Pubblichiamo, in esclusiva
assoluta, il testo dell’intervento di S. Em.za il card. Robert Sarah nel corso
della presentazione del libro di don Nicola Bux lo scorso 6 aprile.
Ringraziamo sentitamente S.
Eminenza per averci onorato con tale suo prezioso ed interessante contributo.
S.
EM.ZA ROBERT Card. SARAH
Intervento
Presentazione
del libro di Mons. Nicola Bux,
Con i Sacramenti non si scherza
Roma,
6 aprile 2016
Fonte |
La Lettera
agli Ebrei esorta a conservare la grazia divina in noi, infatti: «per suo mezzo
rendiamo a Dio un culto gradito a lui, con riverenza e timore; perché il nostro
Dio è un fuoco divoratore» (12, 29). Il nostro culto, quindi, è gradito a Dio,
se è compiuto con riverenza e timore, in quanto si svolge alla sua Presenza.
Anche la colletta del lunedì della IV settimana di Quaresima recita: «O Dio,
che rinnovi il mondo con i tuoi sacramenti, fa che la comunità dei tuoi figli
si edifichi con questi segni misteriosi della tua presenza e non resti priva
del tuo aiuto per la vita di ogni giorno». La Presenza divina (Shekinah),
alla quale si rivolgeva il culto d’Israele, è diventata sacramento grazie al
mistero dell’incarnazione, della passione e risurrezione di Nostro Signore Gesù
Cristo.
Intorno a
questo fatto, si sviluppa la ricerca e la riflessione di Nicola Bux nel libro
che presentiamo, dando ragione anche del titolo: ‘Con i Sacramenti non si
scherza’.
Come è
possibile anche soltanto immaginare di prendersi gioco della Presenza di Dio?
Com’è possibile scherzare con i sacramenti, che sono i segni efficaci –
potremmo dire i farmaci, soprattutto il farmaco dell’immortalità che è
l’eucaristia – per guarire dalle ferite del peccato e rimetterci in salute? Si
può scherzare con i farmaci? Certamente no. Eppure, come più volte ci ha
ricordato Benedetto XVI, assistiamo, in questi decenni del post-concilio, a
«deformazioni della liturgia al limite del sopportabile», quasi un crescendo
che non trova fine. Per questo, Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Ecclesia
de Eucharistia, diede mandato per promulgare l’Istruzione Redemptionis
Sacramentum, pubblicata nel 2004 dalla Congregazione per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti, d’intesa con quella della Dottrina della Fede –
perché nei Sacramenti è in gioco la lex credendi. La stessa
preoccupazione ha mosso Benedetto XVI a promulgare nel 2007,
l’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis e il Motu
proprio Summorum Pontificum, convinto che solo dal rapporto tra il
nuovo e l’antico, si sarebbe prodotto un contagio virtuoso, un arricchimento
vicendevole per riequilibrare le sorti del rito romano. Quindi, bene fa
l’Autore, a mettere in rapporto la fede e la liturgia dei sacramenti sia nella
forma ordinaria che in quella straordinaria.
Non
scherzare coi sacramenti significa, innanzitutto, mettere al centro il
Sacramento dei sacramenti, il Santissimo, oggi inspiegabilmente declassato, in
nome di un fantomatico conflitto di segni: si dice che il tabernacolo non può
stare sull’altare dove il Signore si rende presente nella Messa. Altrettanto è
accaduto con la Croce. Invece, il tabernacolo e in special modo la Croce,
fornisce l’orientamento ad Dominum, così necessario in questo
tempo, in cui tanti vorrebbero farne a meno del Signore, o vivere come se Dio
non esistesse, in modo da fare tutto quello che si vuole. Don Bux ricorda,
nell’introduzione del suo libro, le parole di Geremia: «Invece della faccia mi
voltarono le spalle» (Ger 7, 23-24) e le commenta così: «se Dio è
nel sacramento, la liturgia odierna è, di fatto, ‘di spalle a Dio’.
