Come già annunciato in precedenza, sarà
presentato quest’oggi a Roma - per puro caso quasi alla vigilia della presentazione dell'esortazione post-sinodale (sebbene la data della presentazione fosse stata fissata tempo prima ed il libro fosse stato consegnato alle stampe oltre un anno fa) - il nuovo libro di don Nicola Bux, prefato da
Vittorio Messori, che avevamo anticipato sin dall’inizio del mese scorso (v.
qui) ed avevamo ricordato pochi giorni orsono (v. qui) e già presentato,
in anteprima, a Lecce lo scorso 2 aprile (v. qui).
A Roma, il card. Burke approfondirà, nel corso della presentazione, gli aspetti giuridico-canonici correlati ai sacramenti ed il card. Sarah quelli teologico-liturgici. Il dott. Gotti Tedeschi si soffermerà sui sacramenti nell'attuale contesto.
Il libro sarà presentato a Milano il 2 maggio. Si prevede anche una prossima presentazione a Bari.
A Roma, il card. Burke approfondirà, nel corso della presentazione, gli aspetti giuridico-canonici correlati ai sacramenti ed il card. Sarah quelli teologico-liturgici. Il dott. Gotti Tedeschi si soffermerà sui sacramenti nell'attuale contesto.
Il libro sarà presentato a Milano il 2 maggio. Si prevede anche una prossima presentazione a Bari.
Una
curiosità: l’immagine di copertina, chiaramente ironica, allusiva e "non convenzionale", che pare abbia stupito molti e che era stata da noi suggerita all'Autore, è reale nel senso che si tratta della foto di un matrimonio celebrato – si fa per dire – in Inghilterra, nel Devon, nell’estate
2010, con tanto d'invitati pur essi vestiti, come gli sposi, "a tema" (v. qui, qui, qui e qui).
Recensione in tedesco del libro di don Bux: „Mit den Sakramenten spaßt man nicht“ – Das neue Buch von Don Nicola Bux, in katholisches.info, 1 April 2016.
Recensione in tedesco del libro di don Bux: „Mit den Sakramenten spaßt man nicht“ – Das neue Buch von Don Nicola Bux, in katholisches.info, 1 April 2016.
Nicola Bux. Coi
Sacramenti non si scherza
Mercoledì 6 aprile
alle ore 17,30: presentazione del libro
di Don Nicola Bux Con i Sacramenti non si scherza, ed. Cantagalli, Siena
2016.
Roma, Palazzo della
Rovere (Hotel Columbus),
Via della Conciliazione 33
Interessante la Prefazione
curata da Vittorio Messori [qui]
Scrive don Nicola
Bux, affrontando la trattazione del sacramento dell’ordine: “I caratteri
distintivi del sacerdozio sono nel conferimento e nell’esercizio dei tre munera,
ossia compiti o uffici: insegnare , santificare e governare”. Quanto al “governare”,
non so se don Nicola ne abbia modo o motivo. Sul “santificare” non ho dubbi: so
quanto sia instancabile nel tenere fede alla sua chiamata di mediatore tra
sacro e profano, tra Dio e uomo, amministratore convinto e competente com’è dei
sacramenti. Venendo all’insegnare: beh, proprio questo suo nuovo libro è una
conferma in più di come prenda sul serio il munus affidatogli alla
consacrazione sacerdotale. Oltre a molti altri libri è, questo, il terzo che dedica
alla liturgia nella Chiesa di sempre e, soprattutto, di oggi.
La sua grande competenza, da ben noto e stimato cattedratico
del tema, è messa al servizio dell’insegnamento attraverso queste opere: non,
dunque, per gruppi selezionati di studenti ma per ogni cattolico, praticante
abituale o saltuario che sia. O anche, come càpita sempre più spesso,
semplicemente per una donna o per un uomo in ricerca. Infiltrata dalla corrente
oggi prevalente in Occidente e che tende a creare una sorta di società liquida,
dove tutto sembra, appunto, liquefarsi in tutto, anche la Chiesa pare voler
dissolvere i contorni netti della fede in una sorta di brodo indeterminato e rimescolato
dal “secondo me” di certi sacerdoti.
