Rilanciamo volentieri, nella festa della B. V. Maria
sotto il titolo di Madonna del Buon Consiglio e dei SS. Cleto e Marcellino,
papi e martiri, la riflessione di S. Ecc.za Mons. Schneider sull’esortazione apostolica
Amoris laetitia (in inglese è in Rorate caeli, 26.4.2016). Questa riflessione, nella quale è pure evocata la figura della Beata Laura del Carmen Vicuña (cfr. Il Timone, 22.6.2016) è anche pubblicata sul blog Chiesa
e postconcilio (Mons. Athanasius Schneider. Il paradosso delle interpretazioni
contraddittorie di «Amoris laetitia», ivi, 24.4.2016), il quale pubblica
anche una riflessione a suo corredo (Gratitudine e tutto il nostro sostegno
a mons. Athanasius Schneider, ivi, 25.4.2016) e la traduzione italiana
dell’intervista che sempre lo stesso prelato aveva rilasciato nel marzo scorso
in Ungheria (Il pensiero del vescovo Schneider sull’Esortazione
post-sinodale è deducibile da una recente intervista, ivi, 23.4.2016; L’Intervista a mons. Athanasius Schneider, 6 marzo in Ungheria.
Seguito del testo integrale, ivi, 24.4.2016). Quest’ultima intervista è riportata,
in lingua inglese, dal blog Rorate caeli, 22.4.2016.
Miracolosa icona della Madonna del Buon Consiglio, Santuario, Genazzano |
Pasquale Sarullo, Madonna del Buon Consiglio, XIX sec. L'immagine è stata trafugata nel 1990 dalla sala Capitolare del sacro Convento di Assisi |
Autore ignoto, Statua della Madonna del Buon Consiglio, XIX sec., chiesa della Madonna del Buon Consiglio, detta dei "Morticelli", Sannicandro Garganico (FG) |
Giacomo Colombo, Statua di S. Cleto, XVI sec., confraternita del Purgatorio, chiesa del Purgatorio, Ruvo di Puglia |
«Amoris Laetitia»: chiarire per evitare una confusione
generale
Pubblichiamo
un documento di riflessione di S.E. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo
Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima di Astana, in Kazakhstan,
riguardo l’esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco, «Amoris Laetitia».
Il
paradosso delle interpretazioni contraddittorie di «Amoris laetitia»
L’Esortazione Apostolica «Amoris Laetitia» (AL) pubblicata di
recente, che contiene una grande ricchezza spirituale e pastorale per la vita
nel matrimonio e nella famiglia cristiana della nostra epoca, purtroppo ha già
in poco tempo provocato interpretazioni contraddittorie perfino nell’ambiente
dell’episcopato.
Vi sono vescovi e preti che avevano pubblicamente e apertamente dichiarato
che AL avrebbe fornito un’apertura evidente alla Comunione per i
divorziati-risposati senza chiedere loro di vivere in continenza. In quest’aspetto
della pratica sacramentale, che secondo loro sarebbe ora significativamente
cambiato, consisterebbe il carattere veramente rivoluzionario dell’AL.
Interpretando AL in riferimento alle coppie irregolari, un Presidente di una
Conferenza episcopale ha dichiarato in un testo pubblicato sul sito web della
stessa Conferenza: «Si tratta di una misura di misericordia, di un’apertura di
cuore, ragione e spirito per la quale non è necessaria alcuna legge, né bisogna
attendersi alcuna direttiva o delle indicazioni. Si può e si deve metterla in
pratica immediatamente».
Tale avviso è confermato ulteriormente dalle recenti dichiarazioni del
padre Antonio Spadaro S.J., che dopo il Sinodo dei Vescovi del 2015 aveva
scritto che il sinodo aveva posto i «fondamenti» per l’accesso dei
divorziati-risposati alla Comunione, «aprendo una porta», ancora chiusa nel
sinodo precedente del 2014. Ora, dice il Padre Spadaro nel suo commento ad AL,
la sua predizione è stata confermata. Si dice che lo stesso padre Spadaro abbia
fatto parte del gruppo redazionale di AL.
La strada per le interpretazioni abusive sembra esser stata indicata dallo
stesso Cardinale Christoph Schönborn il quale, durante la presentazione
ufficiale di AL a Roma, aveva detto a proposito delle unioni irregolari: «La
grande gioia che mi procura questo documento risiede nel fatto che esso supera
in modo coerente la divisione artificiosa, esteriore e netta fra “regolari” ed “irregolari”».
Una tale affermazione suggerisce l’idea che non vi sia una chiara differenza
fra un matrimonio valido e sacramentale ed un’unione irregolare, fra peccato
veniale e mortale.
Dall’altra parte, vi sono vescovi che affermano che AL debba essere letta
alla luce del Magistero perenne della Chiesa e che AL non autorizza la
Comunione ai divorziati-risposati, neanche in caso eccezionale. In principio,
tale affermazione è corretta ed auspicabile. In effetti, ogni testo del
Magistero dovrebbe in regola generale, essere coerente nel suo contenuto con il
Magistero precedente, senza alcuna rottura.
