L’esortazione Amoris laetitia continua a
suscitare un dibattito vivace nel mondo cattolico.
Giunge ora la presa di posizione del francese don
Claude Barthe. Quasi in contemporanea vi è stata la rivelazione, da parte di
mons. Bruno Forte, uno dei maîtres à penser dei due sinodi, circa le
parole proferitegli dal vescovo di Roma, riferendosi alla Comunione ai
divorziati risposati ed al gruppo tenace di vescovi e cardinali cattolici
difensori della Verità: «Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati
risposati questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in
modo diretto, fa in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò
io» (Mons. Forte svela un retroscena: “Questi non sai che casino ci
combinano”, in sinodo2015, 4.5.2016; «Questi non sai che casino
ci combinano». Il retroscena di Forte sui lavori sinodali, in Il Timone, 4.5.2016; Claire Chretien, Archbishop: Pope told me we must avoid speaking ‘plainly’ on Communion for remarried, in Lifesitenews, 9.5.2016). Parimenti, davvero clamorosa,
è stata pubblicata l’analisi, puntuale e precisa, di Elisabetta Frezza, la quale
ha posto sotto la lente del suo esame la parte dell’esortazione relativa all’educazione
sessuale ed al problema del gender (Elisabetta
Frezza, L’altra faccia della Amoris laetitia: l’educazione
sessuale e di genere obbligatorie anche per la chiesa, in Riscossa cristiana, 4.5.2016).
La presa di posizione di don Barthe giunge dopo l’intervista
del “card.” Kasper al periodico tedesco Aachener Zeitung, nel corso della quale
il prelato tedesco ha ricordato come l’esortazione apra chiaramente la porta
alla Comunione ai divorziati risposati (Peter
Pappert & Bernd Matheiu, Kardinal Kasper: Was Franziskus von der
Kirche und Europa erwartet, in Aachener Zeitung, 22.4.2016. In
traduzione spagnola, El cardenal Kasper asegura que está abierta la puerta a
la comunión de los divorciados vueltos a casar, in InfoCatólica, 1.5.2016)!
Nella festa liturgica di S. Pio V, papa e confessore,
quest’anno sorpassata dalla festa dell’Ascensione al cielo di N.S.G.C., rilancio
quest’intervista a don Barthe.
Palma il Giovane, S. Pio V, XVII sec., Casa Gagliardi, Saint Pierre, Valle d’Aosta |
Anonimo, Immacolata tra i SS. Pio V ed Antonio da Padova, XVIII sec., Abbazia, Borzone |
Bartolomeo Litterini, S. Pio V, XVIII sec., Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia |
Sebastiano Ricci, S. Pio V tra i SS. Tommaso d'Aquino e Pietro martire, 1732-33, Chiesa di S. Maria del Rosario, Venezia |
Giovanni Gasparro, San Pio V Pontefice Massimo, 2015, collezione privata, Bari |
Gioacchino Varlè, S. Pio V, XVIII sec., Chiesa di S. Domenico, Ancona |
R. de Mattei intervista il teologo Barthe: “Non si può
interpretare secondo la tradizione il capitolo VIII di Amoris Laetitia”
Don
Claude Barthe, teologo, autore di opere come La messe, une forêt de symboles(La messa una foresta di simboli), Les romanciers
et le catholicisme (I romanzieri e il cattolicesimo),
Penser l’œcuménisme autrement (Pensare l’ecumenismo
diversamente) è stato uno dei primi, l’8 aprile, in Francia, ad esprimere sul
blog L’Homme Nouveau le proprie riserve nei
confronti del’esortazione Amoris lætitia appena pubblicata. Abbiamo approfittato di un viaggio in
Francia per porgli alcune domande.
CR – Don Barthe, ci interessa molto
darle la parola perché nella sua reazione adAmoris Lætitia lei non ha cercato, come alcuni hanno fatto in un primo
momento, di leggere la lettera apostolica in base ad una griglia tradizionale,
e noi condividiamo la sua lettura.
CB – Non vedo onestamente come si potrebbe
interpretare il capitolo VIII dell’Esortazione nel senso della dottrina tradizionale.
Significherebbe fare violenza al testo e non rispettare l’intenzione dei
redattori, i quali intendono porre un elemento nuovo: «Non è più possibile dire che…».
CR – Eppure, ciò che è detto
nell’Esortazione non è così nuovo.
