
della tortura; tale eventualità è avvalorata dalla somiglianza tra le
terminazioni di questi reperti con quelle di alcuni oggetti rinvenuti nella
necropoli villanoviana di Verucchio (RN), classificati come pendenti
ornamentali o stimoli per cavalli. Il problema circa l’esatta identificazione
dei quattro ‘flagelli’ dovrà quindi essere oggetto di ulteriori
approfondimenti.
Ciò non toglie che l’uso di
flagelli dotati di corregge terminanti
con oggetti contundenti, quindi compatibili con i segni visibili sull’impronta
sindonica, fosse sicuramente diffuso in un’epoca prossima al periodo in cui
visse Gesù: questo dato è attestato da fonti storiche e letterarie, come
abbiamo visto.
Inoltre, il fatto che in un’epoca
non lontana dal I secolo si
facesse uso di flagelli terminanti con estremità contundenti è dimostrato anche
da altre testimonianze: all’interno di un numero del Bullettino dell’Instituto
di Corrispondenza Archeologica datato al 1859, l’etruscologo Gian Carlo
Conestabile della Staffa riporta la notizia del ritrovamento, nella zona di
Volterra, di un oggetto identificato con un flagello di bronzo, formato da «sei
lunghe catenelle che vanno a riunirsi tutte in un’asta serpeggiante […]; tre di
quelle catenelle sono doppie, e tre semplici, formate da anelli e fornite in
punta di una pallina».
Gli Etruschi, quindi, usavano
flagelli terminanti con estremità contundenti; dagli Etruschi, i Romani avevano mutuato non solo la pratica della
flagellazione, ma anche l’uso di alcuni strumenti per flagellare: è
ipotizzabile, quindi, che i Romani avessero ‘ereditato’ anche questo oggetto.
Sebbene, quindi, le testimonianze
archeologiche ad oggi in nostro possesso
non siano totalmente sicure, ciò non toglie che esista compatibilità tra gli
strumenti in uso per la flagellazione nei primissimi secoli dell’Era Cristiana
e i segni visibili sull’impronta lasciata dall’Uomo della Sindone.
Ovviamente questo dato, da solo,
non rappresenta la prova definitiva del fatto che Gesù e l’Uomo della Sindone siano la stessa persona;
tuttavia, l’analisi delle fonti porta ad avvalorare la possibilità che l’Uomo
della Sindone abbia subito una tortura tipica dei luoghi e dei tempi in cui
Gesù visse, operò e accettò di caricare sulle proprie spalle la croce più
grande per la salvezza dell’umanità.
Le meditazioni
proposte da La NBQ per la Settimana Santa:
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