Sante Messe in rito antico in Puglia

mercoledì 4 maggio 2016

“Mónica, sancti Augustíni duplíciter mater, quia eum et mundo et cælo péperit, maríto mórtuo, quem senectúte conféctum Jesu Christo conciliávit, castam et opéribus misericórdiæ exércitam viduitátem agébat; in assíduis vero ad Deum oratiónibus pro fílio, qui in Manichæórum sectam incíderat, lácrimas effundébat. Quem étiam Mediolánum secúta est; ubi ipsum frequénter hortabátur, ut ad epíscopum Ambrósium se conférret. Quod cum ille fecísset, ejus et públicis conciónibus et privátis collóquiis cathólicæ fídei veritátem edóctus, ab eódem baptizátus est” (Lect. IV – II Noct.) - SANCTÆ MONICÆ, VIDUÆ, MATRIS SANCTI AUGUSTINI

La bella figura della madre di Agostino, tale come ci è descritta nel IX libro delle Confessioni, è ancora viva nella Chiesa e rappresenta uno dei più splendidi modelli di madre cristiana. Non bisogna dunque stupirsi se uno degli amici di Agostino, il console Anicio Basso l’anziano, pose sulla tomba della santa ad Ostia una targa di marmo la cui iscrizione fu ricopiata nelle antiche raccolte e che ricordava i suoi meriti alla posterità. Ecco il testo:

«Versus illustrissimæ memoriæ Bassi exconsule, scripti in tumulo sanctæ memoriæ Municæ matris Sancti Augustini»
HIC • POSVIT • CINERES • GENETRIX • CASTISSIMA • PROLIS
AVGVSTINE • TVIS • ALTERA • LVX • MERITIS
QVI • SERVANS • PACIS • CAELESTIA • IVRA • SACERDOS
COMMISSOS • POPVLOS • MORIBVS • INSTITVIS
GLORIA • VOS • MAIOR • GESTORVM • LAVDE • CORONAT
VIRTVTVM • MATER • FELICIOR • SVBOLIS.

Qui depose le sue ceneri la tua castissima madre,
O Agostino, lei che riflette come un nuovo splendore sui tuoi stessi meriti.
Tu, buon vescovo, assicura tra i popoli i sacri diritti della concordia
E, col tuo esempio, ammaestra quanti ti sono affidati.
Una gloria ben più grande è quella che vi incorona l’uno e l’altro: quella delle vostre opere.
O Madre davvero felice, che lo divenne ancor più per la virtù di un tale figlio!

