A
primeggiare nei sinodi e nei concili
Prima
furono i santi dottori. Per edificare.
Poi
furono solo i dottori. Per accomodare.
Infine
giunsero gli ideologi. Per demolire.
Nell’attuale
contesto ecclesiale suona quantomeno attuale il capitolo del romanzo di Dostoevskij,
I Fratelli Kamarazov, La leggenda del Grande Inquisitore. Buona lettura.
Dostoevskij e la Leggenda del Grande Inquisitore.
«Diremo che permettiamo loro di peccare perché li amiamo»
«Amare il prossimo come
se stessi (…) è impossibile. Su questa terra siamo legati dalla legge
dell’individualità. Il nostro io ci è di ostacolo»
F.M. Dostoevskij
LA LEGGENDA DEL GRANDE
INQUISITORE
Queste poche pagine
vogliono essere una riflessione su un capolavoro nel capolavoro. Mi riferisco a
La leggenda del Grande Inquisitore che Ivan racconta al fratello Alësa
nell’opera di Dostoevskij I
fratelli Karamazov.
Il racconto di Ivan
La Leggenda è nota: Gesù
Cristo torna sulla terra (per la precisione a Siviglia nel XVI secolo), vi
compie miracoli e subito viene acclamato dalle folle come Salvatore, ma prima
che la gente lo riconosca come il Cristo, viene arrestato dall’Inquisizione.
Nella cella di reclusione, mentre scende a notte, riceve la visita del
novantenne capo dell’Inquisizione, che immediatamente Lo riconosce.
Inizia un lungo
monologo, in cui il vecchio rimprovera a Gesù di essere tornato sulla terra a
rovinare i suoi piani e a mettere in pericolo il suo progetto di pacifica
convivenza tra gli uomini. L’ideale evangelico di libertà – sostiene
l’Inquisitore – è troppo duro per la maggior parte degli uomini (non per lui,
cui Dio aveva dato le forze necessarie per seguirlo), condannati pertanto da
esso alla inevitabile dannazione e dunque all’infelicità. Proprio questa
considerazione lo spinse ad abbandonare l’ideale evangelico e a prendere parte
al progetto di concedere almeno la felicità terrena ad un’umanità comunque
incapace di raggiungere quella eterna. Questo progetto prevede la
trasformazione dell’ideale evangelico in una morale più accessibile all’uomo,
fatta di gesti esteriori alla portata di tutti. In questo modo, anche i deboli
crederanno di poter raggiungere la felicità eterna, sottometteranno la loro
libertà ai precetti della Chiesa e ne riceveranno in cambio una felice speranza
nell’aldilà. Ecco allora tutta la terra schiava, illusa ma felice. Questo il
progetto dell’Inquisizione: portare in terra la felicità a tutti, dato che
quella celeste è al di fuori della portata di molti. Di più l’uomo non può
pretendere.
Ora, Cristo tornando a
Siviglia rischia di rovinare il progetto: riaffermando il vero ideale
evangelico, tutti si renderebbero conto che solo a pochi eletti sono state date
le capacità di realizzarlo. Che ne sarebbe allora del resto dell’umanità? Folle
disilluse, che tentano invano di uniformarsi al Vangelo e cadono di continuo
nel peccato, disperate nel vedersi destinate all’Inferno e all’infelicità.
Cristo porterebbe la felicità solo a pochi eletti, l’Inquisizione la mette alla
portata di tutti. Certo, seguendo l’Inquisizione l’uomo non raggiungerà il
Paradiso, ma non l’avrebbe raggiunto comunque, a causa della propria naturale
debolezza. Per lo meno, sarà felice sulla terra.
Per questo, al termine
del lungo monologo, l’Inquisitore invita Cristo ad andarsene dalla terra e a
non ritornare più.
Cristo bacia l’inquisitore e se ne va’. In silenzio. Così termina la Leggenda.
Cristo bacia l’inquisitore e se ne va’. In silenzio. Così termina la Leggenda.
Chi è il Grande
Inquisitore?
Il Grande Inquisitore è
un uomo di chiesa, appartiene anzi ai più alti gradi gerarchici di questa
chiesa che dice di essere depositaria e diffonditrice del messaggio della
salvezza, ma egli non crede in quel Dio, nel cui nome tuttavia parla ed agisce.
E non si può certamente dire che l’Inquisitore abbia perduto la fede per la
rilassatezza dei costumi. Anzi ha «mangiato anche lui radici nel deserto»,
anche lui si è «accanito a domare la propria carne per rendersi libero e perfetto»
.
Ma al messaggio della
libertà, gli uomini non sono in grado di corrispondere, perché deboli e
fragili. Sì, dice ancora il vecchio, «non c’è nulla di più ammaliante per
l’uomo che la libertà della propria coscienza: ma non c’è nulla, del pari, di
più tormentoso ». Pertanto, con un tragico ribaltamento di prospettiva, egli
riterrà di amare gli uomini, togliendo loro il peso della libertà e rendendoli
“felici” nel docile appiattimento dello spirito e nella soddisfazione dei
bisogni immediati. Un amore questo, che si tinge dei sinistri bagliori dei
roghi… è giusto che uno muoia … per il bene di molti.
Il progetto del Grande
Inquisitore
L’ampia e tragica
pretesa del Grande Inquisitore è quella di “correggere” l’opera di Cristo: «Ma
io ho aperto gli occhi, e non ho voluto servir la follia. Ho virato di bordo, e
mi sono aggregato alla schiera di quelli che hanno corretto le Tue gesta».
Ritenendo impraticabile ai più la strada della libertà indicata da Cristo, nel
nome stesso di Lui, mentendo, alla strada impervia della libertà è stata
sostituita la strada facile del servilismo felice, permettendo anche di
peccare.