Tuttavia, non è un segreto che in diversi luoghi le persone divorziate e
risposate sono ammesse alla Santa Comunione, senza che esse vivano in
continenza. Alcune affermazioni di AL possono essere realisticamente utilizzate
per legittimare un abuso già praticato per un certo tempo in vari luoghi della
vita della Chiesa.
Alcune
affermazioni di AL sono oggettivamente passibili di cattiva interpretazione
Il Santo Padre papa Francesco ci ha invitati tutti a offrire il proprio
contributo alla riflessione e al dialogo sulle delicate questioni concernenti
il matrimonio e la famiglia. «La riflessione dei pastori e dei teologi, se
fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una
maggiore chiarezza» (AL, n. 2).
Analizzando con onestà intellettuale alcune affermazioni di AL, viste nel
loro contesto, si constata una difficoltà di interpretarla secondo la dottrina
tradizionale della Chiesa. Questo fatto si spiega con l’assenza dell’affermazione
concreta ed esplicita della dottrina e della pratica costante della Chiesa,
basata sulla Parola di Dio e reiterata dal papa Giovanni Paolo II che dice: «La
Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di
non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a
non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione
di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la
Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare
motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli
rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità
del matrimonio. La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe
la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che,
pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono
sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità
del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per
seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono
soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena
continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Familiaris Consortio, n. 84).
Il papa Francesco non aveva stabilito «una nuova normativa generale di tipo
canonico, applicabile a tutti i casi» (AL, n. 300). Però nella nota 336,
dichiara: «Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento
che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è
colpa grave». Riferendosi evidentemente ai divorziati risposati il papa afferma
in AL, al n. 305: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è
possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente
colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si
possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità,
ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.» Nella nota 351, il papa chiarisce
la propria affermazione dicendo che «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto
dei Sacramenti».
Nello stesso capitolo VIII di AL, al n. 298, il Papa parla dei «divorziati
che vivono una nuova unione, … con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione
generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria
situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza
che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e
la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non
possono soddisfare l’obbligo della separazione”». Nella nota 329, il Papa cita
il documento Gaudium et Spes in un modo
purtroppo non corretto, perché il Concilio si riferisce in questo caso solo al
matrimonio cristiano valido. L’applicazione di quest’affermazione ai divorziati
può provocare l’impressione che il matrimonio valido venga assimilato, non in
teoria, ma in pratica, ad una unione di divorziati.
L’ammissione
dei divorziati-risposati alla Santa Comunione e le sue conseguenze
AL è purtroppo priva delle citazioni verbali dei principi della dottrina
morale della Chiesa nella forma in cui sono stati enunciati al n. 84 dell’Esortazione
Apostolica Familiaris Consortio e nell’Enciclica Veritatis Splendor del Papa Giovanni Paolo II, in
particolare sui seguenti temi d’importanza capitale: «l’opzione fondamentale» (Veritatis Splendor nn. 67-68), «peccato mortale e
peccato veniale» (ibid., nn. 69-70), «proporzionalismo,
consequenzialismo» (ibid. n. 75), «il martirio e le norme morali
universali ed immutabili» (ibid., nn. 91 ss). Una citazione verbale di Familiaris consortio n. 84 e di talune
affermazioni più salienti di Veritatis splendor renderebbero
peraltro AL inattaccabile da parte di interpretazioni eterodosse. Delle
allusioni generiche ai principi morali e alla dottrina della Chiesa sono
certamente insufficienti in una materia controversa che è di delicata e di
capitale importanza.
Alcuni rappresentanti del clero e anche dell’episcopato affermano già che
secondo lo spirito del capitolo VIII di AL non è escluso che in casi eccezionali
i divorziati-risposati possano essere ammessi alla Santa Comunione senza che
venga loro richiesto di vivere in perfetta continenza.
Ammettendo una simile interpretazione della lettera e dello spirito di AL,
bisognerebbe accettare, con onestà intellettuale e in base al principio di
non-contraddizione, le seguenti conclusioni logiche: il sesto comandamento
divino che proibisce ogni atto sessuale al di fuori del matrimonio valido, non
sarebbe più universalmente valido se venissero ammesse delle eccezioni. Nel
nostro caso: i divorziati potrebbero praticare l’atto sessuale e vi sono anche
incoraggiati al fine di conservare la reciproca «fedeltà» (cfr. AL, n. 298). Potrebbe
dunque darsi una «fedeltà», in uno stile di vita direttamente contrario alla volontà
espressa di Dio. Tuttavia, incoraggiare e legittimare atti che sono in sé e
sempre contrari alla volontà di Dio, contraddirebbe la Rivelazione Divina.
La parola divina di Cristo: «Che l’uomo non separi quello che Dio ha unito»
(Mt 19, 6) non sarebbe quindi più valida sempre e
per tutti i coniugi senza eccezione.
Sarebbe possibile in un caso particolare ricevere il sacramento della
Penitenza e la Santa Comunione con l’intento di continuare a violare
direttamente i comandamenti divini: «Non commetterai adulterio» (Esodo 20, 14) e «Che l’uomo non separi quello che
Dio ha unito» (Mt 19, 6; Gen 2, 24).
