Continuano
le analisi e riflessioni sull’esortazione Amoris laetitia: un
documento, problematico sotto diversi profili, di cui alcuni
cattolici, sia pur in buona fede, attendono la definitiva interpretazione da
parte del Vescovo di Roma, sebbene l’esortazione avrebbe dovuto illuminare sugli
esiti dei due Sinodi, svolti nel 2014 e nel 2015, i quali, a loro volta,
avrebbero dovuto chiarire le posizioni della Chiesa su un
problema teologico-morale inesistente, essendo chiaramente
affrontato e risolto nella Divina Rivelazione! Un documento che, come
afferma il filosofo cattolico Robert Spaemann, «è il caos eretto a principio
con un tratto di penna» (cfr. Spaemann: “È il caos eretto a
principio con un tratto di penna”, in Chiesa
e postconcilio, 29.4.2016; in Il
Timone, 29.4.2016; Spaemann: Amoris laetitia è in rottura con
il Magistero precedente, in sinodo2015,
28.4.2016. Cfr. Claire Chretien, Pope’s
exhortation is a ‘breach’ with Catholic Tradition: leading German philosopher,
in Lifesitenews,
28.4.2016; Matteo Matzuzzi, Spaemann
ad alzo zero contro il Papa: “Porta la chiesa allo scisma”, in Il
Foglio, 30.4.2016; Antonio
Socci, Il filosofo amico di Ratzinger ammonisce Bergoglio: vai
contro la legge di Dio e rischi di provocare un tragico scisma, in
blog Lo
straniero, 1.5.2016. Per uno sguardo sulle voci critiche nei
confronti dell’esortazione, cfr. In
rapido aumento il numero degli scrittori cattolici che criticano l’Esortazione
papale, in Chiesa
e postconcilio, 15.4.2016; I
cattolici non possono accettare gli elementi della Esortazione Apostolica che
minacciano la fede e la famiglia, ibidem; Giuseppe
Fallica: Cosa dobbiamo aspettarci noi cattolici dopo l'Amoris laetitia, in ivi,
17.4.2016; Corrado Gnerre, L’Amoris Laetitia e
la dimenticanza della Fede, in Riscossa
cristiana, 16.4.2016; Matteo
di Benedetto, Haeresis
Laetitia, ivi,
19.4.2016; don Giorgio Ghio, Etsi
… non daretur, ivi,
26.4.2016, nonché in Chiesa
e postconcilio, 27.4.2016); un documento, frutto di due sinodi, di cui
emergono inediti retroscena (v. Sinodo
(e post-Sinodo). C’era (e c’è) un piano per manovrarli...., ivi,
28.4.2016) e che presenta evidenti elementi dissonanti con il magistero
cattolico (cfr. Intelligenti
pauca, ivi,
16.4.2016, nonché La
norma della decisione ultima e personale per un’azione morale va presa dalla
parola e dalla volontà di Cristo, in Riscossa
cristiana, 24.4.2016. Cfr. anche La
pace nella famiglia: poche parole, precise, edificanti, ivi,
23.4.2016).
Insomma, da quel che emerge è chiaro che si tratta di un
documento che fa un uso strumentale dei richiami a S. Tommaso d’Aquino ed al
magistero (cfr. Luisella Scrosati, Valorizzare
l’adulterio citando (male) san Tommaso, in La
nuova bussola quotidiana, 11.4.2016, nonché in Chiesa
e postconcilio, 16.4.2016), ponendo, in generale, serie questioni di
fede (‘Amoris laetitia’ in conflict with the Catholic Faith, in Rorate
caeli, 8.4.2016). Un documento grazie al quale i vescovi ed in generale
il clero fa a gara per … ammettere alla Santa Comunione coloro che pur sono in
stato di peccato abituale (cfr. Riccardo
Cascioli, Comunione ai risposati, preti e vescovi fanno a gara,
in La
nuova bussola quotidiana, 18.4.2016; Sandro Magister, Comunione ai divorziati risposati.