«Oh, noi li persuaderemo
che allora soltanto essi saranno liberi, quando rinunzieranno alla libertà loro
in favore nostro e si sottometteranno a noi… Oh, noi consentiremo loro anche il
peccato, perché sono deboli e inetti, ed essi ci ameranno come bambini, perché
permetteremo loro di peccare. Diremo che ogni peccato, se commesso col nostro
consenso, sarà riscattato, che permettiamo loro di peccare perché li amiamo e
che, in quanto al castigo per tali peccati, lo prenderemo su di noi. Così
faremo, ed essi ci adoreranno come benefattori che si saranno gravati coi loro
peccati dinanzi a Dio. E per noi non avranno segreti. Permetteremo o vieteremo
loro di vivere con le proprie mogli ed amanti, di avere o di non avere figli, –
sempre giudicando in base alla loro ubbidienza, – ed essi s’inchineranno con
allegrezza e con gioia. Tutti, tutti i più tormentosi segreti della loro coscienza,
li porteranno a noi, e noi risolveremo ogni caso, ed essi avranno nella nostra
decisione una fede gioiosa, perché li libererà dal grave fastidio e dal
terribile tormento odierno di dovere personalmente e liberamente decidere. E
tutti saranno felici, milioni di esseri, salvo un centinaio di migliaia di
condottieri. Giacché noi soli, noi che custodiremo il segreto, noi soli saremo
infelici».
Il tragico ateismo del
Grande Inquisitore raggiunge il punto culminante e intensivo
nell’identificazione con lui, con il Tentatore.
L’identificazione con lo spirito del Tentatore da parte del Grande Inquisitore, «… noi non siamo con Te, siamo con lui: ecco il nostro segreto!», fa sì che questi, nel confronto con Cristo nel buio della prigione Sivigliana, assuma la configurazione dell’Anticristo. Desunte dalla pagina del vangelo matteano (Mt 4, 1-11), le tre tentazioni si rivestono di un progressivo significato di sfida, di fronte all’insuccesso dell’opera di Gesù. Le tre tentazioni indicano l’unica strada da seguire, per raggiungere gli uomini deboli e dominarli nella illusione di una «quieta e umile felicità». Non saranno le pietre a trasformarsi in pane, ma il pane stesso, frutto del lavoro degli uomini, sarà loro sottratto e ridistribuito da chi ha il potere. E il miracolo sarà nell’aver tramutato in pane quel pane che, senza quel dominio che ha tolto la libertà, si sarebbe trasformato in pietra.
L’identificazione con lo spirito del Tentatore da parte del Grande Inquisitore, «… noi non siamo con Te, siamo con lui: ecco il nostro segreto!», fa sì che questi, nel confronto con Cristo nel buio della prigione Sivigliana, assuma la configurazione dell’Anticristo. Desunte dalla pagina del vangelo matteano (Mt 4, 1-11), le tre tentazioni si rivestono di un progressivo significato di sfida, di fronte all’insuccesso dell’opera di Gesù. Le tre tentazioni indicano l’unica strada da seguire, per raggiungere gli uomini deboli e dominarli nella illusione di una «quieta e umile felicità». Non saranno le pietre a trasformarsi in pane, ma il pane stesso, frutto del lavoro degli uomini, sarà loro sottratto e ridistribuito da chi ha il potere. E il miracolo sarà nell’aver tramutato in pane quel pane che, senza quel dominio che ha tolto la libertà, si sarebbe trasformato in pietra.
[...]
Le ragioni
dell’Inquisitore
Il discorso
dell’Inquisitore non può essere semplicemente rigettato come figlio di un patto
col diavolo, pertanto falso a priori. L’Inquisitore (come dimostra anche la sua
vicenda personale) è un uomo che ha preso estremamente sul serio il messaggio
evangelico. Infatti, chi potrebbe negare che il comandamento dell’amore è
qualcosa di “sovrumano”? L’amore sfugge al controllo della ragione. Si può
stabilire intellettualmente che è giusto amare il prossimo, ma una volta fatto
questo si è ancora infinitamente distanti dall’amarlo concretamente, dal
provare amore per lui. Ancor più evidente è il caso del perdono. Il genitore di
un figlio assassinato può ripetersi mille volte che è giusto perdonare (e già
questo implica uno sforzo notevole...), ma non è ben più “naturale” (“umano”)
che, nei confronti dell’omicida, provi un odio profondo, anziché vedere in lui
un fratello?
Nessun ragionamento è in grado, automaticamente, di far nascere il minimo sentimento. Il comandamento dell’amore è al centro del Vangelo, ma l’uomo raramente riesce a “farsi ubbidire” quando comanda a se stesso di amare. Troppo fragile è la volontà umana, troppo debole la voce della ragione. L’Inquisitore sta lì a ricordarci la sproporzione tra le “pretese” di Cristo e le nostre capacità, di qui il rimprovero al “prigioniero” di aver sopravvalutato l’uomo: non siamo abbastanza forti per amare; solo alcuni, cui è stata concessa una grazia particolare, lo possono fare. La Chiesa si occupa degli altri.
Nessun ragionamento è in grado, automaticamente, di far nascere il minimo sentimento. Il comandamento dell’amore è al centro del Vangelo, ma l’uomo raramente riesce a “farsi ubbidire” quando comanda a se stesso di amare. Troppo fragile è la volontà umana, troppo debole la voce della ragione. L’Inquisitore sta lì a ricordarci la sproporzione tra le “pretese” di Cristo e le nostre capacità, di qui il rimprovero al “prigioniero” di aver sopravvalutato l’uomo: non siamo abbastanza forti per amare; solo alcuni, cui è stata concessa una grazia particolare, lo possono fare. La Chiesa si occupa degli altri.
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