La morte di questo eroico vescovo, compiuta dal
re Boleslao II di Polonia, detto l’Ardito, ai piedi dell’altare, l’8 maggio
1079 (secondo altre fonti l’11 aprile di quell’anno), ha qualche cosa di
tragico che ricorda l’assassinio di Zaccaria, figlio di Barachìa, perpetrato nel cortile dei sacerdoti di fronte
al Santo dei santi. Quasi un secolo dopo, san Tommaso di Canterbury troverà una
morte quasi simile a quella di san Stanislao nella sua propria cattedrale;
anche oggi, per mettere meglio in evidenza la somiglianza che esiste tra questi
due atleti del ministero pastorale, la colletta dell’uno si applica pure all’altro.
San Stanislao – il quale fu canonizzato in
Assisi, nella basilica di San Francesco, da papa Innocenzo IV l'8 settembre 1253
– subì il martirio mentre, nella festa dell’Apparizione di san Michele,
celebrava la messa solenne nell’oratorio dedicato al santo Arcangelo nei pressi
di Cracovia, per mano dello stesso sovrano, dopo che le guardie si erano dovute
ritirare perché impedite da una forza misteriosa. Il re gli assestò un fendente
sulla testa con tale violenza da farne schizzare le cervella contro la parete.
Non contento, tagliò il naso e le labbra al martire, e quindi diede ordine che
il cadavere fosse trascinato fuori della chiesa, fatto a pezzi e disperso per i
campi affinché servisse di cibo agli uccelli e alle bestie selvatiche. Il
Signore, tuttavia, impedì che il resti del suo invitto atleta fossero offesi
dagli animali: per questo fece sì che quattro aquile difendessero per due
giorni le reliquie del santo e durante la notte esse rilucevano di uno strano
splendore. Alcuni sacerdoti e pii fedeli, fatti audaci da quei prodigi,
osarono, malgrado la proibizione del re, raccogliere quelle membra sparse,
emananti un soave profumo, e seppellirle alla porta della chiesa di San
Michele. Due anni più tardi il corpo di Stanislao fu trasportato a Cracovia e
seppellito prima in mezzo alla chiesa della fortezza e poi, sotto il vescovo
Lamberto II, nella cattedrale di Wawel di Cracovia (1088).
Il delitto non rimase
senza conseguenze. Il santo pontefice Gregorio VII lanciò l’interdetto sul
regno di Polonia, scomunicò Boleslao II e lo dichiarò decaduto dalla dignità
regale. Il principe, perseguitato esternamente dalla riprovazione dei sudditi,
straziato internamente dal rimorso dei crimini commessi, cercò rifugio presso san
Ladislao I (+1095), re d’Ungheria, che lo accolse con bontà. Il pentimento non
tardò ad impossessarsi del suo animo e allora intraprese un pellegrinaggio a
Roma per implorare dal papa l’assoluzione dalle censure. Giunto ad Ossiach,
nella Carinzia, la grazia lo spinse ad andare a bussare alla porta del
monastero dei benedettini e chiedere di potervi passare il restante della vita
come un fratello laico. Vi rimase sconosciuto fino alla morte (+1081 o 1082)
dedito alla penitenza ed ai lavori più umili. Ieri l'Europa dei Papi e dei Santi, oggi l'Europa degli apostati e degli usurai.
Il santo vescovo fu
trucidato perché, come novello Giovanni Battista o novello Elia contro Acab e la perfida Gezabele, aveva stigmatizzato – e per
questo, in seguito, scomunicato – il re per la sua lussuria sfrenata, che l’aveva
portato persino a rapire le belle mogli altrui. In uno scontro verbale, allorché
il re fu minacciato di scomunica, Boleslao, ingiuriando grossolanamente il
coraggioso prelato, gli disse: “Quando uno osa parlare con tanto poco rispetto
ad un monarca, converrebbe che facesse il porcaio, non il vescovo”. Il santo,
senza lasciarsi intimidire, rispose al sovrano: “Non stabilite nessun paragone
tra la dignità regale e quella episcopale perché la prima sta alla seconda come
la luna al sole o il piombo all’oro” («Novi,
plane, quid Tuæ et Regiæ debeatur venerationi, nec in iis exequendis aliquid a
me reor vel diminutum tibi, vel præreptum. Verum Apostolica, qua ego præditus
sum potestas, superior multis gradibus Regia censenda, et a te procul dubio
æstimanda est. Et, si utriusque ingenue nosse velis efficaciam et virtutem,
quanto lunaris splendor erga solare jubar, et plumbi species erga auri fulgorem
habetur inferior, tantum Regia dignitas est, si ad Apostolicam justa
comparatione illam referas») (cfr. Jan Długosz, Vita et miracula
Stanislai episcopi Cracoviensis, lib. I, Res gestæ et martyrium S.
Stanislai, cap. V, Ob conjugatam a Rege vi raptam, aliis Episcopis
tacentibus, acris admonitio S. Stanislai,
§ 55, in Acta Sanctorum, Maii, vol. II, Dies VII, Parigi-Roma 1866, p. 213).
