domenica 6 marzo 2016

Quarta Domenica di Quaresima: la benedizione della Rosa d’oro

Riporto dal recente blog Rerum Liturgicarum quest’interessante contributo di Francesco G. Tolloi sulla IV Domenica di Quaresima o Domenica Laetare o Domenica della Rosa e sulla benedizione della rosa d’oro (sulla benedizione della rosa d'oro si rinvia a Stefano Sanchirico, Storia di un antico simbolo del buon odore di Cristo. La rosa d’oro del Papa, in L’Osservatore Romano, 9.1.2011).

Giuseppe Gatteri, Il Doge  di Venezia Francesco Loredan riceve la Rosa d'oro dal Nunzio Apostolico in San Marco, 1759

Nel Medioevo il Papa, in questo giorno, andava alla stazione a Santa Croce in Gerusalemme tenendo in mano una rosa d’oro, di cui poi spiegava al popolo il mistico significato. Nel ritorno, ne faceva un presente al prefetto di Roma, da qui è nato l’uso ancor oggi vigente, che la rosa d’oro benedetta dal Pontefice venga inviata in dono a qualche principe cattolico.
In questa domenica, il popolo cristiano canterà meglio la sua gioia «Lætare» (Intr., Ep.) per la vittoria ottenuta da Gesù sulla croce a Gerusalemme, ed è lì anche sarà meglio evocato il ricordo della Gerusalemme celeste di cui la morte di Gesù ci ha riaperto le porte. Questo è il motivo per il quale si benedicevano un tempo in tale chiesa in questo giorno una rosa, la regina dei fiori, poiché così lo ricordavano le formule della benedizione – uso consacrato dall’iconografia cristiana – è con un giardino fiorito che si rappresenta il cielo. Si impiegano per questa benedizione degli ornamenti rosacei ed anche tutti i sacerdoti possono celebrare oggi in paramenti di questo colore. Quest’uso è passato da lì alla III domenica di Avvento, che è la domenica Gaudete e che cade a metà dell’Avvento e ci fa gioire di una santa allegrezza e così ci consente di proseguire coraggiosamente la nostra laboriosa preparazione alla venuta di Gesù.

Quarta Domenica di Quaresima: la benedizione della Rosa d’oro. Qualche appunto

Era anticamente buona ed utile regola identificare e denominare le domeniche utilizzando le prime parole dell’Introito proprio del giorno. Tale uso è rimasto ancora, perlomeno abbastanza diffuso, per quanto concerne la terza domenica d’Avvento (Gaudete) e la quarta domenica di Quaresima (Laetare), circa la quale intendo qui soffermarmi. Il Missale romanum indica la stazione alla Basilica della Santa Croce, la “sessoriana”.

Roma: Basilica di S. Croce in Gerusalemme (Sessoriana)

Stando all’opinione del beato Schuster, l’individuazione della Statio in tale basilica è da ricercarsi in un processo imitativo della costumanza orientale; nella Chiesa Greca vi è infatti una domenica della “Grande Quaresima” deputata in modo particolare a commemorare il vivificante legno della Croce; in Occidente – seppure con uno spostamento temporale, visto che il rito greco celebra tale mistero la terza domenica – si sarebbe scelta questa domenica con conseguente ubicazione della Stazione alla Sessoriana in considerazione dalla particolare importanza e preziosità delle reliquie della Passione ivi convenientemente serbate ma un altro motivo è sicuramente il riferimento chiaro dell’Introito, come vedremo, alla santa Gerusalemme di cui la basilica romana è immagine. Sempre secondo il Beato, questa particolare solennità che la Chiesa di Roma riserva e tributa alla quarta domenica di Quaresima, potrebbe ricondursi all’antico caput jejunii – di matrice appunto schiettamente romana – di tre settimane prima della Pasqua [1].
In ogni caso, stante la configurazione della Quaresima, anche un approccio superficiale e distratto potrebbe consentire di evincere con immediatezza le caratteristiche di letizia e di gioia, non fosse altro per l’uso – sebbene facoltativo - del colore rosaceo [2] in luogo del viola e per il festoso incipit dell’Introito le cui parole – mutuate dal profeta Isaia (66, 10-11) spronano a sentimenti di tripudio: Gerusalemme, e per trasposizione la Chiesa, deve rallegrarsi, deve saziarsi alle fonti della sua consolazione. All’invito di Isaia fa degna eco il versetto del Salmo 121 (1): Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus.
Se volessimo per un istante considerare gli antichi rigori quadragesimali ancora di più riusciremo a penetrare appieno nei sentimenti più autentici di questa domenica che permette un ristoro al penitente, in un periodo ormai prossimo alla contemplazione dei misteri principali della nostra redenzione e della nostra fede. Letizia dunque, ma anche sprone a compiere gli ultimi sforzi, è proprio in questo contesto - sapientemente definito dai segni liturgici - mi pare di poter inquadrare il singolare rito della benedizione della Rosa d’oro, compiuta dai Pontefici, che sembrerebbe voler alludere a un premio che nel contempo è un pegno a perseverare nelle virtù in considerazione delle quali si è fatti oggetto di tale altissimo riconoscimento.