L’osservanza di questi comandamenti e della Parola di Dio avverrebbe in
questi casi solo in teoria e non nella pratica, inducendo quindi i
divorziati-risposati «ad ingannare se stessi» (Giacomo 1, 22).
Si potrebbe dunque avere perfettamente la fede nel carattere divino del sesto
comandamento e dell’indissolubilità del matrimonio senza però le opere corrispondenti.
La Parola Divina di Cristo: «Colui che ripudia la moglie e ne sposa un’altra,
commette un adulterio nei suoi confronti; e se una donna lascia il marito e ne
sposa un altro, commette un adulterio» (Mc 10, 12) non
avrebbe dunque più validità universale ma ammetterebbe eccezioni.
La violazione permanente, cosciente e libera del sesto comandamento di Dio
e della sacralità e dell’indissolubilità del proprio matrimonio valido (nel
caso dei divorziati risposati) non sarebbe dunque più un peccato grave, ovvero
un’opposizione diretta alla volontà di Dio.
Possono esservi casi di violazione grave, permanente, cosciente e libera
degli altri comandamenti di Dio (per esempio nel caso di uno stile di vita di
corruzione finanziaria), nei quali potrebbe essere accordato a una determinata
persona, a causa di circostanze attenuanti, l’accesso si sacramenti senza
esigere una sincera risoluzione di evitare in avvenire gli atti di peccato e di
scandalo.
Il perenne ed infallibile insegnamento della Chiesa non sarebbe più
universalmente valido, in particolare l’insegnamento confermato da papa
Giovanni Paolo II in Familiaris Consortio, n. 84, e da
papa Benedetto XVI in Sacramentum caritatis,
n. 29, secondo il quale la condizione dei divorziati per ricevere i sacramenti
sarebbe la continenza perfetta.
L’osservanza del sesto comandamento di Dio e dell’indissolubilità del
matrimonio sarebbe un ideale non realizzabile da parte di tutti, ma in qualche
modo solo per un’élite.
Le parole intransigenti di Cristo che intimano agli uomini di osservare i
comandamenti di Dio sempre e in tutte le circostanze, anche accettando a questo
fine delle sofferenze considerevoli, ovvero accettando la Croce, non sarebbero
più valide nella loro verità: «Se la tua mano destra ti è causa di peccato,
mozzala e gettala via da te, perché è meglio per te che un tuo membro perisca,
piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nella Geenna» (Mt 5, 30).
Ammettere le coppie in «unione irregolare» alla santa Comunione,
permettendo loro di praticare gli atti riservati ai coniugi del matrimonio
valido, equivarrebbe all’usurpazione di un potere, che però non compete ad
alcuna autorità umana, perché si tratterebbe qui di una pretesa di correggere
la stessa Parola di Dio.
Pericoli
di una collaborazione della Chiesa nella diffusione della “piaga del divorzio”
Professando la dottrina di sempre di Nostro Signore Gesù Cristo, la Chiesa
ci insegna: «Fedele al Signore, la Chiesa non può riconoscere come Matrimonio l’unione
dei divorziati risposati civilmente. “Colui che ripudia la moglie per sposarne
un’altra commette adulterio contro di lei. Se una donna ripudia il marito per
sposarne un altro, commette adulterio” (Mc, 10, 11-12).
Nei loro confronti, la Chiesa attua un’attenta sollecitudine, invitandoli ad
una vita di fede, alla preghiera, alle opere di carità e all’educazione
cristiana dei figli. Ma essi non possono ricevere l’assoluzione sacramentale,
né accedere alla Comunione eucaristica, né esercitare certe responsabilità
ecclesiali, finché perdura la loro situazione, che oggettivamente contrasta con
legge di Dio» (Compendio del Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 349).
Vivere in un’unione maritale non valida contraddicendo costantemente il
comandamento di Dio e la sacralità e indissolubilità del matrimonio, non
significa vivere nella verità. Dichiarare che la pratica deliberata, libera ed
abituale degli atti sessuali in un’unione maritale non valida potrebbe in un caso
concreto non essere più un peccato grave, non è la verità, ma una menzogna
grave, e dunque non porterà mai una gioia autentica nell’amore. Permettere
dunque a queste persone di ricevere la Santa Comunione significa simulazione,
ipocrisia e menzogna. Resta valida infatti la Parola di Dio nella Sacra
Scrittura: «Chi dice: “Io l’ho conosciuto”, e non osserva i suoi comandamenti,
è bugiardo e la verità non è in lui» (1 Gv, 2, 4).
Il Magistero della Chiesa ci insegna la validità universale dei dieci
comandamenti di Dio: «Poiché essi enunciano i doveri fondamentali dell’uomo
verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro
contenuto primordiale, delle obbligazioni gravi. Essi sono
fondamentalmente immutabili e il loro obbligo vale sempre e ovunque. Nessuno
può dispensare da essi» (Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 2072). Coloro che hanno affermato che i comandamenti
di Dio ed il particolare il comandamento “Non commetterai adulterio” possono
avere delle eccezioni, ed in taluni casi la non imputabilità della colpa del
divorzio, erano i Farisei e poi gli Gnostici cristiani nel secondo e terzo
secolo.