Il santo è rappresentato solitamente con accanto
a sé un morto da lui risuscitato, tale Pietro Miles, che fu ridestato
dal sonno della morte dopo tre anni dal decesso perché testimoniasse, dinanzi
al tribunale reale, a favore del santo, tra lo stupore dei presenti, di aver
venduto un terreno, a Piotrawin, a Stanislao e di averne ricevuto da questi il
prezzo (contrariamente a quanto avevano sostenuto i nipoti del defunto, i
quali, su istigazione del re, avevano intentato la causa contro il Santo,
accusato da loro di non aver pagato il prezzo del suolo) (cfr. ibidem, capp. VI, Ob villam Piotrawin emptam, evocatur e
tumulo venditor, a triennio mortuus, e VII, Resuscitatus affirmata
venditione ad tumulum reducitur: expenditur ipsius miraculi certitudo et
exempli utilitas, §§ 57-83, in Acta Sanctorum, cit., pp. 213-218; Albert J. Herbert (a cura di), I morti risuscitati. Storie vere di 400
miracoli di risurrezione, Tavagnacco, 2010 rist., pp. 140-141). Dopo questa
deposizione, il morto tornò alla tomba da cui era uscito affermando che
preferiva tornare in Purgatorio – avendo la certezza della salvezza – e nondimeno
scongiurando il santo presule di pregare Nostro Signore affinché gli
abbreviasse le pene del Purgatorio (ibidem, p. 141).
La celebrazione della festa del santo martire, come
rito semidoppio, quando fu introdotta nel calendario universale della Chiesa da
papa Clemente VIII, nel 1595, poiché l’8 maggio è dedicato sin dall’Alto
Medioevo a san Michele, fu fissata al giorno precedente. La festa fu elevata al
rito doppio nel 1736.
Roma cristiana ha dedicato due chiese al nostro
Santo. La prima, San Stanislao dei Polacchi, nel rione Sant’Angelo, in via
delle Botteghe Oscure, ha origini medievali ed era denominata San Salvatore
in pensilis de Sorraca. Questa, concessa dal papa Gregorio XIII al
cardinale polacco Stanislao Osio, fu completamente riedificata nel 1582 e dedicata
al martire oggi celebrato, patrono della Polonia, e vi fu annesso un ospizio
per i poveri della nazione polacca (cfr. Mariano
Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX,
Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 568-569; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze
1927, pp.
449-450). La seconda chiesa, moderna, fu dedicata al nostro Santo, nel
quartiere don Bosco, nel 1991, dal papa Giovanni Paolo II.
La messa è quella del Comune dei Martiri nel
tempo pasquale, Protexisti, come il 24 aprile.
La prima colletta è propria; le altre due sono
quelle della messa Sacerdotes, che sarebbe assegnata
a questa festa se essa cadesse fuori del tempo pasquale, come abbiamo riportato
il 16 dicembre.
Un semplice colpo d’occhio gettato sul Martirologio dimostra che l’immensa maggioranza dei santi che vi sono iscritti sono stati vescovi. La ragione ne è che le funzioni episcopali, ed, in generale, tutti gli incarichi ai quali sono congiunti la cura delle anime, portano con esse delle grazie di stato particolari, e pongono colui che li detiene nella necessità di tendere alla perfezione ed alla santità, sotto pena di non potere, se agisce diversamente, esercitare correttamente il proprio incarico pastorale. Nessuno deve elevarsi mai da sé stesso, né ambire uno stato al quale Dio, forse, non lo chiama: questo sarebbe chinarsi sul bordo di un precipizio. Quando, però, il Signore, tramite i suoi rappresentanti legittimi, chiama un’anima allo stato pastorale, questa, pure diffidando di se stessa, deve mettere in Dio la sua fiducia e mostrarsi umilmente riconoscente di essere così nella necessità di lavorare con zelo alla sua propria santificazione, condizione essenziale di quella del prossimo affidato alle sue cure e di cui deve rendere un conto rigoroso al Pastore e al Vescovo divino.
Un semplice colpo d’occhio gettato sul Martirologio dimostra che l’immensa maggioranza dei santi che vi sono iscritti sono stati vescovi. La ragione ne è che le funzioni episcopali, ed, in generale, tutti gli incarichi ai quali sono congiunti la cura delle anime, portano con esse delle grazie di stato particolari, e pongono colui che li detiene nella necessità di tendere alla perfezione ed alla santità, sotto pena di non potere, se agisce diversamente, esercitare correttamente il proprio incarico pastorale. Nessuno deve elevarsi mai da sé stesso, né ambire uno stato al quale Dio, forse, non lo chiama: questo sarebbe chinarsi sul bordo di un precipizio. Quando, però, il Signore, tramite i suoi rappresentanti legittimi, chiama un’anima allo stato pastorale, questa, pure diffidando di se stessa, deve mettere in Dio la sua fiducia e mostrarsi umilmente riconoscente di essere così nella necessità di lavorare con zelo alla sua propria santificazione, condizione essenziale di quella del prossimo affidato alle sue cure e di cui deve rendere un conto rigoroso al Pastore e al Vescovo divino.
Jan Długosz, S. Stanislao (Święty Stanisław), Catalogus archiepiscoporum Gnesnensium - Vitae episcoporum Cracoviensium, XV sec., Biblioteka Narodowa, Varsavia |
S. Stanislao, 1515 circa, Muzeum Narodowe, Cracovia |
Ambito lombardo, Beato Stanislao vescovo e martire, XVII sec., museo diocesano, Como |
Tadeusz Kuntze, detto Taddeo Polacco, San Stanislao resuscita Pietro Milite per la controversia di Piotrowin, 1754-56, Chiesa di S. Stanislao dei Polacchi, Roma |
Urna di S. Stanislao, 1670, Cattedrale Wawel, Cracovia |
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