Non ostacolati, anzi
istigati, dai teologi che sappiamo. Ebbene: della fede, i sacramenti sono l’espressione,
il frutto, il dono più alto e prezioso. Ecco, dunque, il nostro liturgista
dedicarsi al tema, con la passione consueta, seguendo l’utile schema già
impiegato nei libri precedenti. Innanzitutto, cioè, chiarire, per ognuno dei
sette “segni efficaci” l’oggetto, il significato, la storia. Poi – necessaria,
e più che mai attuale – l’avvertenza circa le deformazioni, gli equivoci, le aggiunte
o le sottrazioni che oggi minacciano quel sacramento. Dunque, una catechesi in
uno stile che sa essere al contempo dotto e divulgativo, seguìta da una sorta
di “manuale per l’uso”. L’efficacia è confermata anche dall’ottimo successo che
i libri hanno avuto non solo in Italia ma anche nei Paesi nella cui lingua sono
stati tradotti.
Don Bux sa essere
severo verso certi suoi confratelli e verso quel loro prurito “creativo” che li
induce a intaccare una disciplina liturgica che non è inutile formalismo bensì
sostanza stessa del sacramento. Ma i suoi avvertimenti non hanno il tono
sprezzante o imperioso dell’inquisitore o, peggio, dell’ideologo con le sue
sbarre e le sue gabbie. In lui, il richiamo all’ordine è espresso, in fondo,
con la comprensione di chi ben sa quale sia la cultura deformata e deformante
in cui anche gli uomini di Chiesa sono immersi. E ben sa, oltretutto, quanto
incompleta e magari sospetta sia la formazione (se ancora è tale) che viene
impartita troppo spesso allo sparuto gruppo dei seminaristi superstiti. Pare di
cogliere nel professore che qui scrive una sorta di pietas per i poveri preti,
pur dietro il rimbrotto. Ad essi, da confratello specialista ma non per questo
chiuso nella torre d’avorio accademica, ad essi, dunque addita non solo una
lista di errori e di equivoci, ma anche la direzione verso la quale muoversi
per cercare di rimediare.
Alla base di tutto
quanto succede nella Catholica ormai da decenni, c’è quanto l’autore
denunciava anche nei libri precedenti: quella “svolta antropocentrica che ha
portato nella Chiesa molta presenza dell’uomo, ma poca presenza di Dio”. La
sociologia invece della teologia, il Mondo che oscura il Cielo, l’orizzontale
senza il verticale, la profanità che scaccia la sacralità. La sintesi cattolica
– quella sorta di legge dell’et-et, di unione degli opposti che regge l’intero
edificio della fede – è stata troppo spesso abbandonata per una unilateralità
inammissibile.
Quanto ai sacramenti
in particolare: da laico, sarei tentato di lanciare una sorta di monito ai
sacerdoti. Attenti, mi verrebbe da dire, non sappiamo che farcene, (ne abbiamo
già troppi) di sociologi, sindacalisti, politologi, psicologi, ecologi,
sessuologi e, in genere, di tuttologi! Attenti, perché non c’è bisogno di
preti, frati, monaci che esercitino i mestieri che dicevo, per giunta spesso da
improbabili orecchianti. Non si dimentichi mai che quella che soltanto il
consacrato può esercitare, quella dove non ha e non può avere “concorrenza”, è
la funzione di tramite, di legame, tra l’uomo e Dio. Nell’amministrazione,
appunto, dei sacramenti. E’ il “santificare” il munus che – per ridurci
all’essenziale - ne giustifica l’esistenza e la presenza. Ottimo, se ben
condotto, l’impegno clericale nel sociale, nella cultura, in ogni campo dell’attività,
della cultura, del lavoro umani. Ottimo ma non indispensabile: anche noi laici
quegli impegni sappiamo esercitarli e li esercitiamo, assai spesso, ben meglio.
Da professionisti e non da dilettanti. Ma solo un uomo cui sono state imposte
le mani scandendo sul suo capo le parole alte e terribili tu es sacerdos in
aeternum, solo un uomo così può assicurarci il perdono di quel Cristo di
cui è tramite; e può trasformare, nella fede, il vino e il pane nel sangue e
nella carne del Redentore. Lui solo. Nessun altro al mondo.