Le seguenti affermazioni del Magistero restano sempre valide perché fanno
parte del Magistero infallibile nella forma del Magistero universale e
ordinario: «I precetti negativi della legge naturale sono universalmente
validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza. Si
tratta infatti di proibizioni che vietano una determinata azione semper et
pro semper, senza eccezioni, … ci sono comportamenti che non possono mai
essere, in alcuna situazione, la risposta adeguata … La Chiesa ha sempre
insegnato che non si devono mai scegliere comportamenti proibiti dai comandamenti
morali, espressi in forma negativa nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Come si
è visto, Gesù stesso ribadisce l’inderogabilità di queste proibizioni: “Se vuoi
entrare nella vita, osserva i comandamenti…: non uccidere, non commettere
adulterio, non rubare, non testimoniare il falso” (Mt 19,17-18)»
(Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, n.
52).
Il Magistero della Chiesa ci insegna ancor più chiaramente: «La coscienza
buona e pura è illuminata dalla fede sincera. Infatti la carità sgorga, ad un
tempo, “da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (1 Tm 1,5): [Cf 1 Tm 3,9; 2 Tm 1,3; 1 Pt 3,21; At 24,16]» (Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 1794).
Nel caso in cui una persona commetta atti morali oggettivamente gravi in
piena coscienza, sana di mente, con libera decisione, con l’intento di ripetere
quest’atto in futuro, è impossibile applicare il principio della
non-imputabilità della colpa a causa delle circostanze attenuanti. L’applicazione
del principio della non-imputabilità a queste coppie di divorziati-risposati
rappresenterebbe una ipocrisia ed un sofisma gnostico. Se la Chiesa ammettesse
queste persone, anche in un solo caso, alla Santa Comunione, essa
contraddirebbe a ciò che professa nella dottrina, offrendo essa stessa una contro-testimonianza
pubblica contro l’indissolubilità del matrimonio e contribuendo così alla
crescita della «piaga del divorzio» (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 47).
Al fine di evitare una tale intollerabile e scandalosa contraddizione, la
Chiesa, interpretando infallibilmente la verità Divina della legge morale e
dell’indissolubilità del matrimonio, ha osservato immutabilmente per duemila
anni la pratica di ammettere alla Santa Comunione solo quei divorziati che vivono
in perfetta continenza e «remoto scandalo», senza alcuna eccezione o
privilegio particolare.
Il primo compito pastorale che il Signore ha affidato alla sua Chiesa è l’insegnamento,
la dottrina (vedi Mt 28, 20). L’osservanza dei
comandamenti di Dio è intrinsecamente connessa alla dottrina. Per questa
ragione la Chiesa ha sempre respinto la contraddizione fra la dottrina e la
vita, qualificando una simile contraddizione come gnostica o come la teoria
luterana eretica del simul iustus et peccator. Tra la fede e la vita dei
figli della Chiesa non dovrebbe esserci contraddizione.
Quando si tratta dell’osservanza del comandamento espresso di Dio e dell’indissolubilità
del matrimonio, non si può parlare di interpretazioni teologiche opposte. Se
Dio ha detto: «Non commetterai adulterio», nessuna autorità umana potrebbe
dire: «in qualche caso eccezionale o per un fine buono tu puoi commettere
adulterio».
Le seguenti affermazioni del papa Francesco sono molto importanti, laddove
il Sommo Pontefice parla a proposito dell’integrazione dei divorziati risposati
nella vita della Chiesa: «questo discernimento non potrà mai prescindere dalle
esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. … Vanno
garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e
al suo insegnamento, … Si evita il rischio che un determinato discernimento
porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale» (AL, n. 300). Queste
affermazioni lodevoli di AL restano tuttavia senza specificazioni concrete
riguardo alla questione dell’obbligo dei divorziati risposati di separarsi o
almeno di vivere in perfetta continenza.
Quando si tratta della vita o della morte del corpo, nessun medico
lascerebbe le cose nell’ambiguità. Il medico non può dire al paziente: «Dovete
decidere l’applicazione della medicina secondo coscienza e rispettando le leggi
della medicina». Un comportamento simile da parte di un medico verrebbe senza
dubbio considerato irresponsabile. E tuttavia la vita dell’anima immortale è
più importante, poiché dalla salute dell’anima dipende il suo destino per tutta
l’eternità.
La
verità liberatrice della penitenza e del mistero della Croce.
Affermare che i divorziati risposati non sono pubblici peccatori significa
simulare il falso. Inoltre, essere peccatori è la vera condizione di tutti i
membri della Chiesa militante sulla terra. Se i divorziati-risposati dicono che
i loro atti volontari e deliberati contro il sesto comandamento di Dio non sono
affatto peccati o peccati gravi, essi s’ingannano e la verità non è in loro,
come dice San Giovanni: «Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi
stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli che è
fedele e giusto, ci perdonerà i nostri peccati e ci purificherà da ogni
iniquità. Se diciamo “Non abbiamo peccato”, facciamo di lui un bugiardo e la
sua parola non è in noi» (1 Gv 1, 8-10).