Non è servito aver riscoperto la sua cosiddetta dimensione escatologica: il
Signore che viene a visitarci, come diciamo nel Benedictus, per
salvarci; e nemmeno l’ecclesiologia di comunione, che discende dallo sguardo
alla Trinità, non dal guardarsi tra sacerdote e popolo. La “svolta
antropocentrica” ha portato nella Chiesa molta presenza dell’uomo, ma poca
presenza di Dio».
E in un
altro passo del libro dice: «La dimenticanza di Dio è il pericolo più imminente
del nostro tempo. A questa tendenza, la liturgia dovrebbe opporre la presenza
di Dio. Ma che cosa accade se la dimenticanza di Dio entra persino nella
liturgia, se nella liturgia pensiamo solo a noi stessi? La Chiesa volta le
spalle al soprannaturale e cessa di consacrare il mondo. Così, “il cielo del cristianesimo è vuoto”
– scrive il filosofo Umberto Galimberti – poiché, a suo giudizio, il
cristianesimo non solo “ha perso la dimensione
del sacro”, ma addirittura “ha desacralizzato il sacro” (Cfr. U. Galimberti, Cristianesimo. La religione dal cielo
vuoto, Feltrinelli, Milano 2012). Lo ammette anche
l’enciclica Lumen fidei: “La nostra cultura ha perso la percezione
di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo. Pensiamo che
Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri
rapporti concreti” (§ 17). Invece il sacro per i cristiani è la presenza di Dio
e tutto ciò che gli attiene, pertanto: “Il risveglio della fede passa per il
risveglio di un nuovo senso sacramentale della vita dell’uomo e dell’esistenza
cristiana, mostrando come il visibile e il materiale si aprono verso il mistero
dell’eterno” (Ivi, § 40)». I sacramenti sono un mezzo speciale per
entrare in contatto con Dio.
Nella crisi
di senso che percorre il mondo, ecco la prospettiva di un libro sui sacramenti:
aiutare i fedeli a riscoprire la liturgia sacramentale della Chiesa, nella sua
pienezza di vita e di verità, e a rileggere la storia e il significato dei
sacramenti cristiani, per rendere la propria fede vita vissuta, migliorando
l’esistenza quotidiana dell’uomo. Ma anche a fornire uno strumento capace di
soddisfare le curiosità di quanti si interessano del “problema fede”, dal punto
di vista dell’evoluzione culturale e di costume.
L’uomo
odierno la «la necessità di essere toccata dal Signore. Quella è la fede che
troviamo sempre e questa fede la suscita lo Spirito Santo».
Con tale
intento, il libro presenta i sacramenti in genere e, nella successione propria
del Catechismo della Chiesa Cattolica, i sacramenti della
iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia), della guarigione
(riconciliazione, unzione degli infermi) e del servizio della comunione
(matrimonio e ordine), senza escludere l’area estesa dei sacramentali. Li
presenta nella forma ordinaria e in quella straordinaria del rito romano. Cerca
di rispondere alle domande più dibattute, con l’intenzione di toccare le
questioni più spinose. Specialmente l’interesse dei giovani all’antica liturgia
dimostra che «Sta avvenendo un passaggio culturale e generazionale nella
percezione della liturgia, ma pochi se ne avvertono, malgrado il gran parlare
di ‘segni dei tempi’».
Nicola Bux
afferma nell’Introduzione che nei sacramenti siamo «faccia a faccia con
Cristo»: i sacramenti sono ciò che di visibile è rimasto di lui, dopo
l’Ascensione, come ricorda san Leone Magno. La stessa sua Parola si è fatta
carne; perciò non si può pensare che la Parola di Dio sia altra cosa dalla
‘carne’ e dalla virtus sacramentale. «Tutti i sacramenti sono
conseguenza dell’incarnazione del Verbo in Gesù: se egli non si fosse fatto
carne, non ci sarebbe la sua presenza e non sarebbero possibili i suoi atti, le
sue azioni: “Gesù ci ha toccato e, attraverso i sacramenti, anche oggi ci
tocca”, ricorda ancora Lumen Fidei (§ 31)». Essi sono
certamente azioni di Cristo e della Chiesa, ma non sarebbero queste azioni
efficaci se Egli non fosse presente.
