Il calendario tradizionale
celebra oggi la festa del domenicano ed inquisitore S. Pietro da Verona. Tutti
si sarebbero aspettati – avendo un’immagine distorta ed “illuminista” della
Chiesa – che il suo uccisore finisse imprigionato, tormentato sotto tortura e
magari pure ucciso in modo atroce dai “crudeli” Domenicani dell’Inquisizione e
da una Chiesa medievale asseritamente - secondo la volgata comune - oscurantista e perfida. Ed invece no. Al contrario. La
storia dell’autore del delitto, tale Carino da Balsamo, in un certo qual modo
ricorda la storia di S. Paolo – la cui conversione fu ottenuta dal sangue versato
da S. Stefano – o di un Alessandro Serenelli – convertito da S. Maria Goretti.
In effetti, l’uccisore di S.
Pietro, convertitosi, vestì egli stesso l’abito di terziario domenicano e morì
in concetto di santità nelle Marche, venendo elevato dalla Chiesa alla gloria
degli altari e venerato come Beato Carino da Balsamo, la cui festa si celebra
il 28 aprile (il giorno prima di quella di S. Pietro martire). Scrive un
insigne domenicano, autore di una vita del Santo celebrato oggi, che: «Carino
fu perdonato e si pentì del suo tremendo delitto; convertitosi, egli chiese di
potersi ricoprire dell’abito che indossava il dolce servo del Signore, e finì
fratello laico in un convento domenicano delle Marche dove si dedicò al lavoro
e a tale durissima penitenza d’espiazione che il popolo lo venerò dopo la morte
come beato» (P. Reginaldo Frascisco
O.P., San Pietro martire da Verona, ESD, Bologna, 1996, p. 124).
Per cui, quest’oggi, oltre a S.
Pietro martire vogliamo ricordare pure il santo suo assassino, che possiamo
ascrivere come uno dei frutti più belli ottenuti dal sangue innocente e fecondo
del servo del Signore Pietro da Verona. Per notizie sul beato Carino, rinviamo
al recente libretto Marco Bulgarelli,
Il santo assassino. Beato Carino da Balsamo, Edizioni san Paolo,
Cinisello Balsamo, 2015.
Pedro Berruguete, Orazione di S. Pietro martire, 1493-99, museo del Prado, Madrid |
Pedro Berruguete, Martirio di S. Pietro martire, 1493-99, museo del Prado, Madrid |
Pedro Berruguete, S. Pietro martire, 1493-99, museo del Prado, Madrid |
Pedro Berruguete, Venerazione e pellegrinaggi al sepolcro di S. Pietro martire, 1493-99, museo del Prado, Madrid |
Anonimo, Vergine del Rosario tra i SS. Domenico e Pietro martire, XVI sec., museo del Prado, Madrid |
Juan de Borgoña, SS. Maria Maddalena, Pietro martire, Caterina da Siena e beata Margherita d'Ungheria, 1515 circa, museo del Prado, Madrid |
Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio, Martirio di S. Pietro da Verona, 1528, Museo d’Arte Sacra San Martino, Alzano Lombardo |
Giovan Battista Moroni, Martirio di san Pietro da Verona, 1555-60, Castello Sforzesco, Milano |
Lorenzo Lotto, Ritratto di fra Angelo Ferretti come S. Pietro martire, 1549 circa |
Le reliquie del beato Carino prima di essere traslate, nel 1934, al santuario di S. Martino, Balsamo |
Il santo assassino
di Oreste Paliotti
La potenza redentrice della
misericordia divina si palesa nella figura del beato Carino da Balsamo, le cui
spoglie sono venerate a pochi chilometri da quelle dell’ucciso, san Pietro da
Verona. Una puntata nell’hinterland milanese, teatro di questa vicenda del XIII
secolo
Con i suoi oltre 75 mila
abitanti, Cinisello Balsamo è il terzo comune della provincia di
Milano dopo il capoluogo e Sesto San Giovanni. Il suo sviluppo, dovuto alla
fortissima immigrazione iniziata negli anni '50 per la vicinanza con le grandi
industrie milanesi e le fabbriche di Sesto, ha in effetti stravolto l’identità
e le caratteristiche fisiche dei due borghi agricoli originari, Cinisello e
Balsamo, poi accorpati in un unico comune nel 1928 non senza resistenze degli
abitanti soprattutto di Balsamo. Il primo borgo è l’erede della Cinixellum
al tempo in cui le legioni romane conquistarono la Gallia Transpadana, mentre
il secondo, circa tre miglia più a sud-est, deriverebbe il suo nome Balsemum
o Balxanum da un’antica famiglia nobiliare milanese del X secolo. Tra i
palazzoni moderni ancora resistono alcune vecchie case a corte, tipiche dei
primitivi insediamenti.
Non so quanti dei laboriosi
abitanti di questo hinterland milanese sappiano riferire qualcosa delle lotte
religiose che nel Duecento misero in subbuglio la Lombardia e la stessa Milano.