Monica morì ad Ostia, forse di malaria, nel 387, all’età di cinquantasei anni, e l’ex console Basso compose quest’epitaffio quando Agostino governava ancora la Chiesa d’Ippona in Africa, vale a dire dopo il 395. Il terzo verso si riporta probabilmente alla celebre disputa nella solenne conferenza con i Donatisti tenutasi nel giugno 411.
La morte della Santa giunse in una data imprecisata, ma sicuramente dopo il battesimo del figlio Agostino, del nipote Adeodato e dell’amico Alipio, nella veglia pasquale del 23 aprile 387 (la liturgia ne celebra la festa il 24 aprile). Con il battesimo, Monica non ebbe altri obiettivi terreni: era pronta per il Paradiso! Poteva a ragione anche lei cantare il suo Nunc dimittis.
Il corpo di santa Monica restò ad Ostia sino al 1162; fu allora che un certo Gualtero o Walter o Valtero, priore dei canonici regolari d’Aroasia (Arrouaise), nell’Artois, nel nord della Francia, le rubò furtivamente e le trasportò nel suo monastero. Gli atti di questa traslazione, riportata dai Bollandisti, non sembra autorizzare alcun dubbio; d’altronde, la presenza delle reliquie di santa Monica in quel luogo è assicurata da più di sette secoli da diversi documenti.
Tuttavia alcuni autori ritengono che le cose non siano andate in quel modo (cfr. Alban Butler, Vite dei padri, dei martiri e degli altri principali santi tratte dagli atti originali e da più autentici documenti con note istoriche e critiche, tomo VI, Maggio, Venezia 1824, p. 85; Id., Florilegio di vite de’ Santi con note istoriche e critiche, e recate in Italiano sulla libera versione francese, vol. II, parte I, Monza 1834, p. 74). Il priore Gualtero, infatti, nel suo racconto, incorre in errori marchiani, che fanno dubitare della sua attendibilità, come ad es., il ritenere che trafugasse le ossa di santa Monica, che sarebbe stata chiamata Prima presso i Latini (in realtà, il nome Monica, in greco, significa non Prima, ma Unica o Solitaria) ed inoltre, tra l’altro, che all’epoca il papa Adriano sarebbe morto 1161 (laddove, invece, questi sarebbe morto nel 1159 e gli sarebbe succeduto quello stesso anno Alessandro III). È verosimile pensare, dunque, che il trafugatore, in realtà, abbia portato in Francia le reliquie di una santa Prima e non già quelle di santa Monica, le quali, invece, furono trasportate a Roma il 9 aprile 1430 da papa Martino V, riponendole prima nella chiesa di san Trifone e, quindi, in quella di Sant’Agostino. Tale data è ricordata dal Martirologio romano (così Ludovico Gatto, Le grandi donne del Medioevo, Newton Compton Editori, Roma 2011, passim). Questo papa non mancò di raccontare, in un suo sermone, il trasporto delle reliquie ed i numerosi miracoli verificatisi durante quest’evento per intercessione della santa (cfr. Martinus V, Serm. Ad Frates Augustinienses, De translatione corporis sanctæ Monicæ Ostia Romam, Romæ 1586).
In ogni caso, siccome si ignora, come detto, il giorno del trapasso di santa Monica (forse pochi giorni prima del 13 novembre di quell’anno 387), i canonici d’Aroasia, che celebravano già il 5 maggio la conversione di sant’Agostino, dedicano alla solennità di sua madre il giorno precedente. Da quel monastero, il culto di santa Monica si diffuse in Belgio, in Germania ed in Francia, sebbene la festa del 4 maggio entrasse poco a poco nell’uso liturgico generale, e ciò, potremmo dire, anche in maniera logica, essendo stata la nostra Santa lo strumento del cambiamento del figlio, che gli eremiti di Sant’Agostino celebrano ancor oggi, appunto, il 5 maggio. All’epoca in cui il riconoscimento del culto liturgico da rendere ai santi apparteneva ancora ai vescovi, va ricordato che il IX libro delle Confessioni di sant’Agostino aveva il valore di una bolla di canonizzazione.
La festa di Santa Monica si sviluppò, dunque, nel XV secolo. Fu san Pio V che l’iscrisse nel calendario romano nel 1568 come festa semplice. Clemente IX ne fece una festa semidoppia nel 1669 e Clemente XII la elevò al rango di doppia nel 1730. Con la riforma di Paolo VI, la sua festa fu fissata al 27 agosto, il giorno prima di quella del suo grande figlio vescovo di Ippona, sant’Agostino, morto il 28 agosto 430.
La messa è quella del Comune delle sante Donne, come per la festa di santa Francesca Romana, il 9 marzo. La prima colletta, però, è propria.
L’epistola dal Comune (2 Tim. 5, 3-10) è riservata alle feste delle sante vedove, perché vi si descrivono i loro doveri verso Dio, verso la loro famiglia e verso la comunità cristiana. San Paolo non parla qui tuttavia delle vedove in generale, ma delle diaconesse che precisamente per il loro stato di vedovanza, la loro età avanzata e la loro esperienza di vita, erano di grande aiuto per il clero nella distribuzione delle elemosine, nell’assistenza dei malati, dei poveri e delle giovani. In una parola, esse facevano quello che fanno attualmente un così gran numero di congregazioni religiose, ma esse non vivevano in comune e dovevano essere dell’età di almeno sessant’anni. Quest’ultima esigenza, come anche quella della vedovanza, era imposta per le condizioni morali particolari della società dell’età apostolica. In seguito, quando nacquero le prime compagnie di Vergini, senza che queste costituissero, del resto, delle vere comunità religiose, la Chiesa adottò per esse, in parte, le prescrizioni dell’Apostolo relative alle diaconesse, e san Leone I prescrisse che nessuna fosse ammessa a consacrare solennemente a Dio la sua verginità prima di aver raggiunto i sessant’anni.
Il versetto alleluiatico è tratto dal Sal. 45 (44) e ci ricorda che la vita cristiana è un combattimento; la fede è il nostro scudo, le nostre armi sono le virtù, Dio è la corona e la ricompensa.
Il Vangelo (Lc 7, 11-16), il cui soggetto è la resurrezione del figlio della vedova di Naim, fa allusione alla conversione di Agostino, ottenuta per le lacrime di Monica. Il ritorno di un’anima a Dio è l’effetto della sola grazia; i ragionamenti umani non possono essere di molto aiuto. Bisogna incontrare Gesù, che ordina alle passioni che ci trascinano alla tomba eterna di fermarsi. Per mezzo della calma, l’anima si mette nelle condizioni volute per ascoltare la parola di Dio: Adolescens, tibi dico, surge. A questa parola onnipotente, che opera ciò che esprime, l’anima si sente svegliata dalla sua letargia mortale e ritorna alla vita.

Ambito lombardo, S. Monica, XVIII sec., museo diocesano, Como

Francesco Soderini, Vergine col Bambino che consegna la sacra cintola a S. Agostino e S. Monica, 1703 circa, chiesa di S. Maria di Candeli, Firenze

Pietro Maggi, Apparizione dell'angelo a S. Monica, 1714, chiesa di S. Marco, Milano

Alexandrea Cabanel, S. Monica in un paesaggio, 1845, collezione privata


Ponziano Loverini - Vittorio Bernardi, L'estasi di Ostia dei SS. Monica ed Agostino, 1900, abside, basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, Pavia

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