CB – Non è nuovo da parte della contestazione
teologica, ha ragione. Fin dal Concilio, sotto Paolo VI et Giovanni Paolo II,
la grande impresa dei teologi contestatari è stata principalmente di attaccare Humanæ Vitæ per mezzo di libri, “dichiarazioni” di
teologi, congressi. Allo stesso tempo la comunione ai divorziati “risposati” (e
anche agli omosessuali in coppia ed ai conviventi) ha avuto un ruolo di
rivendicazione direi simbolica. Bisogna sapere infatti che la pratica di
numerosissimi preti, in Francia, Germania, Svizzera e tanti altri luoghi, è di
ammettere senza problemi da lungo tempo i divorziati “risposati” alla
comunione, e di dar loro l’assoluzione quando la chiedono.
L’appoggio più noto a questa rivendicazione era stato dato da una lettera
del primo luglio 1993 dei vescovi del Reno superiore, Saler, Lehmann e Kasper,
intitolata:Divorziati risposati, il rispetto della decisione presa in
coscienza. Essa conteneva tra l’altro esattamente le disposizioni
dell’attuale esortazione: in teoria, nessuna ammissione generale alla
comunione, ma l’esercizio di un discernimento con un sacerdote, per vedere se i
nuovi partner «si considerano autorizzati dalla propria
coscienza ad accostarsi alla Tavola del Signore». In Francia, alcuni
vescovi (Cambrai, Nancy) hanno pubblicato gli atti di sinodi diocesani che
vanno nello stesso senso. Il cardinale Martini, arcivescovo di Milano, in un
discorso che era un vero e proprio programma di pontificato, pronunciato il 7
ottobre 1999 davanti ad un’assemblea del Sinodo per l’Europa, aveva ugualmente
evocato dei cambiamenti della disciplina sacramentale.
In effetti, in Francia, Belgio, Canada e negli Stati Uniti si va anche
oltre: alcuni sacerdoti, relativamente numerosi, in occasione della seconda
unione celebrano una piccola cerimonia, senza che i vescovi glielo impediscano.
Alcuni vescovi incoraggiano anche positivamente questa pratica, come aveva fatto
mons. Armand le Bourgeois, ex vescovo di Autun, in un libro: Chrétiens divorcés remariés (Cristiani divorziati
risposati) (Desclée de Brouwer, 1990). Gli “ordodiocesani, come quello della
diocesi di Auch, “regolamentano” questa cerimonia che deve essere discreta,
senza suono di campane, senza benedizione degli anelli…
CR – Condivide il parere che il
cardinale Kasper abbia avuto un ruolo motore?
CB – All’inizio, sì. Dato per un “grande teologo” dal
papa Francesco poco dopo l’elezione, egli ha preparato il terreno con un
intervento presentato in occasione del concistoro del 20 febbraio 2014, che
aveva fatto uno scalpore enorme. Ma in seguito la cosa è stata gestita con
grande maestria, in tre tappe. Due assemblee sinodali, nell’ottobre 2014 e
nell’ottobre 2015, le cui relazioni integravano il “messaggio” kasperiano.
In mezzo alle due è stato pubblicato un testo legislativo Mitis Iudex Dominus Jesus, dell’8 settembre 2015, il
cui architetto è stato mons. Pinto, decano della Rota, che semplifica la
procedura delle dichiarazioni di nullità di matrimonio, in particolare grazie
ad una procedura molto rapida davanti al vescovo, quando i due sposi si
accordano per chiedere la nullità. Alcuni canonisti hanno anche parlato, in
questo caso, di annullamento per mutuo consenso.
Si era costituito in effetti una sorta di nucleo dirigente, la Cupola (in italiano nel testo, ndt) del Sinodo,
attorno all’influentissimo cardinale Baldisseri, Segretario Generale del
Sinodo, insieme a mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti, segretario
speciale, ossia il numero due del Sinodo, mons. Fabio Fabene, della
Congregazione per i Vescovi, sottosegretario del Sinodo, il cardinale Ravasi,
Presidente del Consiglio della Cultura, responsabile del Messaggio
dell’Assemblea, assistito in particolare da mons. Victor Manuel Fernandez,
rettore dell’Università Cattolica d’Argentina, il gesuita Antonio Spadaro,
direttore de La Civiltà Cattolica, ed altre
persone influenti, tutte molto vicine al Papa, come il vescovo di Albano,
Marcello Semeraro e mons. Vincenzo Paglia, Presidente del Consiglio per la Famiglia.
Ad essi si è unito il cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna, che fu il
principale artefice del Catechismo della Chiesa cattolica, e che qui ha avuto
quel ruolo di garante dell’ortodossia del testo, che il cardinale Müller si
rifiutava di assumere. Tutta questa équipe ha fornito un lavoro considerevole
per arrivare allo scopo perseguito…
CR – Per arrivare ad elaborare, dopo
la seconda assemblea, un testo di oltre 250 pagine…
CB – Anche prima…Il testo dell’esortazione post-sinodale
era stato redatto, nelle grandi linee … già nel settembre 2015, prima
dell’apertura della seconda assemblea del Sinodo sul matrimonio.
