lunedì 4 aprile 2016

No, non è terrorismo. È jihad

Nella festa dell’Annunciazione (traslata quest’anno dal 25 marzo, in cui cadeva il Venerdì Santo), rilancio questo contributo da Tempi, che mostra, come conclude l’autore, «la vera natura del terrorismo risiede non tanto nell’azione jihadista sul territorio europeo, quanto semmai nell’ostinazione degli europei a negare la realtà aumentando così più che il baratro tra se stessi e i propri torturatori, quello tra se stessi e la verità delle cose e del mondo che, letteralmente, li circondano». Ciò in coerenza con quanto ha sostenuto il patriarca cattolico della chiesa greco-melchita siriana Gregorio III Laham, e cioè «Molti di coloro che sono emigrati erano dei terroristi. Vogliono distruggere: non solo la Siria, ma anche l’Europa. Il nostro più grande problema è l’emigrazione. Cinquanta dottori sono partiti solo dalla nostra comunità. Noi dobbiamo aiutare la gente a restare, a non partire» (cfr. Giorgio Nigra, Il patriarca di Siria: “Molti immigrati vogliono distruggere l’Europa”, in Il primato nazionale, 30.3.2016).
Invochiamo, perciò, la protezione della Vergine, che, come nei tempi passati, salvò l’Europa dall’incipiente pericolo islamico.

Jacopo Torriti, Annunciazione, 1296, abside, Basilica di S. Maria Maggiore, Roma





Beato Angelico, Annunciazione o Pala di Cortona, 1433-34, Museo diocesano, Cortona

Emmanuel Tzanfournaris, Annunciazione, 1570-1625, Museo Benaki, Atene


Caravagggio, Annunciazione, 1608-10, Musée des Beaux-Arts, Nancy

Luca Giordano, Annunciazione, 1672, Metropolitan Museum, New York 

Matthias Stom o Stomer, Annunciazione, XVII sec., Galleria degli Uffizi, Firenze

Placido Costanzi, Annunciazione, XVII sec., collezione privata

Francesco de Mura, Annunciazione, XVIII sec., collezione privata

Arthur Hacker, L'Annunciazione, 1892, Tate Gallery, Londra

William Brassey Hole, Annunciazione, XX sec. 

Basilica dell'Annunciazione intorno al 1925

Paolo VI nella Basilica dell'Annunciazione a Nazaret il 5 gennaio 1964. La Basilica è com'era prima delle trasformazioni/deformazioni dell'arch. Muzio del 1969.

No, non è terrorismo. È jihad

di Aldo Vitale

Se esaminati in un’ottica storica, gli attacchi all’Occidente da New York 2001 a Bruxelles 2016 non sono che fasi di una guerra islamica contro la “miscredenza”