Rosa d'oro offerta da papa Pio VII all'Imperatrice d'Austria Carolina Augusta
(Vienna, Kunsthistorisches Museum)

La costumanza di benedire la Rosa d’oro affonda le sue radici nell’alto Medioevo; se ne ha testimonianza durante il pontificato di papa Leone IX (+ 1054). Il Moroni [3] ci precisa che – in realtà – all’epoca del menzionato pontefice essa fosse già stata in vigore, nell’affermarlo egli poggia la sua opinione sul Catalano [4].
Mi è parso utile ed interessante riportare la descrizione che ne fa l’informatissimo Francesco Cancellieri nel XVIII secolo: proprio di questo Autore il citato Moroni si dichiara più volte discepolo.
Prima di lasciare lo spazio a questo illustre Testimone, desidero spendere qualche parola – anche se poi il Cancellieri fornirà la sua descrizione - circa questo manufatto: la Rosa d’oro, se inizialmente era concepita solo e semplicemente come un fiore, ha assunto nei secoli una certa quale ampiezza di forme. Nella sua foggia originaria essa era un fiore fabbricato col metallo prezioso, alle volte essa veniva colorata di rosso proprio per imitare il fiore. Più tardi la colorazione di rosso fu accantonata, preferendo incastonare un rubino. La forma più conosciuta parrebbe rimontare all’epoca successiva a Sisto IV (+1484) [5]: essa si compone di una fronda fiorita, con ramo spinoso e più boccioli, tutti realizzati in oro. Il fiore principale ha una piccola coppa con relativo coperchio o una semplice lamina forata: in essa – durante la benedizione – il Sommo Pontefice andrà a introdurre il balsamo ed il muschio evocanti la fragranza del fiore preso a modello per il manufatto. La realizzazione della Rosa d’oro è sempre stata affidata alle sapienti mani di artisti di altissimo livello, tra i tanti esempi che potrei portare citare ricorderò quella realizzata dal Bernini per conto di papa Alessandro VI [6].
Quanto a questa mia trascrizione del Cancellieri, preciso che ho rispettato l’uso delle maiuscole, abbreviazioni, corsivi e punteggiatura dell’Autore. Per comodità ho ridotto le note a piè di pagina del testo originario, con riferimenti bibliografici, inserendole nel corpo del testo e identificandole con delle parentesi. Alla fine del testo mi soffermerò su alcuni aspetti che ritengo utili.
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Capo VII.
Quarta Domenica di Quaresima.
Cappella Papale e Benedizione della Rosa d’oro. [7]