CR – Ha parlato di uno scopo
perseguito. Quale esattamente?
CB – È molto possibile che, nell’intento del Papa
Francesco, si sia trattato all’inizio solo di concedere un lasciapassare
“pastorale” e “misericordioso”. Ma essendo la teologia una scienza rigorosa,
dovevano essere enunciati i principi che giustificassero la decisione in
coscienza di avvicinarsi ai sacramenti da parte delle persone che vivono in
pubblico adulterio . Fin dall’inizio, numerosi passaggi dell’Esortazione preparano
il discorso dottrinale del capitolo VIII. Esso tratta di diverse «situazioni di fragilità o d’imperfezione» e specialmente
dei divorziati impegnati in una nuova unione «consolidata nel tempo, con
nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano,
consapevolezza della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro
senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe» (n.298).
In questa situazione “imperfetta” di fronte all’ «ideale pieno del matrimonio»
(n.307), l’Esortazione pone le regole per un «discernimento speciale»
(n.301).
Questo si compie normalmente con l’aiuto di un sacerdote «nel foro interno» (per i due partner dell’unione?), che
permetterà agli interessati di formare un corretto giudizio di coscienza (n.300).
Tale giudizio (del sacerdote? dei partner con il chiarimento del sacerdote?) a
causa di vari condizionamenti potrà condurre ad una imputabilità attenuata o nulla,
rendendo possibile l’accesso ai sacramenti (n.305). Fra parentesi, non si dice
se questo giudizio s’impone agli altri sacerdoti che dovranno dare i sacramenti
agli interessati. In ogni modo, bisogna ammettere che il testo non si focalizza
sull’accesso ai sacramenti, che è trattato in nota, in modo alquanto
imbarazzato (nota 351).
Esso pone invece chiaramente il principio teologico, riassunto al n. 301,
che è necessario citare: «Non è più possibile dire che
tutti coloro che si trovano in una situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia
santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza
della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande
difficoltà nel comprendere i «valori insiti nella norma morale» o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettono
di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa».
Il che può essere così analizzato: 1) a causa di circostanze concrete, le
persone in stato di adulterio pubblico “attivo”, pur conoscendo la norma morale
che lo vieta, si trovano in una situazione tale che se essi ne uscissero
commetterebbero una colpa (in particolare nei confronti dei figli nati da
questa unione), 2) così che queste persone che vivono nell’adulterio pubblico
“attivo” non commettono un peccato grave rimanendovi. In realtà, le conseguenze
negative che risulterebbero dalla cessazione dello stato di adulterio (i figli
nati dall’unione illegittima soffrirebbero della separazione dei genitori), non
sono nuovi peccati, ma gli effetti indiretti dell’atto
virtuoso, ossia la cessazione dello stato di peccato. Ovviamente la giustizia
va rispettata: in particolare si dovrà continuare l’educazione dei figli della
seconda unione, ma fuori dallo stato di peccato. Vi è dunque un’opposizione
frontale con la dottrina precedente richiamata da Familiaris consortio n.84 di Giovanni Paolo II, il
quale precisava che se gravi motivi impediscono ai “risposati” di cessare di
vivere sotto lo stesso tetto, ciò dovrebbe essere come fratello e sorella. La
nuova proposta dottrinale si riassume invece così: in alcune circostanze,
l’adulterio non è peccato.
CR
– Diceva che non vi si rinviene l’istinto della fede?
CB – Tutto ciò non si accorda con la morale
naturale e cristiana: le persone che sono a conoscenza di una norma morale che
obbliga sub gravi (il comandamento divino che proibisce la
fornicazione e l’adulterio) non possono essere scusate del peccato, e dunque
non possono esser dette in stato di grazia. San Tommaso spiega in una questione
della Somma teologica che tutti i moralisti conoscono
bene, la questione 19 della IA e IIÆ: è la bontà di un oggetto che la nostra
ragione si propone che rende buono l’atto della volontà, e non le circostanze
dell’atto (art. 2); e che se è vero che la ragione umana può sbagliarsi e
considerare buono un atto cattivo (art. 5), alcuni errori invece non sono mai
scusabili, in particolare quello di ignorare che non ci si deve avvicinare alla
donna d’altri, poiché è direttamente ordinato dalla legge di Dio (art. 6).
In un altro passaggio, anch’esso ben noto ai moralisti, il Quodlibet IX, questione 7, art. 2, San Tommaso
spiega che le circostanze possono cambiare non il valore di un atto, ma la sua
natura, per esempio il fatto di uccidere o colpire un malfattore rientra nella
giustizia o nella legittima difesa: non si tratta di una violenza ingiusta, ma
di un atto virtuoso. Invece, afferma il comune Dottore, alcune azioni «hanno una difformità che è loro connessa in modo inseparabile,
come la fornicazione, l’adulterio e le altre cose del genere: esse non possono
in alcun modo diventare buone».
