La
bella figura della madre di Agostino, tale come ci è descritta nel IX libro
delle Confessioni, è ancora viva nella Chiesa e rappresenta uno dei più
splendidi modelli di madre cristiana. Non bisogna dunque stupirsi se uno degli
amici di Agostino, il console Anicio Basso l’anziano, pose sulla tomba della
santa ad Ostia una targa di marmo la cui iscrizione fu ricopiata nelle antiche
raccolte e che ricordava i suoi meriti alla posterità. Ecco il testo:
«Versus illustrissimæ memoriæ Bassi
exconsule, scripti in tumulo sanctæ memoriæ Municæ matris Sancti Augustini»
HIC • POSVIT • CINERES • GENETRIX • CASTISSIMA • PROLIS
AVGVSTINE • TVIS • ALTERA • LVX • MERITIS
QVI • SERVANS • PACIS • CAELESTIA • IVRA • SACERDOS
COMMISSOS • POPVLOS • MORIBVS • INSTITVIS
GLORIA • VOS • MAIOR • GESTORVM • LAVDE • CORONAT
VIRTVTVM • MATER • FELICIOR • SVBOLIS.
Qui depose le sue ceneri la tua castissima madre,
O Agostino, lei che riflette come un nuovo splendore sui
tuoi stessi meriti.
Tu, buon vescovo, assicura tra i popoli i sacri diritti
della concordia
E, col tuo esempio, ammaestra quanti ti sono affidati.
Una gloria ben più grande è quella che vi incorona l’uno e l’altro:
quella delle vostre opere.
O Madre davvero felice, che lo divenne ancor più per la
virtù di un tale figlio!
Monica
morì ad Ostia, forse di malaria, nel 387, all’età di cinquantasei anni, e l’ex
console Basso compose quest’epitaffio quando Agostino governava ancora la
Chiesa d’Ippona in Africa, vale a dire dopo il 395. Il terzo verso si riporta
probabilmente alla celebre disputa nella solenne conferenza con i Donatisti
tenutasi nel giugno 411.
La
morte della Santa giunse in una data imprecisata, ma sicuramente dopo il
battesimo del figlio Agostino, del nipote Adeodato e dell’amico Alipio, nella
veglia pasquale del 23 aprile 387 (la liturgia ne celebra la festa il 24 aprile).
Con il battesimo, Monica non ebbe altri obiettivi terreni: era pronta per il
Paradiso! Poteva a ragione anche lei cantare il suo Nunc dimittis.
Il corpo di santa Monica
restò ad Ostia sino al 1162; fu allora che un certo Gualtero o Walter o
Valtero, priore dei canonici regolari d’Aroasia (Arrouaise), nell’Artois,
nel nord della Francia, le rubò furtivamente e le trasportò nel suo monastero.
Gli atti di questa traslazione, riportata dai Bollandisti, non sembra
autorizzare alcun dubbio; d’altronde, la presenza delle reliquie di santa
Monica in quel luogo è assicurata da più di sette secoli da diversi documenti.
Tuttavia alcuni autori
ritengono che le cose non siano andate in quel modo (cfr. Alban
Butler, Vite
dei padri, dei martiri e degli altri principali santi tratte dagli atti
originali e da più autentici documenti con note istoriche e critiche, tomo
VI, Maggio, Venezia 1824, p. 85; Id., Florilegio
di vite de’ Santi con note istoriche e critiche, e recate in Italiano sulla
libera versione francese, vol. II, parte I, Monza 1834, p.
74). Il priore Gualtero, infatti, nel suo racconto, incorre in errori
marchiani, che fanno dubitare della sua attendibilità, come ad es., il ritenere
che trafugasse le ossa di santa Monica, che sarebbe stata chiamata Prima presso i Latini (in realtà, il
nome Monica, in greco, significa non Prima, ma Unica o Solitaria) ed
inoltre, tra l’altro, che all’epoca il papa Adriano sarebbe morto 1161
(laddove, invece, questi sarebbe morto nel 1159 e gli sarebbe succeduto quello
stesso anno Alessandro III). È verosimile pensare, dunque, che il trafugatore,
in realtà, abbia portato in Francia le reliquie di una santa Prima e non già
quelle di santa Monica, le quali, invece, furono trasportate a Roma il 9 aprile
1430 da papa Martino V, riponendole prima nella chiesa di san Trifone e,
quindi, in quella di Sant’Agostino. Tale data è ricordata dal Martirologio romano (così Ludovico Gatto, Le grandi donne del Medioevo, Newton Compton Editori, Roma 2011, passim). Questo papa non mancò di
raccontare, in un suo sermone, il trasporto delle reliquie ed i numerosi
miracoli verificatisi durante quest’evento per intercessione della santa (cfr. Martinus V, Serm. Ad Frates Augustinienses, De translatione corporis sanctæ Monicæ
Ostia Romam, Romæ 1586).
