Continuiamo, con un altro contributo, nell’analisi,
pacata ma ferma, dell’esortazione Amoris Laetitia, un documento che, già
prima della sua promulgazione, aveva creato motivi di apprensione nel mondo
cattolico (cfr. Roberto de Mattei,
Le apprensioni dei cattolici alla vigilia dell’Esortazione post-sinodale,
in Corrispondenza romana, 23.3.2016; Giovanni
Scalese, La rivoluzione pastorale, in blog Senza peli sulla lingua, 28.3.2016): timori, i quali, in larga misura, hanno creato triste
conferma (cfr. Id., Salutare autocritica,
ivi, 14.4.2016), tanto più che, come evidenziato da un autore al di
sopra di ogni sospetto e certamente non appartenente al mondo della Tradizione,
i contenuti dell’esortazione fossero ampiamente prevedibili essendo stata “anticipata”
per sua gran parte dalla precedente esortazione – pur essa problematica e non
esente da criticità – Evangelii gaudium (cfr. Id., C’era già tutto in “Evangelii gaudium”, ivi, 27.4.2016).
Nella festa dei SS. Apostoli Filippo e Giacomo,
rilanciamo, perciò, quest’articolo di Cristina Siccardi, che ci fornisce un
ulteriore quadro dell’esortazione pubblicata quasi un mese fa.
Lorenzo Costa, S. Filippo apostolo, 1459-60, National Gallery, Londra |
Simon de Vos, Martirio di S. Filippo, 1645-48, Palais des beaux-arts, Lille |
S. Filippo, Cattedrale di S. Isacco, San Pietroburgo |
Francesco Hayez, Gli apostoli Giacomo e Filippo in viaggio per le loro predicazioni, 1827, collezione privata, Torino |
Castità, una virtù assente dall’Amoris Laetitia
di Cristina Siccardi
Nell’esortazione apostolica Amoris laetitia Papa
Francesco cita il termine castità una volta soltanto, come «condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale».
Nulla più. Questa virtù è una difesa straordinaria e sarebbe molto opportuno
che la Chiesa, senza vergogna, ritornasse a parlarne per correggere
cristianamente il malcostume diffuso e il paganesimo imperante, ricordando ciò
che la Chiesa ha sempre affermato in materia di matrimonio e di famiglia.
L’indissolubilità del matrimonio è legge divina ed essendo tale, anche
nella forzata separazione di una coppia, non è lecito né l’adulterio né il
concubinato (divorziati risposati) che conducono la persona, inesorabilmente, a
trovarsi non più in uno stato di grazia, indispensabile per poter essere degni
di ricevere la Comunione.
Lo stato di grazia permette alla potenza di Dio, attraverso i Sacramenti,
di irrompere nelle vite tribolate, aiutando a portare piccole e grandi croci: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite
e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti
è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 29-30) a
differenza del peccato mortale che procura macigni orrendi.
Più la Chiesa utilizza un ingannevole buonismo, una falsa misericordia e
più il peccato corrode le anime e più esso indebolisce persone e società. «Supponiamo che vi sia un giardino pieno di alberi da frutto e di
altre piante aromatiche, ben coltivato e adornato in ogni sua parte, provvisto
anche d’un muricciolo protettivo. Supponiamo, poi, che vi sia un fiumiciattolo
che vi scorre accanto: questo, quantunque povero d’acqua, sbatte contro la
parete del muricciolo e la corrode; allargando a poco a poco una fessura irrompendo
all’interno del giardino, l’acqua finisce col travolgere e sradicare tutte le
piante, distruggendo ogni coltivazione e rendendo sterile il suolo. Ebbene, non
diversamente avviene anche nel cuore dell’uomo» (San Macario il Grande, Omelie spirituali, 43, 6). Sanare, potare, sradicare le
erbacce, alzare muriccioli e muri per liberare la vita degli uomini è il compito
benefico dei pastori della Chiesa. La castità è attrezzo meraviglioso di
pulizia del giardino di ogni persona e di ogni famiglia.
