Sebbene un po’ in ritardo, nella
memoria odierna dei SS. Encratide (o Engrazia) di Saragozza, vergine e martire,
e Benedetto Giuseppe Labre, confessore, rilanciamo, come di consueto, l’editoriale
di Radicati nella fede del mese di aprile, ripreso da anche dal blog Chiesa e postconcilio.
Ambito del Zurbarán, S. Engrazia, 1640, Museo de Bellas Artes, Siviglia |
S. Benedetto G. Labre visita il Santuario della Madonna dei Miracoli in Andria, stampa XIX sec. |
Antonio Cavallucci, S. Benedetto G. Labre, 1795, Museum of Fine Arts, Boston |
Pietro Gagliardi, S. Benedetto Labre assiste alla Messa nella Chiesa di S. Maria in Aquiro, XIX sec., Chiesa di S. Maria in Aquiro, Roma |
Pietro De Simone, S. Benedetto G. Labre visita nel 1771 il Santuario di Leuca, 1897, Santuario di S. Maria de Finibus Terrae, Leuca |
Anonimo, S. Benedetto G. Labre prega nel Colosseo, XIX sec., Cappella di via dei Serpenti n. 2 dove morì il santo, Roma |
Achille Albacini, Tomba di S. Benedetto Giuseppe Labre, 1892, Chiesa di Santa Maria ai Monti, Roma |
I NUOVI CLERICALI DEL PERDONO
Editoriale di “Radicati nella
fede”
Anno IX n. 4 - Aprile 2016
La questione non è essere severi
o misericordiosi, comprensivi o rigidi, evangelici o rigoristi; no la questione
non è questa.
La vera alternativa si pone tra
essere cattolici o essere clericali.
Il clericalismo è una brutta
bestia che è dura, durissima a morire. Il clericalismo di ogni genere, di ogni
colore, di ogni tendenza. Sì, perché il clericalismo, che è una delle tentazioni
più forti nella Chiesa, si trasforma esteriormente, restando sempre fedele a se
stesso. Si adatta alle mode, alle situazioni, perché il suo scopo è alimentare
se stesso.
Non vogliamo fare un trattatello
sul clericalismo, non è il nostro scopo e non saremmo in grado di farlo;
vogliamo solo coglierne qualche aspetto provocatorio, che inviti ad una riflessione.
Il clericalismo, nella sostanza,
è l’operazione che l’uomo compie per sostituirsi a Dio.
Per il clericale non c’è al
centro Dio, la sua verità, la sua legge e la sua grazia. Per il clericale al
centro c’è l’uomo di chiesa, che sente il dovere di “gestire” per conto di Dio.
Il clericale parte da una considerazione giusta, quella che fa dire che non si
può andare a Dio senza la Chiesa; ma strada facendo perde Dio e resta solo con
la Chiesa. È come un protestantesimo ribaltato, che finisce per avere la stessa
erronea separazione tra la Chiesa e Dio: il protestante pretende di arrivare a
Dio senza la Chiesa; il clericale pretende di fare gli interessi di Dio
fermandosi alla Chiesa.
Il clericale arriva a non porsi
più la domanda “Cosa vuole Dio?”, ma si chiede sempre “Cosa possiamo fare
perché la Chiesa sia accolta dalla società e non sia messa ai margini?”, “Cosa
domanda oggi il mondo alla Chiesa?”.
Solitamente, nel passato, l’accusa
di clericalismo era rivolta ai cattolici “rigidi”, un po’ conservatori,
fedelissimi alla gerarchia e all’applicazione senza sconti delle norme
ecclesiali.
Oggi constatiamo che il
clericalismo, che come animale camaleontico si adatta ad ogni terreno e clima,
è proprio dei cosiddetti cattolici progressisti, che non solo si credono i veri
interpreti della volontà di Dio, ma se ne ritengono i liberi formulatori.
Ne è un triste esempio tutto il
dibattito attorno al sinodo sulla famiglia, che ora viene prolungato sulla
questione del perdono in occasione dell’anno giubilare.
I nuovi clericali pensano di
poter gestire politicamente la misericordia, per rendere più simpatica la
Chiesa al mondo. Insomma, i clericali gestiscono il perdono di Dio come arma
politica per introdursi nel salotto della società: perdonare sempre, non
giudicare, comprendere, scusare, accogliere... sono i verbi di moda oggi tra le
fila di coloro che vogliono instaurare un nuovo corso del cattolicesimo.
E questi chierici, intellettuali
laici o ecclesiastici che siano, sostenitori del perdono assicurato a tutto e
tutti, motivano il loro agire con il fatto che i preti non devono sostituirsi a
Dio, che unico ha il potere di giudicare.
Prima di andare avanti chiariamo
subito che non vogliamo cadere nell’inganno della severità per la severità: la
Chiesa si è spinta sempre fino all’estremo per concedere il perdono, perché
crede al perdono di Dio. La misericordia divina è infinita, perdona ogni
peccato se trova in noi il dolore del pentimento: guai a noi se ponessimo
limiti a questo perdono! Ma questo spingersi fino all’estremo possibile, non è
mai una falsità retorica: la Chiesa si domanda sempre se ci siano le condizioni
perché il perdono di Dio possa fruttificare in noi (ad esempio, il dolore del
peccato e il proponimento di non commetterlo più...), e amministrando il
perdono prima giudica se ci siano o no queste condizioni. Rinunciare a questo,
da parte della Chiesa, sarebbe rinunciare al compito datole da Dio stesso.
Proprio perché è di Dio, il
perdono non può essere gestito dagli uomini, anche di chiesa, sganciato dalla
stessa Rivelazione di Dio. Dio ha detto la sua volontà su di noi, ci ha ha dato
la sua grazia ma anche la sua legge!
Proprio perché è di Dio, i preti
non possono sostituirsi a Lui, amministrando assoluzioni a chi non le chiede
veramente; e le chiede veramente chi, anche tra mille difficoltà, prova il
dolore del proprio peccato e vuole uscirne.
E Dio, cui appartiene il
perdonare, non è una pagina bianca nella vita degli uomini: ha detto la verità
su di noi e chiede a noi di seguirla.
Allora, clericali della peggior
razza, sono tutti coloro che nella Chiesa, non amando il martirio, cercano un
posto nel nuovo mondo, ridicolizzando il perdono in una automatica assoluzione,
che diventa poi, ed è inevitabile, la benedizione di tutto. E così il male non
si ferma e ne vanno di mezzo le anime, a partire dalle più fragili.
Il perdono dei nuovi clericali è
falso, è solo una parola vuota, che non cerca quello che Dio cerca in noi: il
reale cambiamento, la santificazione possibile, la trasfigurazione nella grazia
della nostra vita. Il clericale è pessimista sull’uomo e non ha fede nella
grazia, non crede al cambiamento della persona, per questo non perde tempo: dà
un facile perdono retorico ed esterno a tutti, e pensa ad altro, impegnato com’è
nei salotti della modernità.
Il cattolico crede invece nel
cambiamento delle persone, nella salvezza delle anime, per questo lavora
affinché ci siano nell’uomo le condizioni per accogliere, con frutto, la grazia
che salva.
I preti cattolici amministrano il
perdono, che è e resta di Dio; amministrare significa lavorare perché il
perdono possa essere reale nella persona e produrre frutti di bene e di santità.
Così ha lavorato, per Dio e per
le anime, un’infinita schiera di santi confessori.
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