L’accettazione da parte dei divorziati-risposati della verità che essi sono
peccatori ed anche pubblici peccatori non toglie nulla alla loro speranza cristiana.
Soltanto l’accettazione della realtà e della verità li rende capaci di
intraprendere il cammino di una penitenza fruttuosa secondo le parole di Gesù
Cristo.
Sarebbe molto salutare ripristinare lo spirito dei primi cristiani e del
tempo dei Padri della Chiesa, quando esisteva una viva solidarietà dei fedeli
con i peccatori pubblici, e tuttavia una solidarietà secondo la verità. Una
solidarietà che non aveva nulla di discriminatorio; al contrario, vi era la
partecipazione di tutta la Chiesa nel cammino penitenziale dei peccatori
pubblici per mezzo delle preghiere d’intercessione, delle lacrime, degli atti
di espiazione e di carità in loro favore.
L’Esortazione apostolica Familiaris Consortio insegna:
«Anche coloro che si sono allontanati dal comandamento del Signore e continuano
a vivere in questa condizione (divorziati-risposati) potranno ottenere da Dio
la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella
preghiera, nella penitenza e nella carità» (n. 84).
Durante i primi secoli i peccatori pubblici erano integrati nella comunità
orante dei fedeli e dovevano implorare in ginocchio e con le braccia alzate l’intercessione
dei loro fratelli. Tertulliano ce ne dà una testimonianza toccante: «Il corpo
non può rallegrarsi quando uno dei suoi membri soffre. È necessario che tutto
intero esso si dolga e lavori alla sua guarigione. Quando tendi le mani alle
ginocchia dei tuoi fratelli, è Cristo che tocchi, è Cristo che implori.
Parimenti, quando loro versano lacrime per te, è Cristo che compatisce» (De paenitentia, 10, 5-6). Nello stesso modo parla Sant’Ambrogio
di Milano: «La Chiesa intera ha preso su di sé il fardello del peccatore
pubblico, soffrendo con lui per mezzo di lacrime, preghiere e dolori» (De paenitentia, 1, 81).
È vero che le forme della disciplina penitenziale della Chiesa sono
cambiate, ma lo spirito di questa disciplina deve restare nella Chiesa di tutti
i tempi. Oggi, alcuni preti e vescovi, basandosi su alcune affermazioni di AL,
cominciano a far intendere ai divorziati-risposati che la loro condizione non
equivaleva allo stato oggettivo di peccatore pubblico. Essi li tranquillizzano
dichiarando che i loro atti sessuali non costituiscono un peccato grave. Un
simile atteggiamento non corrisponde alla verità. Essi privano i divorziati-risposati
della possibilità di una conversione radicale all’obbedienza alla volontà di
Dio, lasciando queste anime nell’inganno. Un tale atteggiamento pastorale è
molto facile, a buon mercato, non costa niente. Non costa lacrime, preghiere ed
opere d’intercessione e di espiazione fraterna in favore dei divorziati-risposati.
Ammettendo, anche solo in casi eccezionali, i divorziati-risposati alla
Santa Comunione senza chieder loro di cessare di praticare gli atti contrari al
sesto comandamento di Dio, dichiarando inoltre presuntuosamente che l loro atti
non sono peccato grave, si sceglie la strada facile, si evita lo scandalo della
croce. Una simile pastorale dei divorziati-risposati è una pastorale effimera e
ingannatrice. A tutti coloro che propagandano un simile facile cammino a buon
mercato ai divorziati-risposati Gesù rivolge ancora oggi queste parole: «Vattene
via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma
secondo gli uomini! Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol seguirmi,
che rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”» (Mt 16, 23-25).
Riguardo alla pastorale dei divorziati-risposati, oggi bisogna ravvivare
anche lo spirito di seguire Cristo nella verità della Croce e della penitenza,
che solo porta una gioia permanente, evitando le gioie effimere che sono in fin
dei conti ingannatrici. Le seguenti parole del papa San Gregorio Magno si
rivelano veramente attuali e luminose: «Non dobbiamo abituarci troppo al nostro
esilio terreste, le comodità di questa vita non devono farci dimenticare la
nostra vera patria così che il nostro spirito non divenga sonnolento in mezzo
alle comodità. Per questo motivo, Dio unisce ai suoi doni le sue visite o
punizioni, affinché tutto ciò che c’incanta in questo mondo, divenga per noi
amaro e si accenda nell’anima quel fuoco che ci spinge sempre di nuovo verso il
desiderio delle cose celesti e ci fa progredire. Quel fuoco ci ferisce in modo
piacevole, ci crocifigge dolcemente e ci rattrista gioiosamente» (In Hez, 2, 4, 3).
Lo spirito dell’autentica disciplina penitenziale della Chiesa dei primi
secoli è perdurato nella Chiesa di tutti i tempi fino ad oggi. Abbiamo l’esempio
commovente della Beata Laura del Carmen Vicuña Pino, nata in Cile nel 1891.