La promiscuità della società odierna, dalla scuola ai luoghi di lavoro; la
mancanza di pudore nelle donne; l’inconsistente autorità paterna; il lassismo
delle madri, utilizzato per sé e per i propri figli; il linguaggio sboccato; le
influenze nefaste della pubblicità e della cultura pornografica e omosessuale a
vasto raggio; le legislazioni degli Stati occidentali non sono certo l’humus ideale per la coltivazione di pensieri puri;
ma proprio per tale ragione i fedeli sono in affannosa attesa di giusti
insegnamenti evangelici da parte degli ecclesiastici, che pare abbiano
interessi diversi dalla Fede e dalle loro responsabilità davanti a Dio e alle
anime.
Osservare troppo in basso i mali della società, senza pupille anelanti la
vita soprannaturale, è patologia moderna della Chiesa sorta dopo il Concilio
Vaticano II, quella patologia che non permette di servirsi delle corrette
terapie. Pio XI, di fronte alla desacralizzazione dell’istituto familiare e
alle minacce secolarizzatrici, scrisse nel 1930 una memorabile enciclica, la Casti connubii al fine di contrastare la «perversa moralità. E poiché si sono cominciati a diffondere anche
tra i fedeli questi perniciosissimi errori e questi depravati costumi, che
tentano d’insinuarsi insensibilmente ma sempre più profondamente, abbiamo
creduto essere dovere del Nostro ufficio di Vicario di Gesù Cristo in terra di
supremo Pastore e Maestro, alzare la Nostra voce apostolica per allontanare le
pecorelle a Noi affidate dai pascoli avvelenati e, per quanto dipende da Noi,
custodirle immuni».
Efficaci e santi frutti vennero da quell’Enciclica, nonostante che i novatori, con la loro funesta teologia, disseminassero
la zizzania, la stessa che si ritroverà nel Concilio Vaticano II. Come non
ricordare le reazioni irose alla Humanae vitae di
Paolo VI? Oltre 200 teologi firmarono sul New York Times un
appello per invitare tutti i cattolici a disubbidire all’enciclica papale.
Alcuni protagonisti del Concilio, contrari all’enciclica, si riunirono a porte
chiuse nella città di Essen per stabilire una strategia di opposizione al
documento pontificio, che venne sbeffeggiato, disatteso, rigettato con asprezza
da interi episcopati, che ebbero la meglio: la dottrina dell’Humanae vitae non fu seguita e nelle università e
nei seminari i testi di studio divennero quelli del redentorista Bernhard
Häring, padre morale della Costituzione dogmatica Gaudium et Spes,
nonché acerrimo nemico dell’Enciclica del 1968.
Da lunghissimo tempo si preparava Amoris laetitia,
tonnellate di parole scritte, di conferenze, di convegni, di consigli
pastorali… per poi giungere ai due recenti sinodi ed ora all’Esortazione
apostolica.
Ancora una volta l’antropocentrismo è stato il protagonista indiscusso e
con esso le circostanze storiche, sociali e culturali, quelle che determinano
la direzione della rosa dei venti della Chiesa contemporanea, come recita la
stessa Esortazione: «Sono innumerevoli le analisi che si sono fatte
sul matrimonio e la famiglia, sulle loro difficoltà e sfide attuali. È sano prestare
attenzione alla realtà concreta, perché “e richieste e gli appelli dello
Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia”, attraverso i
quali “la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda
dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia” (II,
31)».
Quando riascolteremo nuovamente parole di seria disciplina agganciata agli
insegnamenti di Cristo e non a quelli della rivoluzionaria teologia e della
rivoluzionaria pastorale? Soltanto nelle regole e nella sana educazione si
formano uomini e donne forti in grado di formare famiglie forti per una civiltà
responsabile di se stessa e delle generazioni future, a dimostrazione di ciò
esistono mirabili esempi sia nella macrostoria come nella microstoria. E la
castità rientra a pieno titolo nella corretta formazione dei figli di Dio.
La castità è un prisma d’eccellenza che la Chiesa è tenuta ad insegnare
affinché possa rifrangersi in esso la luce della volontà non degli uomini, ma
di Dio «perché il bene della fede splenda nella debita purezza, le stesse
vicendevoli manifestazioni di familiarità tra i coniugi debbono essere caratterizzate
dal pregio della castità, in modo tale che i coniugi si comportino in tutte le
cose secondo la norma di Dio e delle leggi di natura, e si studino di seguire
sempre, con grande riverenza verso l’opera di Dio, la volontà sapientissima e
santissima del Creatore» (Casti connubii I).
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