Il Vaticano
II parla di sacramenti della fede: «I sacramenti sono ordinati alla
santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo e, infine, a
rendere culto a Dio; in quanto segni, hanno poi anche la funzione di istruire.
Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la
nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati ‘sacramenti della
fede’ (Sacrosanctum Concilium, § 59)».
I sacramenti
– ricorda l’Autore – non sono simboli vuoti che rinviano all’invisibile, ma
realtà – da res, cosa – visibili dell’invisibile, in
quanto essi contengono ciò che significano: contengono la virtus,
cioè la potenza efficace che viene dalla persona divino-umana di Gesù Cristo;
anzi, il sacramento eucaristico contiene la realtà della persona di Gesù in
corpo, sangue, anima e divinità. La potenza viene dalla sua presenza. Eppure,
si crede così poco nella loro efficacia e nel loro potere di trasformazione!
Evidentemente, anche per essi vi è oggi un reclamato bisogno di capirli;
pertanto, nasce il bisogno di spiegarli di nuovo, a causa delle deformazioni
che i sacramenti subiscono per ignoranza, da parte, innanzitutto, di non pochi
sacerdoti: di conseguenza i fedeli finiscono per non comprenderli.
L’Autore
cerca, quindi, di comprendere meglio, nella loro potenza sacra, questi che gli
orientali ancora oggi chiamano misteri – come in antico i
padri latini - e di capire a quali deformazioni siano soggetti. Sant’Ambrogio
ritiene che i misteri siano collegati ai sacramenti, nel senso che questi sono
i misteri divini comunicati all’uomo, attraverso gli atti insigni che Gesù
stesso ha compiuto e che la Chiesa ha ricevuto, adattandoli alla ricezione di
quanti si convertivano al vangelo. Dunque, prima di tutto nei sacramenti ci
sono i misteri di Cristo; perciò, non si può parlare della natura dei
sacramenti, cioè della loro realtà intima, se non ci si apre ai misteri: cosa da
non farsi – dice il vescovo di Milano – ai non iniziati. Emerge il metodo di
Ambrogio: «la luce dei misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa
anziché arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche sommaria trattazione
previa»: è un giudizio davvero attuale, se si pensa a certi modi da conductor televisivo
del prete nella celebrazione dei sacramenti. Infatti, constata D. Bux, capita
di assistere ai sacramenti trasformati in lunghe didascalie: è il segno della
sfiducia nell’efficacia del rito, in quanto sostituiamo, con le nostre parole,
le parole della sacra liturgia, le parole di Cristo, le parole delle formule
sacramentali, perché temiamo che le persone non capiscano; che presunzione è la
nostra! Dimentichiamo che c’è una dimensione invisibile del mistero – come dice
sant’Ambrogio – che penetra nel cuore di sorpresa, cioè senza preparazione, nel
senso naturale o mondano della parola. Questo spiega perché la catechesi sia
diventata sterile: senza i sacramenti, essa è come una dottrina gnostica, adatta
per i sapienti e gli intelligenti.
Conclude
l’Autore: «Da Ambrogio impariamo il metodo dei sacramenti: non dare troppe
spiegazioni prima che essi abbiano illuminato i credenti, perché esse non sono
efficaci: per capire i sacramenti non bisogna aprire gli occhi, ma chiuderli.
La parola “mistero”, infatti, viene dal greco myo, che vuol dire
chiudere gli occhi, proprio come accade quando vogliamo capire meglio: intelligere.
I misteri perciò non si capiscono vedendo con gli occhi della carne, ma vedendo
le perfezioni invisibili di Dio con gli occhi interiori. Questo ci farebbe dire
che la liturgia non ha bisogno di essere vista con gli occhi fisici, bensì di
essere vista con gli occhi dello spirito: è l’inizio della mistica».
E vogliamo
concludere anche noi con le parole di Ambrogio, nell’Apologia del profeta
Davide: «Ti sei mostrato a me faccia a faccia, o Cristo; ti scopro nei tuoi
sacramenti» (S. Ambrogio, Apologia
del profeta Davide, 12, 58, in PL 14, 875).
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