Suor Azocar, che aveva curato Laura, ha raccontato: «Mi ricordo che quando
spiegai la prima volta il sacramento del matrimonio, Laura svenne, di certo
avendo compreso dalle mie parole che sua madre era in stato di peccato mortale
finché fosse rimasta con quel signore. A quell’epoca, a Junin, una sola
famiglia viveva in conformità alla volontà di Dio». Da allora, Laura moltiplica
preghiere e penitenze per la sua mamma. Il 2 giugno 1901 fa la sua prima
comunione, con grande fervore; scrive le seguenti risoluzioni: «1. Voglio, o
mio Gesù, amarti e servirti per tutta la vita; per questo ti offro tutta la mia
anima, il mio cuore, tutto il mio essere. – 2. Preferisco morire piuttosto che
offenderti col peccato; perciò voglio allontanarmi da tutto quello che potrebbe
separarmi da te. – 3. Prometto di fare tutto il possibile affinché tu sia
sempre più conosciuto e amato, e al fine di riparare le offese che ogni giorno
ti infliggono gli uomini che non ti amano, specialmente quelle che ricevi da
coloro che mi sono vicini. - Oh mio Dio, concedimi una vita di amore, di
mortificazione e di sacrificio!». Ma la sua grande gioia è oscurata nel vedere
che sua madre, presente alla cerimonia, non fa la comunione.
Nel 1902, Laura
offre la propria vita per sua madre che convive con un uomo in una unione irregolare
in Argentina. Laura moltiplica le preghiere e le privazioni per ottenere la
vera conversione della madre. Poche ore prima di morire la chiama vicino a sé.
Capendo di essere al momento supremo, esclama: «Mamma, sto per morire. L’ho
chiesto io a Gesù e gli ho offerto la mia vita per la grazia del tuo ritorno.
Mamma, avrò la gioia di vedere il tuo pentimento prima di morire?». Sconvolta,
la madre promette: «Domani mattina andrò in chiesa e mi confesserò». Laura
cerca allora lo sguardo del prete e gli dice: «Padre, mia madre in questo
momento promette di abbandonare quell’uomo; siate testimone di questa promessa!».
E poi aggiunge: «Ora muoio contenta!». Con queste parole spira, il 22 gennaio
1904, a Junín de los Andes (Argentina), a 13 anni, nelle braccia della madre
che ritrova allora la fede ponendo fine all’unione irregolare nella quale
viveva.
L’esempio ammirevole della vita della giovane Beata Laura è una
dimostrazione di quanto un vero cattolico consideri seriamente il sesto
comandamento di Dio e la sacralità e indissolubilità del matrimonio. Nostro
Signore Gesù Cristo ci raccomanda di evitare persino l’apparenza di un’approvazione
di una unione irregolare o di un adulterio. Quel comando divino la Chiesa l’ha
sempre fedelmente conservato e trasmesso senza ambiguità nella dottrina e nella
pratica. Offrendo la sua giovane vita la Beata Laura non si era certo
rappresentata una delle diverse interpretazioni dottrinali o pastorali
possibili. Non si dà la propria vita per una possibile interpretazione dottrinale
o pastorale, ma per una verità divina immutabile e universalmente valida. Una
verità dimostrata con l’offerta della vita da parte di un gran numero di Santi,
da san Giovanni Battista fino ai semplici fedeli dei giorni nostri il cui nome
solo Dio conosce.
Necessità
di una “veritatis laetitia”
Amoris
laetitia contiene di
sicuro e per fortuna delle affermazioni teologiche e indicazioni spirituali e
pastorali di grande valore. Tuttavia, è realisticamente insufficiente affermare
che AL andrebbe interpretata secondo la dottrina e la pratica tradizionale
della Chiesa. Quando in un documento ecclesiastico, che nel caso nostro è
sprovvisto di carattere definitivo e infallibile, si rinvengono elementi di
interpretazioni ed applicazioni che potrebbero avere conseguenze spirituali
pericolose, tutti i membri della Chiesa, e in primo luogo i vescovi, quali
collaboratori fraterni del Sovrano Pontefice nella collegialità effettiva,
hanno il dovere di segnalare rispettosamente questo fatto e di chiedere un’interpretazione
autentica.
Quando si tratta della fede divina, dei comandamenti divini e della
sacralità e indissolubilità del matrimonio, tutti i membri della Chiesa, dai
semplici fedeli fino ai più alti rappresentanti del Magistero devono fare uno
sforzo comune per conservare intatto il tesoro della fede e la sua applicazione
pratica. Il Concilio Vaticano II ha in effetti ha insegnato: «La totalità dei
fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr. 1 Gv 2, 20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e
manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di
tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” (S.
Agostino, De Praed. Sanct, 14, 27) mostra l’universale
suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede,
che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro
magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non
più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce
indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc
3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica
nella vita» (Lumen gentium, 12).
Il Magistero, per parte sua, «non è al di sopra della Parola di Dio, ma è
al suo servizio, poiché insegna solo ciò che è stato trasmesso» (Concilio
Vaticano II, Dei Verbum, 10).