Questa mattina canta Messa un Cardinal Prete. L’Altare è ornato con otto Statue d’argento, se la Cappella si fa alla Sistina, e con tredici, se si fa alla Paolina al Quirinale. Tutto il S. Collegio viene in Sottana, Mozzetta, e Mantelletta di color Rosa secca, come nella terza Domenica dell’Avvento, colle Cappe violacee.
Il Papa ancora viene in Piviale di color rosaceo, consimile al colore del Trono, ed anche il Celebrante co’ sacri Ministri. Il Diacono porta la Dalmatica, e il Suddiacono la Tonicella, e non già le Pianete piegate. Poiché tutta la Messa di questo giorno eccita all’allegrezza, interponendosi dalla Chiesa questo giubilo spirituale, per ristorare i Fedeli dall’afflizione del digiuno.
Il Papa unge col Balsamo del Perù, e col muschio, e benedice la Rosa d’oro nella stanza de’ Paramenti, prima di venire in Cappella. Il Vaso col suo coperchio, in cui si contiene il Balsamo, è di argento. L’altro che serve pel muschio, è di avorio con piede, e coperchio simile, guarnito d’argento dorato, con un dente, o lingua serpentina impietrita nella Coppa.
Un picciolo Cucchiarino d’oro con uno Zaffiro in breccia incastrato nel mezzo serve per pigliare il Muschio, ed un altro di argento dorato per prendere il balsamo.
Varj sono stati i disegni, che si sono usati in diversi tempi, de’ vasi, o de’ piedi per questa Rosa. Presentemente ha un piede triangolare col suo balaustro, sopra di cui sorge un ramo spinoso con varie Rose, ed una in cima più grande, in cui v’ha una picciola Crate, o sia Lamina forata, dove il Papa nella benedizione pone il balsamo, e il Muschio. Tanto il piede, nelle cui tre facciate v’è lo stemma del Papa, quanto il Ramo, e le Rose, sono tutte d’oro.
Dopo che la Rosa è stata benedetta vien portata in Cappella da un Chierico di Camera in Cotta, e Rocchetto, che la consegna a mons. Sagrista, il quale la colloca sopra l’Altare sotto la Croce, d’onde la rileva, per farla riportare dal medesimo Chierico di Camera, dopo la Messa, nella stanza de’ Paramenti, in una picciola Mensa fra due Candelieri. Poi si ripone, e si conserva per regalarsi a qualche Personaggio, come ha fatto il Regnante Pontefice all’Arciduchessa di Austria Maria Cristina, ed alla di lei Sorella Arciduchessa Amalia.
L’Introito si canta in contrapunto. Sermoneggia il P. Procurator Generale de’Carmelitani. Il mottetto Cantemus Domino dopo l’Offertorio, è di Matteo Simonelli, con seconda parte. Il Deo gratias si canta.
Questa Domenica viene frequentemente chiamata Domenica Laetare, dall’Introito preso dalle parole d’Isaia (LXVI. 10). Dicesi ancora Dominica panum dall’Evangelio, in cui si narra la prodigiosa moltiplicazione de’ pani nel Deserto. Ma più communemente si appella Dominica RosaeRosarum, o de Rosa, dalla Rosa d’oro, che per antichissimo uso il Papa suol benedire in questo giorno.
Il P. Calmet (In Probatione Historica Lotharingiae Tom. I, col. 427) è stato il primo a scuoprire la vera origine del Rito, che ha dato questo nome alla presente Domenica. S. Leone IX ereditò fra’ suoi beni patrimoniali il Monastero di S. Croce in Alsazia, e vendicollo in libertà, assoggettandolo immediatamente alla S. Sede. E per eternare la memoria di questa esenzione, gl’impose il tributo annuo di una Rosa d’oro di due oncie, da portarsi in mano da lui, e da’ suoi successori nella quarta Domenica di Quaresima, celebrando nella Basilica di S. Croce di Gerusalemme. E così sotto il nome di Tributo, o Censo pagato da un Monastero posto in libertà, venivasi a simboleggiare la misteriosa allegrezza del Popolo d’Israello, liberato dalla schiavitù Babilonica, a cui si allude nel lieto uffizio di questo giorno.
