Dell’esortazione Amoris laetitia abbiamo avuto già modo di parlarne in
diverse occasioni.
Ora, il giornalista Sandro Magister ne fa una curiosa lettura, comparata
con le opere di Mons. Fernández, “autore occulto” dell’esortazione (come del
resto molti già sospettavano). L’aspetto, che desta perplessità, è certamente quello
che, nonostante due sinodi, la soluzione fosse già stata scritta … . Da tempo. Del resto, già Rorate caeli e poi Chiesa e postconcilio lo avevano affermato in epoca non ... sospetta .... .
“Amoris laetitia” ha un autore ombra. Si chiama Víctor Manuel Fernández
Impressionanti
somiglianze tra i passaggi chiave dell’esortazione di papa Francesco e due
testi di dieci anni fa del suo principale consigliere. Un doppio sinodo per una
soluzione che era già scritta.
di Sandro Magister
ROMA, 25
maggio 2016 – Sono i paragrafi chiave dell’esortazione postsinodale “Amoris
laetitia”. E sono anche i più volutamente ambigui, come provano le
molteplici e contrastanti interpretazioni e applicazioni pratiche che hanno
immediatamente avuto.
Sono i
paragrafi del capitolo ottavo che di fatto danno il via libera alla comunione
ai divorziati risposati.
Che lì papa
Francesco volesse arrivare, è ormai evidente a tutti. E del resto già lo faceva
quando era arcivescovo di Buenos Aires.
Ma ora si
scopre che anche alcune formulazioni chiave della “Amoris laetitia”
hanno una preistoria argentina, ricalcate come sono su un paio di articoli del
2005 e del 2006 di Víctor Manuel Fernández, già allora e ancor più oggi
pensatore di riferimento di papa Francesco e scrittore ombra dei suoi testi
maggiori.
Più sotto
sono messi a confronto alcuni passaggi della “Amoris laetitia” con dei
brani di quei due articoli di Fernández. La somiglianza tra gli uni e gli altri
è fortissima.
Ma prima è
utile inquadrare il tutto.
*
In quegli
anni Fernández era professore di teologia alla Universidad Católica Argentina
di Buenos Aires. E in quella stessa università si era tenuto nel 2004 un
congresso teologico internazionale di approfondimento della “Veritatis
splendor”, l’enciclica di Giovanni Paolo II “circa alcune questioni
fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa”, decisamente critica
dell’etica “della situazione”, la corrente lassista già presente tra i gesuiti
nel secolo XVII e oggi più che mai diffusa nella Chiesa.
Attenzione.
La “Veritatis splendor” non è un’enciclica minore. Nel marzo del 2014,
in uno dei suoi rari e meditatissimi scritti da papa emerito, Joseph Ratzinger,
nell’indicare le encicliche a suo giudizio “più importanti per la Chiesa” delle
quattordici pubblicate da Giovanni Paolo II, ne citò dapprima quattro, con
poche righe ciascuna, ma poi ne aggiunse una quinta, che era proprio la “Veritatis
splendor”, alla quale dedicò un’intera pagina, definendola “di immutata
attualità” e concludendo che “studiare e assimilare questa enciclica rimane un
grande e importante dovere”.Nella “Veritatis splendor” il papa emerito
vedeva restituito alla morale cattolica il suo fondamento metafisico e
cristologico, l’unico capace di vincere la deriva pragmatica della morale
corrente, “nella quale non esiste più quel che è veramente male e quel che è
veramente bene, ma solo quello che, dal punto di vista dell’efficacia, è meglio
o peggio”.
Ebbene, quel
convegno del 2004 a Buenos Aires, dedicato in particolare alla teologia della
famiglia, si mosse nella stessa direzione tratteggiata da Ratzinger. E fu
proprio per reagire a quel convegno che Fernández scrisse i due articoli qui
citati, praticamente in difesa dell’etica della situazione.
Anche a
motivo di quei due articoli la congregazione per l’educazione cattolica bloccò
la candidatura di Fernández a rettore della Universidad
Católica Argentina, salvo poi doversi piegare, nel 2009, all’allora
arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, che fece fuoco e fiamme per
ottenere il nulla osta alla promozione del suo pupillo.