Fu proprio il Concilio Vaticano II a incoraggiare tutti i fedeli e
soprattutto i vescovi a manifestare senza timore le loro preoccupazioni ed
osservazioni in vista del bene di tutta la Chiesa. Il servilismo ed il
politicamente corretto causano un male pernicioso alla vita della Chiesa. Il
famoso vescovo e teologo del Concilio di Trento, Melchior Cano, O.P., pronunciò
questa frase memorabile: «Pietro non ha bisogno delle nostre menzogne e
adulazioni. Coloro che ad occhi chiusi ed in modo indiscriminato difendono ogni
decisione del Sommo Pontefice, sono quelli che maggiormente compromettono l’autorità
della Santa Sede. Essi ne distruggono le fondamenta invece di consolidarle».
Nostro Signore ci ha insegnato senza ambiguità spiegando in cosa consistano
il vero amore e la vera gioia dell’amore: «Colui che ha i miei comandamenti e
li osserva è colui che mi ama» (Gv 14, 21).
Dando agli uomini il sesto comandamento e l’osservanza dell’indissolubilità del
matrimonio, Dio li ha dati a tutti senza eccezione e non solo ad un’élite. Già
nell’Antico Testamento Dio ha dichiarato: «Questo comandamento che ti prescrivo
oggi di sicuro non è al di sopra delle tue forze, né fuori della tua portata» (Deuteronomio 30, 11) e «Se vuoi, osserverai i
comandamenti; l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere» (Siracide, 15, 15). E Gesù disse a tutti: «Se vuoi
entrare nella vita, osserva i comandamenti. Quali? E Gesù rispose: Non
ucciderai; non commetterai adulterio» (Mt 19, 17-18).
L’insegnamento degli Apostoli ci ha trasmesso la stessa dottrina: «Poiché l’amore
di Dio consiste nell’osservare i suoi comandamenti. E i suoi comandamenti non
sono gravosi» (1 Gv 5, 3).
Non vi è una vita vera, soprannaturale ed eterna, senza l’osservanza dei
comandamenti di Dio: «Ti prescrivo di osservare i suoi comandamenti. Ho posto
davanti a te la vita e la morte. Scegli la vita!» (Deuteronomio 30,
16-19). Non vi è dunque una vera vita e una vera gioia d’amore autentica senza
la verità. «L’amore consiste nel vivere secondo i suoi comandamenti» (2 Gv
6). La gioia d’amore consiste nella gioia della verità. La vita autenticamente
cristiana consiste nella vita e nella gioia della verità: «Per me non c’è gioia
maggiore di quella che provo nel sapere che i miei figli vivono ubbidendo alla
verità» (3 Gv 4).
Sant’Agostino ci spiega l’intimo legame fra la gioia e la verità: «Chiedo a
tutti loro se non preferiscono la gioia della verità a quella della menzogna.
Ed essi non esitano qui più che per la risposta alla domanda sulla felicità.
Perché la vita felice consiste nella gioia della verità, noi tutti vogliamo la
gioia della verità» (Confessioni, X, 23).
Il
pericolo di una confusione generale per quanto riguarda l’indissolubilità del
matrimonio
Ormai da tempo, nella vita della Chiesa, si constata in alcuni luoghi, un
tacito abuso nell’ammissione dei divorziati-risposati alla Santa Comunione,
senza chiedere loro di vivere in perfetta continenza. Le affermazioni poco
chiare nel capitolo VIII della AL hanno dato nuovo dinamismo ai propagatori
dichiarati della ammissione, in singoli casi, dei divorziati-risposati alla
Santa Comunione.
Possiamo ora constatare che l’abuso ha iniziato a diffondersi maggiormente
nella pratica sentendosi in qualche modo legittimato. Inoltre vi è confusione
per quanto riguarda l’interpretazione principalmente delle affermazioni
riportate nel capitolo VIII della AL. La confusione raggiunge il suo apice
poiché tutti, sia i sostenitori della ammissione dei divorziati-risposati alla
Comunione sia i loro oppositori, sostengono che «La dottrina della Chiesa in
questa materia non è stata modificata».
Tenendo debitamente conto delle differenze storiche e dottrinali, la nostra
situazione mostra alcune somiglianze e analogie con la situazione di confusione
generale della crisi ariana del IV secolo. All’epoca, la fede apostolica
tradizionale nella vera divinità del Figlio di Dio fu garantita mediante il
termine «consustanziale» («homoousios»),
dogmaticamente proclamata dal Magistero universale del Concilio di Nicea I. La
crisi profonda della fede, con una confusione quasi universale, fu causata
principalmente dal rifiutare o dall’evitare di utilizzare e professare la
parola «consustanziale» («homoousios»). Invece
di utilizzare questa espressione, si diffuse tra il clero e soprattutto tra l’episcopato
l’utilizzo di formule alternative che alla fine erano ambigue e imprecise come
ad esempio «simile nella sostanza» («homoiousios») o
semplicemente «simile» («homoios»). La formula
«homoousios» del Magistero universale di quel tempo
esprimeva la divinità piena e vera del VERBO in modo così chiaro da non
lasciare spazio ad interpretazioni equivoche.