«Era necessario ripigliare ogni cinque anni lo Stato, altrimenti era difficile mantenerlo: e chiamavano ripigliare lo Stato mettere quel terrore e quella paura negli uomini che vi avevano messo nel pigliarlo»: così scriveva Niccolò Machiavelli nei suoi Discorsi sulla prima deca di Tito Livio (III,1), lasciando intendere appunto che il terrore è lo strumento di chi governa per conservare e mantenere il potere.
La rivoluzione francese, il socialismo sovietico, il nazionalsocialismo e molteplici altri casi lungo il corso della storia occidentale hanno sempre mostrato che il terrore consiste nella pratica della violenza messa in atto dal potere in carica per tutelare se medesimo oltre ogni ragionevolezza, anche a costo di colpire se stesso: celebre in tal senso il caso del commissario per gli affari interni dell’Unione Sovietica Nikolaj Ezov, che dopo aver messo in piedi la macchina delle purghe fu a sua volta dalla stessa colpito e sostituito dall’ancora più temibile Lavrentij Berija; più celebre ancora, e quasi prototipico, il caso di Robespierre, che dopo aver praticato il terrore tramite l’uso indiscriminato della ghigliottina fu, in una specie di esemplare contrappasso dantesco, decapitato a sua volta.
Soprattutto con l’avvento del marxismo prima e del leninismo poi, che hanno rovesciato i mezzi di oppressione della borghesia contro il sistema borghese medesimo, il terrore è divenuto il perfetto strumento di lotta politica, non più in vista del semplice mantenimento dell’ordine costituito, ma al fine dell’abbattimento e del sovvertimento dell’ordine stesso.
Il terrore si consolida nell’alveo del marxismo come prediletto strumento di lotta diventando vero e proprio terrorismo, fino alle note ed articolate teorizzazioni sul tema di Ernesto Che Guevara e fino alla pratica delle Brigate rosse esemplarmente offerta nei convulsi italiani “anni di piombo” e anche nei primi anni del XXI secolo con gli assassini di Massimo D’Antona e Marco Biagi.
Il terrorismo di lotta sviluppatosi all’interno di un contesto politico per sovvertirne la struttura, è divenuto presto, tuttavia, un terrorismo diverso, mutagene, che ha acquisito la velleità di essere dimostrativo, come nel caso del cosiddetto terrorismo internazionale di cui il XX secolo abbonda in macabri esempi in tutto il mondo.
Il terrorismo, tuttavia, possiede in sostanza almeno tre requisiti: la oppositività, cioè l’essere messo in pratica per opporsi al sistema costituito, sia esso statale o internazionale; la dimostratività, cioè l’essere messo in pratica per dimostrare l’esistenza di una fazione diversa ed eterogenea rispetto al contesto politico e giuridico circostante (si pensi all’Eta); la episodicità, cioè l’essere condotto in singoli momenti, tra loro non consequenziali, che sfruttano determinate circostanze favorevoli di luogo e di tempo, e che proprio per questo possono mutare ponendo fine alla realizzabilità di un nuovo attacco terroristico.
Tutto ciò premesso, occorre riconoscere che quello islamico non è terrorismo, ma si tratta di vero e proprio jihad, cioè dello sforzo di ricondurre al “Dar al-Islam”, cioè ai “territori sottomessi”, ovvero già islamizzati, il “Dar al-Harb”, cioè i “territori della guerra”, ossia quelli che ancora devono essere islamizzati.
Lo si deduce da diversi elementi che prescindono dalle mere dichiarazioni, lapalissiane, di coloro che partecipano a questo tipo di scontro al quale, per l’appunto, mancano quei suddetti requisiti che invece caratterizzano il terrorismo.
Le prove in tal senso possono essere molteplici, ma su tutte quella storica sembra imporsi con preponderante evidenza.
Con un sintetico excursus di date ed eventi si può già cogliere ciò che qui s’intende, cioè il fatto che gli attacchi condotti dai vari gruppi islamici non sono attacchi terroristici, ma operazioni belliche a tutti gli effetti che trovano nella dottrina e nella prassi del jihad la loro naturale collocazione.
Si consideri, del resto, che l’Islam da secoli, dopo una veloce “blitzkrieg” di sottomissione della penisola arabica, del nord-Africa e dei territori balcanici, ha tentato e tenta, talvolta anche con alterne fortune, di conquistare l’Europa.