Mi riferisco all’eresia dei catari (o “uomini puri”), che in alternativa
alla Chiesa cattolica di quel tempo, inquinata dal potere e dalle ricchezze,
professavano un messaggio di salvezza e liberazione dalla soggezione al male.
Per il rigore morale che li contraddistingueva, i catari, che si consideravano
la vera Chiesa di Cristo e degli apostoli, esercitavano un grande fascino su
quanti erano disgustati dal clero cattolico, spesso mediocre e corrotto.
Inoltre essi avevano semplificato la liturgia, ammettendo un solo sacramento:
il battesimo che, impartito agli adulti in prossimità della morte, assicurava
il perdono dei peccati e la salvezza eterna.
Quando il dilagare dell’eresia e
l’emorragia di fedeli furono accompagnate da un fatto di sangue come
l’uccisione, nel 1208, del legato pontificio Pietro di Castelnau, papa Innocenzo
III reagì col tribunale dell’Inquisizione e promuovendo la crociata che avrebbe
segnato l’annientamento del catarismo prima in Lombardia e poi in tutta Europa
(anche se non la fine delle eresie, sempre ripullulanti, magari con nomi
diversi, a causa della incoerenza evangelica dei cristiani). Grande nemico dei
catari fu il podestà di Milano Oldrado da Tresseno, intimo amico
dell’inquisitore per la Lombardia Pietro da Verona. Uno dei motivi di rinnovata
persecuzione nei riguardi dei catari fu appunto l’uccisione efferata di
quest’ultimo, uomo integerrimo stimato da papa Innocenzo IV, nato da famiglia
catara ma poi entrato a far parte dell’Ordine dei Frati Predicatori (i
domenicani).
A questo punto verrebbe da
chiedersi: cosa c’entra Cinisello Balsamo? Centra, perché alcuni potenti
partigiani dei catari, che avevano deciso la soppressione dello scomodo frate,
avevano assoldato come killer un tal Carino originario proprio di
Balsamo. Per Pietro, di ritorno da Como a Milano insieme a un confratello,
l’agguato era stato preparato nella foresta di Barlassina. Inizialmente Carino
aveva con sé un complice, venuto poi meno al suo compito all’ultimo momento. Fu
quindi costretto a consumare da solo il delitto: armato di un falcastro, una
specie di lunga roncola da contadino, assalì i due religiosi, colpendo più
volte Pietro e ferendo l’altro. La tradizione dice che in punto di morte la sua
vittima intinse un dito nel sangue e scrisse per terra: «Credo». Era il sabato in
albis del 3 aprile 1252.
Carino non la fece franca: fu
raggiunto e imprigionato, ma riuscì ben presto a evadere. In fuga verso il Sud
senza amici e denaro, attraversò tutta l’Emilia Romagna. Ma a Forlì,
gravemente ammalato e roso dal rimorso, dovette ricoverarsi nell’ospedale di
San Sebastiano, frequentato dai domenicani del vicino convento. Ormai in fin di
vita, confessò il suo delitto al priore, che credette al suo pentimento e gli
diede piena assoluzione. Non solo: concesse a Carino, dopo una sorprendente
guarigione, di essere affiliato al convento in qualità di penitente. Del resto
anche altri due famosi catari del tempo, dopo la conversione, avevano vestito
l’abito di san Domenico. Nei successivi quarant’anni Carino si prestò ai
servizi più umili, non sappiamo se come semplice penitente o reale fratello
converso dell’Ordine. Ironia della sorte: nei suoi lavori di giardinaggio
adoperava una roncola simile a quella usata per l’omicidio. Si narra che fino
all’anno della morte, il 1293, condusse una vita esemplare.
Quando iniziò a prendere piede il
suo culto, dalla chiesa del convento le spoglie di lui vennero traslate nel
duomo di Forlì. Nell’era moderna furono in parte restituite alla nativa
Balsamo, e nel 1964 qui definitivamente riunite nella chiesa parrocchiale di
San Martino. A Seveso invece, non lontano da Cinisello Balsamo, sorge il
santuario con le venerate reliquie di san Pietro da Verona. In una teca
dell’altare si conserva il falcastro utilizzato dal suo uccisore.
La figura del beato Carino
da Balsamo ricorda per certi versi quella, secoli dopo, dell’assassino di
santa Maria Goretti, Alessandro Serenelli, che in seguito al perdono ricevuto
da lei in punto di morte si convertì e, dopo 27 anni di carcere, visse come
giardiniere e portinaio in un convento di frati cappuccini delle Marche.
Tutta la vicenda è minutamente
ricostruita nel bel libro di Marco Bulgarelli Il santo assassino, edito
dalla San Paolo. Scrive nella prefazione il card. Angelo Scola,
arcivescovo di Milano: «Il miracolo della conversione che genera comunione
rende possibile che, a pochi chilometri di distanza, oggi siano venerati sia
l’ucciso che il suo assassino, diventati “uno” in Colui che è il Volto stesso
della misericordia».
Fonte: Città Nuova, 22.1.2016
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