Nelle Filippine e a Bergamo è già cosa fatta, in blog Settimo
Cielo, 15.4.2016, nonché in Riscossa
cristiana, 16.4.2016).
Nella festa di S. Caterina da Siena, vergine, patrona d’Italia,
rilanciamo volentieri quest’ulteriore contributo di approfondimento
sull’esortazione post-sinodale.
Rutilio di Lorenzo Manetti, S. Caterina abbraccia il Crocifisso, 1620 circa |
Giovanni Odazzi, S. Caterina riceve la corona di spine dal Cristo scelta dalla santa, XVIII sec., Cappella di S. Caterina, Basilica S. Sabina, Roma |
Giovanni Odazzi, Estasi di S. Caterina , XVIII sec., Cappella di S. Caterina, Basilica S. Sabina, Roma |
Giovanni Odazzi, S. Caterina è presentata al Cristo dalla Vergine Maria per le nozze mistiche, XVIII sec., Cappella di S. Caterina, Basilica S. Sabina, Roma |
Problemi morali posti dall’Amoris Laetitia
di Tommaso Scandroglio
Leggiamo il § 305 dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile
che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente
colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si
possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità,
ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa».
A questo punto il documento rinvia alla nota n. 351: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per
questo, ”ai sacerdoti ricordo che il
confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della
misericordia del Signore” (Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44: AAS 105
[2013], 1038)». «Ugualmente segnalo che l’Eucaristia ”non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un
alimento per i deboli” (ibid., 47: 1039)».
Il paragrafo e la nota sono inserite nel capitolo VIII dedicato alle – così
definite – «situazioni irregolari», cioè alla convivenze e
soprattutto alle nuove unioni civili a seguito di divorzio dove il precedente
matrimonio è canonicamente valido. Nel testo quindi da una parte si descrive
una situazione oggettivamente disordinata (il divorziato che si è risposato
civilmente) ma in cui la responsabilità soggettiva del divorziato risposato è
assente oppure non è piena, e dall’altra come strumento pastorale per questa
condizione particolare si indica l’accesso ai sacramenti della riconciliazione
e dell’Eucarestia.
Il paragrafo 305 sembra alludere a una situazione in cui il divorziato
risposato potrebbe vivere in grazia perché privo di responsabilità soggettiva
della sua condizione. Potrebbe essere il caso in cui il divorziato risposato è
pienamente convinto che vivere un secondo matrimonio è condizione conforme a
morale. Mancando la piena avvertenza sulla materia grave, costui non sarebbe in
stato di peccato mortale ergo il divorziato risposato potrebbe comunicarsi.
Tale interpretazione potrebbe essere validata dal § 302 dell’Amoris
Laetitia: «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in
qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale,
privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una
eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può
avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»
(Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio – 22 novembre 1981, 33: AAS 74 (1982), 121).
Tentiamo di rispondere a questa obiezione. In primis occorrerebbe
verificare caso per caso se realmente la persona versa in uno stato di errore
in merito alla sua condizione. Il giudizio di liceità espresso dal divorziato
risposato in merito al suo stato potrebbe essere apparente.
In secondo luogo l’ignoranza invincibile deve essere sempre provata.
In terzo luogo l’ignoranza invincibile può essere colpevole: la ripetizione
di scelte malvagie compiute liberamente (vizio) può condurre la persona in
questa condizione di ignoranza invincibile e dunque la buona fede è un effetto
negativo degli errori colpevoli compiuti nel passato dalla persona stessa.
Quindi la responsabilità sussiste e non si è in grazia di Dio.