Nel breve corso di un mezzo Secolo, questo semplice Tributo di un Monastero esente divenne regalo degno de’ Principi. Poiché si legge presso Dachery (T.X. Spicilegii p. 396), e Luca Olstenio (Colleg. Rom. P. 11. P. 222), che questo Fiore fu regalato nel 1096 da Urbano II, dopo la celebrazione del Concilio di Tours, a Fulcone Conte d’Angers, il quale grato di quest’onore fissò, che dovesse esser portato da sè, e da’ suoi successori nel giorno delle Palme.
Nel 1230 s’introdusse il costume di aggiungere a questa Rosa le qualità esterne del suo Fiore, tingendo l’oro di rosso, e spargendola di muschio; e di spiegarsi il mistero del colore, e dell’odore della Rosa naturale, dallo stesso Pontefice con un Sermone, per l’istruzione del Popolo, come ci attestano il Canonico Benedetto (In Ord. XI. num. 36), il Diploma di Alessandro III, che la regalò a Ludovico VII Re di Francia (T.X. Concil. p. 1360. E in T. IV. Hist. Francor. a pg. 768) e il Durando (Rational. lib. cap. 53 num. 10). Ma sopra tutto ce ne convince il Sermone d’Innocenzo III su questo argomento.
Sappiamo poi da Cencio Camerario (Ord. XII. num. 17), che nello stesso Secolo XII s’ incominciò ad aggiungere al muschio anche il balsamo. Sembra, che si cessasse di colorir l’oro, quando s’introdusse l’uso di collocare un Rubino in mezzo alla Rosa, per renderla più preziosa, senza alterarne le qualità, come poi si è sempre praticato, anche quando si è ridotta la semplice Rosa ad un Ramo di Rose vago, e fiorito, come or lo vediamo. Questa variazione dev’esser seguita prima di Sisto IV, che un anno in vece della Rosa, benedisse una Quercia d’oro, rappresentante il suo Stemma, che mandò in dono alla Cattedrale di Savona sua Patria. Pio II sermoneggiò sopra la Rosa, secondo l’antico costume, che però, come apparisce da Pietro Amelio (Ord. XV. num. 48), era già divenuto arbitrario, e poi andò affatto in disuso.
Ma benché si variassero le circostanze, che accompagnavano le qualità della Rosa, si conservò l’uso di mandarla in dono a qualche Principe, ovvero di regalarla a qualche nobile Personaggio, che si trovasse in quel dì presente alla Sacra Funzione. Questi per lo più era il Prefetto di Roma (Felix Contelorius de Praefecto Urbis. Romae 1631. 4. Gaet. Cenn del Prefetto di Roma a tempo de’Re, e della Repubblica, a tempo degli Augusti, e Re d’Italia, e sotto i Rom. Pontefici. nel T. I. delle sue Dissert. Postume p. 269), vestito di scarlatto, o di porpora, colle calze di color oro, che accompagnava a piedi il Papa, che cavalcando portava la Rosa in mano fino al Palazzo Lateranense, dove smontava, e ivi baciandogli i piedi, ricevea il dono della Rosa.
Convien però avvertire, che non tutti ebbero questa Rosa benedetta, come molti han creduto, quasi che sia tanto antica la Rosa d’oro, quanto la sua benedizione. Questa certamente non può attribuirsi né a Urbano V, né ad Innocenzo IV, a cui sia assegna dall’Autore della sua vita, a cui si assegna dall’Autore della sua vita, seguito dal Martene (De Rit. Ant. Diss. XIX num. XVII); ma è posteriore a Niccolò V, giacché niuna menzione di questa benedizione si fa negli Ordini da noi citati, e la prima volta che si nomina, è nel Cerimoniale di Cristofaro Marcello. Paolo III tolse l’uso, introdotto da Paride de Grassi sotto Giulio II, Leone X, e Clemente VII, di ungerla col Crisma; e il Rito prescritto dal suddetto Cerimoniale di ungerla col balsamo, di sovrapporvi il muschio, di benedirla, ed’ incensarla, è perseverato fino a’ nostri tempi. […]
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Qualche mio appunto...