Nel 622 Maometto si reca a Yathrib e già appena nel 635 la Siria e la Palestina diventano islamiche: ha così inizio la lunga e paziente lotta di conquista ed espansione armata dell’islam. Nella primavera del 638 viene conquistata Gerusalemme che rimarrà islamica ininterrottamente per tre secoli, cioè fino alla prima crociata. Nel 640 Mesopotamia, Armenia, Persia, Egitto, Tunisia, Marocco, Algeria sono sottomesse. Nel 711 è la volta della Penisola iberica, che nel 773 vedrà la proclamazione dell’emirato di Cordova divenuto poi califfato nel 929. Nel 721 le truppe islamiche attraversano i Pirenei penetrando nella Francia meridionale, arrivando a conquistare Avignone e Arles, e a pochi chilometri da Lione. Nel 732 la marcia di conquista trova una battuta d’arresto a Poitiers-Tours in cui le truppe minoritarie di Carlo martello riescono ad avere la meglio sulle quattro volte più numerose truppe moresche. Il 17 giugno 827 le truppe moresche sbarcano in Sicilia a Mazara del Vallo, conquistando in breve Marsala e Agrigento; nell’estate dell’831 vengono espugnate Palermo, Messina, Modica e Ragusa; Enna cade nell’859; ultima Siracusa la cui popolazione viene trucidata nella primavera dell’878 dopo un estenuante assedio. Nel 1444 gli eserciti europei si radunano a Varna, in Bulgaria, per fermare l’avanzata moresca. Nel maggio del 1453 Costantinopoli viene soggiogata all’islam dopo mesi di assedio. Il 28 luglio 1480 la flotta del Sultano Maometto II sbarca ad Otranto, e il 14 agosto vengono sterminate 12 mila persone e soprattutto sono decapitati gli 813 otrantini che si sono rifugiati nella cattedrale con il vescovo Stefano Pendinelli rifiutandosi di rinnegare la propria fede. Il 18 maggio 1565 viene assediata Malta dalla flotta ottomana. Nel luglio del 1571 è la volta di Cipro. Il 7 ottobre 1571 la flotta ottomana viene fermata a Lepanto dalla provvidenziale flotta radunata nel Mediterraneo tramite la partecipazioni di quasi tutte le potenze navali europee dell’epoca. L’11 settembre 1683 ben 140 mila ottomani assediano Vienna difesa da uomini di ogni culto cristiano (cattolici, protestanti e ortodossi) provenienti da tutta Europa. L’11 settembre 2001 vengono distrutte le torri gemelle di New York. A Madrid nel 2004 e a Londra nel 2005 vengono condotti attacchi dinamitardi, rispettivamente, sulla linea ferroviaria e nelle linee della metropolitana. Tra l’1 e il 3 settembre 2004 1.200 persone nella scuola di Beslan, in Russia, vengono prese in ostaggio da 32 militanti islamici che ne uccidono 331 in tre giorni. Nel gennaio 2015 a Parigi si consuma l’attacco armato alla redazione di Charlie Hebdo. Il 13 novembre 2015 ben 7 attacchi dinamitardi e armati per le strade di Parigi causano 150 morti e il doppio dei feriti. Infine, il 22 marzo 2016 il Belgio subisce l’attacco che provoca una trentina di morti e più di 200 feriti negli attentati all’aeroporto Zaventem di Bruxelles e alla metropolitana della stessa capitale belga.
Appare evidente, dunque, che non si tratta di meri atti terroristici, ma di ulteriori fasi di una vera e propria guerra, il jihad, che l’islam ha dichiarato e conduce da secoli contro tutti coloro che non sono islamici in genere e contro l’Occidente in particolare.
Se tutto ciò non fosse ancora sufficiente, si possono e si devono considerare le riflessioni di uno dei più grandi studiosi del fenomeno del jihad come David Cook, che per l’appunto cita le stesse fonti islamiche e tanto chiarisce: «Al-Ghunaymi si sofferma su questo punto. I musulmani non combattono per respingere un’aggressione; combattono per porre fine alla miscredenza […]. Il jihad è la tematica maggiore che attraversa l’intera civiltà musulmana ed è, perlomeno, uno dei fattori principali dello stupefacente successo della fede nell’islam […]. Il jihad praticato dai gruppi contemporanei rientra nelle definizioni classiche: è comprovato dalla scrupolosa attenzione che questi gruppi mostrano nei confronti delle norme giuridiche classiche e contemporanee, dalla forte accentuazione delle ricompense spirituali del jihad, dall’affermazione frequentemente ribadita di combattere per la gloria dell’islam […]. Il jihad combattente non scomparirà mai del tutto, semplicemente perché troppo ben attestato nelle fonti musulmane in lingua araba e perché costituisce, per i musulmani, per le conquiste che ha loro consentito, una delle prove più importanti della verità dell’islam».
Ciò nonostante, l’Occidente in genere e l’Europa in particolare continuano a negare l’evidenza, cioè che si tratti di jihad e si trincerano dietro l’ipocrisia dell’atto terroristico dimostrando la propria mancanza di consapevolezza circa l’effettività della tragica realtà, in ciò, paradossalmente, dando forse ragione a Leo Löwenthal per il quale proprio in una mancanza di consapevolezza consiste il terrorismo: «Un sistema terroristico raggiunge il suo apice quando la vittima non è più consapevole del baratro che c’è tra sé e i propri torturatori».
In tale evenienza, tuttavia, occorre ammettere amaramente che la vera natura del terrorismo risiede non tanto nell’azione jihadista sul territorio europeo, quanto semmai nell’ostinazione degli europei a negare la realtà aumentando così più che il baratro tra se stessi e i propri torturatori, quello tra se stessi e la verità delle cose e del mondo che, letteralmente, li circondano.
Foto Ansa

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