In quarto luogo – e veniamo all’aspetto più importante che si svincola
dalla casuistica e si incardina su un principio insuperabile – anche ammesso
che l’ignoranza invincibile sia incolpevole (tesi più teorica che reale) è la
condizione che oggettivamente – al di là dell’imputabilità morale cioè del
profilo soggettivo – è inconciliabile con la comunione. Ricevere Cristo esige
una condizione della vita della persona che oggettivamente sia conforme alla
Santità di Cristo. Sebbene la persona non ne sia cosciente, la condizione di
divorziato risposato è materia grave e tale rimane. Ricorriamo ad un esempio:
un barista senza sua colpa (stato di ignoranza) dà da bere del veleno ad un
avventore. Chi è a conoscenza che in quel bicchiere c’è del veleno deve
impedire al barista di dare da bere perché oggettivamente – al di là della
consapevolezza del barista – quell’azione è dannosa per i clienti. Deve
impedirlo anche se il barista non vuole sentire ragioni ed è convintissimo che
ha tutto il diritto di somministrare quel bicchiere d’acqua. E dunque occorre
impedire ai conviventi e ai divorziati risposati che non vivono castamente (o
che vivono castamente ma che dovrebbero interrompere la loro relazione perché
su di loro non gravano particolari obblighi morali) di accostarsi alla
comunione perché tali condizioni sono oggettivamente lesive di Dio, della
Chiesa e degli stessi divorziati risposati.
C’è un ordo (un orientamento) voluto
da Dio (es. i rapporti sessuali sono leciti solo nel rapporto di coniugio) e vi
sono atti che oggettivamente – cioè per l’oggetto deliberato e al di là della
consapevolezza dell’illiceità professata dall’agente – sono di per sé
contrastanti con questo ordo e che
pongono la persona in una condizione incompatibile con questo ordo.
Ciò impone al sacerdote non solo di proibire l’accesso all’Eucarestia, ma
anche di non assolvere il divorziato risposato che non intendesse cambiare la
sua situazione. Per amministrare validamente l’assoluzione mancherebbero
infatti due condizioni: il chiaro pentimento e la volontà di emenda. Il primo
requisito mancherebbe proprio perché è impossibile pentirsi di una condizione
(o di un singolo peccato) che si reputa buona.
Di conseguenza chi non si pente del proprio stato di divorziato risposato
non decide nemmeno di troncare il rapporto con la seconda moglie e tentare di
tornare con la legittima ed unica moglie. Oltre a questo occorrerebbe che il
penitente si proponesse con risolutezza di riparare ai danni commessi al
coniuge legittimo, alla eventuale prole, al convivente che ha indotto in
peccato e all’intera comunità cristiana a cui ha recato scandalo.
C’è infatti da notare che la gravità della condizione del divorziato
risposato non può che ridondare anche nella particolare severità e attenzione
richiesta dal confessore. Tale condizione non è semplicemente la sommatoria di
più peccati riguardanti il sesto comandamento e non configura solo un vizio,
cioè la ripetizione di atti malvagi che vanno a costruire un habitus peccaminoso, ma rappresenta una libera
scelta nel tempo di uno status contrario
alla volontà divina. È cioè l’elezione ad uno stato di vita strutturalmente e
formalmente incompatibile con la vita cristiana che potremmo indicare, seppur l’espressione
sia fuori moda ma rimane corretta, con la qualifica di pubblico peccatore. E
dunque mancando queste due condizioni – le quali dal punto di vista teologico
costituiscono la materia del sacramento della Penitenza – è proibito dare l’assoluzione
perché illecita e invalida.
Nel caso in cui il confessore la conferisse ugualmente perché convito della
buona fede del penitente che non ha coscienza della gravità della sua
condizione, commetterebbe sacrilegio. Il sacerdote invece, nel colloquio
durante la confessione, dovrebbe risvegliare i moti della coscienza del
penitente, svegliarlo dal suo torpore intellettivo-morale e fargli spalancare
gli occhi sulla sua reale condizione spirituale. Al malato grave ignaro della
sua malattia dobbiamo dire di curarsi, altrimenti morirà.
In sintesi il divorziato risposato per accedere alla comunione deve
manifestare sincero pentimento e proposito fermo di non peccare più,
interrompendo quindi subito l’adulterio pubblico instaurato con la seconda
moglie (la convivenza è permessa solo se gravano sui conviventi particolari e
gravi obblighi morali, quali ad esempio l’educazione dei figli, a patto
ovviamente di vivere castamente e di non dare scandalo a terzi). Gesù,
rivolgendosi proprio ad una adultera, infatti ordinò: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11).
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