Relativamente al luogo, si legge la benedizione avveniva – all’epoca dell’Autore - nella “stanza de’ Paramenti” (la c.d. Sala del Pappagallo); l’uso rimonta al periodo successivo la “cattività avignonese”, i Sommi Pontefici ritornando nell’Urbe e trovando le storiche chiese in mal partito introdussero l’uso delle celebrazioni nelle loro cappelle. La benedizione della Rosa d’oro avveniva anticamente alla basilica Sessoriana (statio del giorno). Qualora fosse presente in Roma l’Imperatore per ricevere l’incoronazione, la cerimonia avveniva nella basilica di S. Maria in Cosmedin[8].
Al principio del testo, riferendosi all’abito che gli eminentissimi signori Cardinali portano alla cappella di questo giorno, il Cancellieri riferisce l’utilizzo – per l’abito talare, la mantelletta e la mozzetta – del colore rosaceo, più precisamente del color rosa secca.

Veste talare cardinalizia color rosa secca

Esso è una variante dell’abito di penitenza di cui si serba il colore violaceo nella cappa. Sino al 1969 [9], i cardinali disponevano, tra gli altri, di un abito da portarsi (qui procedo con una semplificazione) nei tempi di penitenza e nelle circostanze luttuose. Detto abito è violaceo, o più precisamente paonazzo con fodere, orlature, bottoni e asole di color rubino o cremisi [10]. Sarà non di meno utile notare che – durante il pontificato di Papa Pio XI – il colore paonazzo viene definito con precisione ed è lo stesso anche per i Vescovi e i Prelati, ciò pose fine all’utilizzo delle tante varietà che erano proliferate e sussistevano [11]. Ripromettendomi di ritornare prima o poi sull’argomento, voglio precisare che la tonalità del paonazzo varia in base alla proporzione con cui vengono composti i due colori di base ossia il blu e il rosso. Dal XVI secolo sino al principio del XIX, notiamo che la nuance vira palesemente al bluastro, un tanto deriva dall’interazione di due coloranti ossia l’indaco naturale e la cocciniglia domestica; solo nel corso del XIX secolo, in cui si fa utilizzo di coloranti di natura sintetica, apre la strada verso un processo che porterà all’uniformizzazione del colore [12]. Quanto ai vestimenti di rosa secca usati dagli eminentissimi cardinali in questa domenica – e nella domenica Gaudete – va precisato che erano in seta marezzata [13]. Il loro uso iniziò a decadere verso la fine del pontificato del beato Pio IX, non essendoci stata un’abolizione, si ha contezza dell’utilizzo da parte di qualche Cardinale – limitatamente alla propria chiesa titolare e, come è ovvio alle due domeniche ricordate – sino all’epoca di Pio XI [14]. La citata Istruzione della Sacra Congregazione Ceremoniale (v. nt. 10) non fa menzione di questi abiti rosacei stante la desuetudine degli stessi.
Circa il rito di benedizione [15], l’Autore ci riporta l’uso, poi caduto, di ungere il manufatto col Crisma. Il Moroni sottolinea l’influsso su Giulio II, Leone X e Clemente IX del cerimoniere Cristoforo Marcello; la rimozione di tale uso – operata da papa Paolo III – muove dalla considerazione che l’Unzione col Crisma compete alle consacrazioni e non alle benedizioni [16].


Paolo VI infonde il balsamo nella Rosa d'oro destinato al Santuario brasiliano dell'Aparecida (1967)


Relativamente agli usi della Cappella papale sul sito del Collegium Divi Marci: ho già avuto modo di parlarne; ad esso rimando per approfondimenti e per riferimenti bibliografici.
Quanto ai conferimenti della Rosa d’oro, rispetto quanto già lumeggiato dal Cancellieri, ricordo che essa - inizialmente conferita al Prefetto di Roma o “l’uso di mandarla in dono a qualche Principe, ovvero di regalarla a qualche nobile Personaggio, che si trovasse in quel dì presente alla Sacra Funzione”, come di ricorda l’Autore - fu anche concessa a città, nazioni, chiese e santuari insigni. Il sempre ben informato monsignor François Xavier Barbier de Montault fa memoria del conferimento della Rosa d’oro da parte di Benedetto XIV (Prospero Lambertini) alla sede metropolitana di Bologna della quale fu Arcivescovo; Clemente XIV la conferì alla nazione lusitana verso la quale nutriva particolare benevolenza tanto da far meritare al Sovrano l’appellativo di “Sua Maestà Fedelissima” [17]. A titolo di curiosità ricordo che l’ultimo personaggio di alto lignaggio di sesso maschile che ebbe a ricevere questo “regalo degno de’ Principi” fu il cento sedicesimo doge della Serenissima Repubblica Francesco Loredan, insignito del prestigiosissimo riconoscimento nel 1759 da papa Clemente XIII. Il conferimento divenne più raro tra i secoli XIX e XX, purtuttavia in seno ai camerieri segreti partecipanti laici uno era particolarmente deputato come “Portatore della Rosa d’oro” (la carica figurava, peraltro, nell’Annuario Pontificio sino gli anni Sessanta del Novecento).

Il conte G. Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto e il principe don Luigi Massimo Lancellotti:
gli ultimi portatori della Rosa d'oro

È tra i conferimenti novecenteschi che mi sento di fare particolare memoria di quello riservato alla serva di Dio Elena Petrović-Njegoš del Montenegro, Regina d’Italia (+ 1952), insignita – in ragione della sua vita votata alla carità – da papa Pio XI nel 1937.

Serva di Dio Elena del Montenegro Regina d'Italia
Chiedo al benigno lettore che ha avuto la pazienza di leggermi fino a qua, di recitare un’ Ave Maria con l’intenzione di poter presto venerare fra i beati questa splendida figura di donna cristiana.

Laetare Jerusalem!

