mercoledì 25 maggio 2016

Elogio di S. Gregorio VII e delle prerogative del sacerdozio cattolico

Rilanciamo, con lievi modifiche ed integrazioni, un bell'elogio di San Gregorio VII, che abbiamo reperito sul profilo Facebook di Radiospada e che tesse le lodi delle prerogative del sacerdozio cattolico e della potestà papale per divina disposizione.




Matteo Rosselli, Matilde di Canossa riaccompagna il Papa a Roma, 1618 circa, Sala delle udienze di Maria Maddalena d'Austria,  Villa Medicea del Poggio Imperiale

Gianlorenzo Bernini, Enrico IV si umilia dinanzi a S. Gregorio VII a Canossa, Tomba di Matilde di Canossa detta Onore e Gloria d'Italia, 1645 circa, Basilica di san Pietro, Città del Vaticano, Roma

È sacrosanto ricordare San Gregorio VII, papa, acerrimo difensore delle prerogative e della libertà della Santa Sede nei confronti delle ingerenze degli imperatori di Germania.
Fu collaboratore dello sfortunato Gregorio VI e dei grandi papi “riformatori” di quel periodo, San Leone IX, Vittore II, Stefano IX dei Conti di Lorena, Niccolò II, Alessandro II.
contro le gravi ingerenze dell’incostante e feroce Enrico IV nelle investiture ecclesiastiche, fu costretto ad usare la pienezza del potere papale deponendolo dalla carica imperiale.
Ritornato imperatore dopo la penitenza di Canossa, Enrico continuò a perseguitare il Santo Papa, costringendolo infine a Salerno dove morì nel 1085.
Se Innocenzo III, Innocenzo IV e Bonifacio VIII sono la triplice cuspide del Pontificato medievale, San Gregorio è l’aureo basamento di questa cuspide.
La sua deposizione dell’imperatore non è un fatto meramente politico e storicizzabile, ma è una prerogativa intrinseca e permanente del papato (anche se non esercitata).
Come l’ottimo padre Vincent Davin scriveva nella sua Vita di San Gregorio VII nel 1863: “Forse l’indipendenza della regalità accanto all’indipendenza del Sacerdozio ? Ma ciò è il manicheismo sociale, è una duplice divinità che porta un caos peggiore che se non ve n’avesse alcuna. Datemi dei preti senza corpo, dei re senz’anima e bisognerà trovare dei sudditi così partiti: in tal caso io m’acquieterò” (Vincent Davin, San Gregorio Settimo, trad. it. (a cura di) Michele Bongini – Emilio Babbini, Federico Bencini Ed., Firenze, 1863, p. 251)
Quando in Messico si immolavano agli inizi del cinquecento più di ventimila vittime umane all’anno, il papato non poteva che rimettere nelle mani di Fernand Cortes la bandiera della croce e dirgli: “piantala nel mezzo di quell’inferno, a qualunque costo [quei regni hanno perso il diritto di governarsi]” (ibidem, p. 248). Quel che Gregorio VII fece in Germania per mezzo delle leggi divine ed umane, lo poteva fare anche altrove per mezzo delle sole leggi divine. San Pio V lo potrà fare contro la scismatica Elisabetta d’Inghilterra ed il beato Pio IX lo poté in Francia come in Messico, nella Svezia protestante come nella Cina barbara (ibidem, pp. 258-259). Sono i diritti eterni del sacerdozio, le prerogative costituzionali ed inalienabili della Chiesa (ibidem, p. 259)!
A tutti coloro che non lo amano e non l’amarono, a causa di ciò che egli ricorda, a tutti coloro che lo criticano, a tutti i suoi detrattori, ai cattolici ghibellini o guelfi timidi, dal suo gloriosissimo trono in paradiso san Gregorio VII può lecitamente dire “ci rivedremo a Canossa!”.
Sarà la “Canossa celeste” del giudizio finale od una più terrena?
Solo Dio lo sa.

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