Nel 2013,
appena eletto papa, Bergoglio insignì Fernández perfino dell’ordine episcopale,
con il titolo dell’estinta sede metropolitana di Tiburnia. Mentre confinò alla
Biblioteca Apostolica Vaticana il principale responsabile della bocciatura, il
teologo domenicano Jean-Louis Bruguès, senza farlo cardinale, come invece è
tradizione per tutti i Bibliotecari di Santa Romana Chiesa.
E da allora
Fernández passa quasi più tempo a Roma che a Buenos Aires, impegnatissimo com’è
a fare da ghostwriter del suo amico papa, senza che nel
frattempo siano cresciute le sue credenziali di teologo, già tutt’altro che
brillanti all’esordio.
Il primo
libro, infatti, che rivelò al mondo il genio di Fernández fu: “Guariscimi con
la tua bocca. L’arte di baciare”, edito nel 1995 in Argentina con questa
presentazione al lettore fatta dall’autore stesso:
“Ti
chiarisco che questo libro non è stato scritto sulla base della mia personale
esperienza quanto della vita della gente che bacia. In queste pagine voglio
riassumere il sentimento popolare, quello che la gente prova quando pensa a un
bacio, quello che sentono i mortali quando baciano. Per questo ho parlato a
lungo con tante persone che hanno molta esperienza in materia, e anche con
tanti giovani che imparano a baciare alla loro maniera. Inoltre ho consultato
tanti libri e ho voluto mostrare come i poeti parlano del bacio. Così,
nell’intento di sintetizzare l’immensa ricchezza della vita sono venute queste
pagine a favore del bacio, che spero ti aiutino a baciare meglio, che ti
spingano a liberare in un bacio il meglio del tuo essere”.
Mentre per
quanto riguarda la considerazione che Fernández ha di sé basta una citazione di
un anno fa, da una sua intervista al “Corriere della Sera”, sprezzante nei
confronti del cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la
dottrina della fede e quindi esaminatore previo – ma da tre anni inascoltato –
delle bozze dei testi papali: “Ho letto che alcuni dicono che la curia romana
fa parte essenziale della missione della Chiesa, o che un prefetto del Vaticano
è la bussola sicura che impedisce alla Chiesa di cadere nel pensiero ‘light’;
oppure che quel prefetto assicura l’unità della fede e garantisce al pontefice
una teologia seria. Ma i cattolici, leggendo il Vangelo, sanno che Cristo ha
assicurato una guida ed una illuminazione speciale al papa e all’insieme dei
vescovi ma non a un prefetto o ad un altra struttura. Quando si sentono dire
cose del genere sembrerebbe quasi che il papa fosse un loro rappresentante,
oppure uno che è venuto a disturbare e che dev’essere controllato. […] Il papa
è convinto che quello che ha già scritto o detto non possa essere punito come
un errore. Dunque, in futuro tutti potranno ripetere quelle cose senza la paura
di ricevere sanzioni”. Questo è dunque il personaggio che Francesco si tiene
stretto come suo pensatore di riferimento, l’uomo che ha messo per iscritto
larghe parti della “Evangelii gaudium”, il programma del pontificato,
della “Laudato sì”, l’enciclica sull’ambiente, e infine della “Amoris
laetitia”, l’esortazione postsinodale sulla famiglia.
*
Ed ecco qui di
seguito i passaggi della “Amoris laetitia” in cui sono evidenti i
ricalchi sulle formulazioni di Fernández di dieci anni fa.
Che è utile
leggere tenendo presente quanto detto recentemente da Robert Spaemann, un
grande filosofo e teologo al quale Fernández non può neppure essere messo a
paragone:
“Il vero
problema è un’influente corrente di teologia morale, già presente tra i gesuiti
nel secolo XVII, che sostiene una mera etica situazionale. Giovanni Paolo II ha
ricusato l’etica della situazione e l’ha condannata nella sua enciclica ‘Veritatis
splendor’. ‘Amoris Laetitia’
rompe anche con questo documento magisteriale”.
Fonte: blog www.chiesa,
25.5.2016. L'articolo prosegue con la comparazione dei testi del Fernández
e dell'esortazione.
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