In ogni caso, siccome si
ignora, come detto, il giorno del trapasso di santa Monica (forse pochi giorni
prima del 13 novembre di quell’anno 387), i canonici d’Aroasia, che celebravano
già il 5 maggio la conversione di sant’Agostino, dedicano alla solennità di sua
madre il giorno precedente. Da quel monastero, il culto di santa Monica si
diffuse in Belgio, in Germania ed in Francia, sebbene la festa del 4 maggio
entrasse poco a poco nell’uso liturgico generale, e ciò, potremmo dire, anche
in maniera logica, essendo stata la nostra Santa lo strumento del cambiamento
del figlio, che gli eremiti di Sant’Agostino celebrano ancor oggi, appunto, il
5 maggio. All’epoca in cui il riconoscimento del culto liturgico da rendere ai
santi apparteneva ancora ai vescovi, va ricordato che il IX libro delle Confessioni di sant’Agostino aveva il
valore di una bolla di canonizzazione.
La festa di Santa Monica
si sviluppò, dunque, nel XV secolo. Fu san Pio V che l’iscrisse nel calendario
romano nel 1568 come festa semplice. Clemente IX ne fece una festa semidoppia
nel 1669 e Clemente XII la elevò al rango di doppia nel 1730. Con la riforma di
Paolo VI, la sua festa fu fissata al 27 agosto, il giorno prima di quella del
suo grande figlio vescovo di Ippona, sant’Agostino, morto il 28 agosto 430.
La messa è quella del
Comune delle sante Donne, come per la festa di santa Francesca Romana, il 9
marzo. La prima colletta, però, è propria.
L’epistola dal Comune (2
Tim. 5, 3-10) è riservata alle feste delle sante vedove, perché vi si
descrivono i loro doveri verso Dio, verso la loro famiglia e verso la comunità
cristiana. San Paolo non parla qui tuttavia delle vedove in generale, ma delle
diaconesse che precisamente per il loro stato di vedovanza, la loro età
avanzata e la loro esperienza di vita, erano di grande aiuto per il clero nella
distribuzione delle elemosine, nell’assistenza dei malati, dei poveri e delle
giovani. In una parola, esse facevano quello che fanno attualmente un così gran
numero di congregazioni religiose, ma esse non vivevano in comune e dovevano
essere dell’età di almeno sessant’anni. Quest’ultima esigenza, come anche
quella della vedovanza, era imposta per le condizioni morali particolari della
società dell’età apostolica. In seguito, quando nacquero le prime compagnie di
Vergini, senza che queste costituissero, del resto, delle vere comunità
religiose, la Chiesa adottò per esse, in parte, le prescrizioni dell’Apostolo
relative alle diaconesse, e san Leone I prescrisse che nessuna fosse ammessa a
consacrare solennemente a Dio la sua verginità prima di aver raggiunto i
sessant’anni.
Il versetto alleluiatico
è tratto dal Sal. 45 (44) e ci ricorda che la vita cristiana è un
combattimento; la fede è il nostro scudo, le nostre armi sono le virtù, Dio è
la corona e la ricompensa.
Il Vangelo (Lc 7, 11-16), il cui soggetto è la
resurrezione del figlio della vedova di Naim, fa allusione alla conversione di
Agostino, ottenuta per le lacrime di Monica. Il ritorno di un’anima a Dio è l’effetto
della sola grazia; i ragionamenti umani non possono essere di molto aiuto.
Bisogna incontrare Gesù, che ordina alle passioni che ci trascinano alla tomba
eterna di fermarsi. Per mezzo della calma, l’anima si mette nelle condizioni
volute per ascoltare la parola di Dio: Adolescens, tibi dico,
surge. A questa parola
onnipotente, che opera ciò che esprime, l’anima si sente svegliata dalla sua
letargia mortale e ritorna alla vita.
Ambito lombardo, S. Monica, XVIII sec., museo diocesano, Como |
Francesco Soderini, Vergine col Bambino che consegna la sacra cintola a S. Agostino e S. Monica, 1703 circa, chiesa di S. Maria di Candeli, Firenze |
Pietro Maggi, Apparizione dell'angelo a S. Monica, 1714, chiesa di S. Marco, Milano |
Alexandrea Cabanel, S. Monica in un paesaggio, 1845, collezione privata |
Ponziano Loverini - Vittorio Bernardi, L'estasi di Ostia dei SS. Monica ed Agostino, 1900, abside, basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, Pavia |
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