Un bambino del catechismo capirebbe queste cose, diceva Pio XII in un
discorso del 18 aprile 1952 nel quale condannava la Situationsethik, la “morale di situazione”, che non si
basa sulle leggi morali universali come ad esempio i Dieci Comandamenti, ma «sulle condizioni o circostanze reali e concrete nelle quali si
deve agire, e secondo le quali la coscienza individuale deve giudicare e
scegliere». Ricordava che un fine buono non può mai giustificare dei
mezzi riprovevoli/ (Romani3, 8), e che vi sono situazioni
nelle quali l’uomo, e specialmente il cristiano, deve sacrificare tutto, anche
la vita, per salvare l’anima. Allo stesso modo, l’enciclicaVeritatis Splendor di Giovanni Paolo II,
nell’affermare che le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare
un atto intrinsecamente disonesto per il suo stesso oggetto in un atto
soggettivamente onesto, citava Sant’Agostino (Contra mendacium):
la fornicazione, le bestemmie, ecc. anche se compiuti per ragioni buone rimangono
sempre dei peccati.
CR – Che fare allora?
CB – Non si possono cambiare le parole di Cristo: «Colui che ripudia la moglie per sposarne un’altra commette adulterio
verso di lei; e se la moglie lascia il marito per sposarne un altro, essa
commette adulterio» (Mc 10,12). Il
professor Robert Spæmann, un filosofo tedesco amico di Benedetto XVI, osserva
che qualsiasi persona capace di riflettere può constatare che siamo di fronte
ad una rottura. Non credo che ci si possa accontentare di proporre
un’interpretazione del Capitolo VIII dell’Esortazione in base alla quale non è
cambiato nulla. Bisogna inoltre prendere sul serio la parola del Papa che,
sull’aereo che lo riportava da Lesbo, ha avallato la presentazione del testo da
parte del cardinale Schönborn.
La proposta teologica è di per sé chiara e il dovere di verità impone di
dire che non è ricevibile. E neanche le proposizioni annesse, come quella che
afferma che l’unione libera, oppure l’unione di divorziati risposati realizzano
l’ideale del matrimonio «almeno in modo parziale e
analogo» (n.292). Bisogna dunque sperare, nel senso forte della
speranza teologale, che numerosi pastori, vescovi e cardinali, parlino in modo
chiaro, per la salvezza delle anime. D’altro canto si può volere, domandare,
invocare un’ interpretazione autentica ˗˗ nel senso di interpretazione del deposito della Rivelazione,
compreso il richiamo del deposito della legge naturale che le è connesso ˗˗ da parte del magistero infallibile del papa o del
papa e dei vescovi a lui uniti, magistero che discerne affermando ciò che è vero e
respinge ciò che non lo è in nome della fede.
Mi sembra che oggi, 50 anni dopo Vaticano II, entriamo in una nuova fase
del dopo Concilio. Avevamo visto cedere, con alcuni passaggi di testi
sull’ecumenismo, la libertà religiosa, una diga che si credeva solidamente
stabilita, quella dell’insegnamento ecclesiologico romano magisteriale e teologico.
Un’altra diga è stata allora costituita per resistere alla marea della
modernità, quella della morale naturale e cristiana, con Humanæ Vitæ di Paolo VI e tutti i documenti di
Giovanni Paolo II su questi temi. Tutto ciò che è stato chiamato la
“restaurazione”, secondo il termine del Rapporto sulla fede di
Joseph Ratzinger, si è in larga parte costituito su queste basi in difesa del
matrimonio e della famiglia. Tutto avviene come se questa seconda diga fosse
sul punto di cedere.
CR – Qualcuno potrà accusarla di
eccessivo pessimismo…
CB
– Al contrario.
Credo che stiamo vivendo un momento decisivo della storia del post-Concilio. È
difficile prevedere le conseguenze a termine di quello che stiamo vivendo ora,
ma esse saranno considerevoli. E tuttavia sono certo che alla fine saranno
positive. Anzitutto, evidentemente, ne sono certo nella fede, perché la Chiesa
ha le parole della vita eterna. Ma anche, in maniera molto concreta, perché la
necessità di un ritorno al magistero, al magistero in quanto tale, s’imporrà
sempre di più nelle prospettive che si andranno necessariamente elaborando per
il futuro.
Fonte: Corrispondenza romana, 4.5.2016
Fonte: Corrispondenza romana, 4.5.2016
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