Francesco G. Tolloi
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Note:

[1] A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Notizie storiche e liturgiche sul Messale Romano, Torino – Roma, Marietti, 1933, vol. III, pp. 116 e ss.
[2] Sarà profittevole ricordare che il rosaceo è raccomandabile serbi una tonalità virante al violetto chiaro piuttosto che un “rosa puro”. Cfr.: G. BRAUN, I Paramenti Sacri. Loro uso storia e simbolismo, trad. Italiana G. Alliod, Torino, Marietti, 1914, p. 40. Il rosa – stando a mons. Gromier – esisteva a Roma già nel 1582, cfr.: L. GROMIER, Commentaire du Caeremoniale episcoporum, Paris, La Colombe, 1958, p. 348.
[3] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica, Venezia, Emiliana, vol. LIX, p. 115.
[4] J. CATALANO, Sacrarum Caeremoniarum sive Rituum Ecclesiasticorum Sanctae Romanae Ecclesiae, Romae, De Rubeis, 1750, tomus I, tit. 7, cap. 3 (pp. 265 e ss.).
[5] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica..., cit., p. 112.
[6] Per un sintetico approfondimento: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors inconnus du Vatican. Cérémonial et Liturgie., Paris, L’amateur, 2011, pp. 299 e s.
[7] F. CANCELLIERI, Descrizione delle Cappelle Pontificie e Cardinalizie di tutto l’anno. Roma, Salvioni, 1790, pp. 247 e ss.
[8] N. DEL RE, Rosa d’oro, voce in Enciclopedia Cattolica, Roma, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, 1953, X, coll. 1344 e ss.
[9] Cfr.: SECRETARIA STATUS SEU PAPALIS, Instructio (Ut sive solliciti) 31 marzo 1969, in Acta Apostolicae Sedis, LXI, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1969, pp. 334 e ss.. Tale istruzione – a firma del cardinale Amleto Cicognani – riforma totalmente, in direzione di una massiccia semplificazione (che di fatto corrisponde ad uno smantellamento), la materia degli abiti dei Cardinali, Vescovi e Prelati.
[10] SACRA CONGREGAZIONE CEREMONIALE, Norme Ceremoniali per gli Eminentissimi Signori Cardinali, Roma, Poliglotta Vaticana, 1943, pp. 3 e ss.
[11] SACRA CONGREGATIO CAEREMONIALIS, Decretum (Sacrae huic Congregationi), 24 giugno 1933, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1933. Questo decreto – che qui cito nella edizione in mio possesso stampata singolarmente – riporta gli esempi della tonalità del paonazzo sia per il tessuto di seta che quello di lana.
[12] Cfr.: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors inconnus du Vatican…, cit., p. 338.
[13] F. X. BARBIER DE MONTAULT, Le costume et les usages ecclésiastiques selon la tradition romaine, Paris, Letouzey et Ané, s.d. [1900], I, p. 275.
[14] Cfr.: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors inconnus du Vatican…, cit., p. 299.
[15] Riporto integralmente la formula di benedizione. (V.) Adjutórium nóstrum in nómine Dómini. (R.) Qui fecit cælum et terram.(V.) Dóminus vobíscum. (R.) Et cum spíritu tuo. Orémus. Deus qui es lætítia et gáudium omnium fidélium, majestátem tuam supplíciter exorámus ut hanc Rosam odore visuque gratíssimam, quam hodiérna die in signum spiritúalis lætítiæ in mánibus gestámus, bene + dícere et sancti + ficáre tua pietáte dignéris, ut plebs tibi dicáta ex jugo Babilónicæ captivitátis edúcta, per Unigéniti Filii tui grátiam cæléstis Jerúsalem gáudium sincéris córdibus repræséntet. Et quia ad honórem nóminis tui Ecclésia tua hoc signo hodie exúltat et gáudet, tu ei, Dómine, verum et perféctum gáudium et grátiam tuam largiáris, ut per fructum boni óperis in odórem illíus floris tránseat qui de radíce Jesse prodúctus, flos campi, lílium convállium mystice prædicátur. Qui tecum vivit et regnat in unitate Spíritus Sancti Deus per omnia saécula saeculórum. (R.) Amen. Postea imponit incensum in thuribulo. Deinde Rosam ungit balsamo imponitque ei muscum: aspergit aqua benedicta et adolet incenso.
[16] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica..., cit., p. 117.

[17] F. X. BARBIER DE MONTAULT, Les stations et dimanches de Carême a Rome, Rome, Spithoever, 1865, pp. 91 e ss.

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