Negli anni 357-360 quasi l’intero episcopato era diventato ariano o
semi-ariano a causa dei seguenti avvenimenti: nel 357 papa Liberio firmò una
delle formule ambigue di Sirmio, nella quale era stato eliminato il termine «homoousios».
Inoltre, il Papa scomunicò, in maniera scandalosa, sant’Atanasio. Sant’Ilario
di Poitiers fu l’unico vescovo ad aver mosso gravi rimproveri a Papa Liberio
per tali atti ambigui. Nel 359 i sinodi paralleli dell’episcopato occidentale a
Rimini e di quello orientale a Seuleukia avevano accettato delle espressioni
completamente ariane peggiori ancora della formula ambiguo firmata da Papa
Liberio. Descrivendo la situazione di confusione dell’epoca, san Girolamo si
espresse così: «il mondo gemette e si accorse con stupore di essere diventato
ariano» («Ingemuit totus orbis, et arianum se esse miratus est»: Adv. Lucif., 19).
Si può affermare che la nostra epoca è caratterizzata da una gran
confusione riguardo alla disciplina sacramentale per i divorziati-risposati. Ed
esiste un pericolo reale che questa confusione si espanda su vasta scala, se
evitiamo di proporre e proclamare la formula del Magistero universale e
infallibile: «La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe
la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che,
(…) assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli
atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio,
84). Questa formula è purtroppo incomprensibilmente assente da AL. L’AL
contiene invece, in maniera altrettanto inspiegabile, la seguente
dichiarazione: «In queste situazioni (di divorziati risposati), molti,
conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella”
che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di
intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir
compromesso il bene dei figli”» (AL, n. 298, nota 329). Tale affermazione
lascia pensare ad una contraddizione con l’insegnamento perenne del Magistero
universale, come è stato formulato nel testo citato della Familiaris Consortio, n. 84.
Si rende urgente che la Santa Sede confermi e proclami nuovamente,
eventualmente sotto forma di interpretazione autentica di AL, la citata formula
della Familiaris Consortio, n. 84. Questa formula potrebbe
essere considerata, sotto certi aspetti, come l’«homoousios» dei nostri giorni.
La mancanza di conferma in maniera ufficiale ed esplicita della formula di Familiaris Consortio n. 84 da parte della Sede Apostolica
potrebbe contribuire ad una confusione sempre maggiore nella disciplina
sacramentale con ripercussioni graduali e inevitabili in campo dottrinale. In
questo modo si verrebbe a creare una tale situazione alla quale si potrebbe in
futuro applicare la seguente constatazione: «Tutto il mondo gemette e si
accorse con stupore di aver accettato il divorzio nella prassi» («Ingemuit totus orbis, et divortium in praxi se accepisse miratus est»).
Una confusione nella disciplina sacramentale nei confronti dei
divorziati-risposati, con le conseguenti implicazioni dottrinali, contraddirebbe
la natura della Chiesa cattolica, così come è stata descritta da sant’Ireneo
nel secondo secolo: «La Chiesa, avendo ricevuto questa predicazione e questa
fede, benché dispersa nel mondo intero la conserva con cura come abitando una
sola casa; e allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola
anima e un solo cuore; e le proclama, insegna trasmette, con una voce unanime,
come se avesse una sola bocca» (Adversus haereses,
I, 10, 2).
La Sede di Pietro, cioè il Sovrano Pontefice, è il garante dell’unità della
fede e della disciplina sacramentale apostolica. Considerando la confusione
venutasi a creare tra di sacerdoti e vescovi nella pratica sacramentale per
quanto riguarda i divorziati risposati e l’interpretazione di AL, si può
considerare legittimo un appello al nostro caro papa Francesco, il Vicario di
Cristo e «il dolce Cristo in terra» (Santa Caterina da Siena), affinché ordini
la pubblicazione di una interpretazione autentica di AL, che dovrebbe necessariamente
contenere una dichiarazione esplicita del principio disciplinare del Magistero
universale e infallibile riguardo l’ammissione ai sacramenti dei
divorziati-risposati, così come è formulato nel n. 84 della Familiaris consortio.
Nella grande confusione ariana del IV secolo, san Basilio il Grande fece un
appello urgente al papa di Roma affinché indicasse con la sua parola una chiara
direzione per ottenere finalmente l’unità di pensiero nella fede e nella carità
(cf. Ep. 70).
Una interpretazione autentica di AL da parte della Sede Apostolica
porterebbe una gioia nella chiarezza («claritatis laetitia») per tutta
la Chiesa. Tale chiarezza garantirebbe un amore nella gioia («amoris
laetitia»), un amore e una gioia che non sarebbero secondo la mente degli
uomini, ma secondo la mente di Dio (cf. Mt 16, 23). Ed
è questo ciò che conta per la gioia, la vita e la salvezza eterna di
divorziati-risposati e di tutti gli uomini.
+
Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria
Santissima in Astana, Kazakhstan
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