Le folle si
accalcano, per un istinto profondo, attorno all’altare e al confessionale di
padre Pio, spintonando per essere il più vicini possibile alla sua eucaristia e
per potere avere il privilegio di affidare a lui i peccati che Gesù giudicherà.
Ma non si conoscono folle, se non di studenti iscritti a quel corso, attorno
alla cattedra del chierico teologo che spiega che è puerile credere alla realtà
anche “materiale” dell’eucaristia. E che è una sceneggiata, indegna del cristiano
adulto, pensare che il perdono dei peccato passi attraverso uno strumento, un
uomo come noi. Già: ma al contempo, invisibilmente, diverso. Diverso perché
consacrato.
Post Scriptum.
Proprio il giorno dopo avere concluso le pagine qui sopra, ho ricevuto l’ultimo
libro di Hans Küng: Morire felici? Il teologo svizzero (che si offende se
qualcuno non lo definisce “cristiano”, anzi “cattolico”) è tra i promotori ed
attivisti di Exit, la più nota ed attiva organizzazione in Europa per la “morte
assistita”, cioè l’aiuto fattivo per l’eutanasia. Con macabra ipocrisia, chi
chiede di farla finita è trattato come in un confortevole albergo e, al momento
da lui desiderato, è fatto accomodare sulla poltrona di un salotto silenzioso e
deserto. Una infermiera pone sul tavolino un bicchiere con una bevanda dal
sapore gradevole ma spaventosamente tossica e se ne va, chiudendo la porta.
Porta che sarà riaperta poco dopo per constatare la morte e portare via il
cadavere. Ipocrisia macabra, dicevo: Exit si limita a mettere a disposizione un
luogo tranquillo e a posare sul mobile un veleno mortale: che può farci se quel
signore, o quella signora, decidono di bere la mistura? Sono liberi, perbacco,
nessuno li obbliga.
Il “cattolico” Küng è
prete e non ha mai chiesto di abbandonare il sacerdozio, anche se nessuno lo ha
mai visto con un clergyman o, peggio, con paramenti ecclesiastici, ed egli
stesso si stupirebbe molto se qualcuno lo chiamasse “don Hans”. Già nel
capitolo introduttivo di questo suo pamphlet che intende dimostrarci quanto
suicidio ed eutanasia siano “biblici”, anzi “evangelici”, non manca, come
sempre, di scagliarsi contro quella Catholica che lo ha ordinato, che gli ha
dato il potere di amministrare i sacramenti. Scrive, dicendo di desiderare il
vero bene dell’uomo, cosa che non fanno i disumani monsignori romani: “Vorrei
una Chiesa che aiutasse l’uomo a morire, anziché limitarsi a dargli l’estrema
unzione. Si tratta di aiutare a morire bene una persona che vuole dire addio
alla vita”.
Impegno sociale sino
agli estremi, dunque: una struttura creata e gestita dalla Chiesa che accolga
gli aspiranti suicidi e li aiuti a raggiungere il loro fine, rapidamente e
senza dolore. Questa è la carità, questo il dovere della comunità cristiana!
È forse caritatevole limitarsi a quel sacramento, a quell’estrema unzione (o
unzione degli infermi, come oggi si dice ) che si limita ad accompagnare alla
morte biascicando antiche parole e procedendo ad anacronistiche unzioni, non
occupandosi però delle sofferenze fisiche del morituro? Lui, Küng, non ha dato
e non da il buon esempio, pilastro illustre com’è di Exit, di quella agenzia “sociale”
che accoglie, con premura cristiana, chi altrimenti sarebbe costretto a
gettarsi nel fiume o dalla finestra o a farsi stritolare dal treno?
È con amarezza che ho
qui spiacevole conferma della domanda che, sopra, mi facevo: dimentichi come
sono del loro ruolo di insondabile valore, di un ruolo che nessun altro al
mondo può esercitare, che ce ne facciamo di preti così? Chi, accanto al suo
letto di morte, chi vorrebbe un professore di teologia nella prestigiosa
università di Tübingen e non lo scambierebbe volentieri col più oscuro e magari
indotto dei preti, ancora consapevole, però, del valore tanto misterioso quanto
efficace - nel senso vero - del sacramento?
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