Nella festa di quel giglio di purezza quale fu san
Luigi Gonzaga, si rilancia questo contributo del prof. De Mattei, tradotto in
inglese da Rorate caeli.
Giandomenico Tiepolo, S. Luigi, 1760 circa, Pinacoteca di Brera, Milano |
Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo |
Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo |
Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo |
Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo |
Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo |
Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo |
Autore anonimo, S. Luigi, XVIII sec., Museo Nazionale di Palazzo Mansi, Palazzo Mansi, Lucca |
Ambito lombardo, S. Carlo Borromeo comunica S. Luigi Gonzaga, XVII sec., museo diocesano, Bergamo |
La “Chiesa povera” dal Vaticano II a papa Francesco
di Roberto de Mattei
I documenti di Papa Francesco, secondo il giudizio prevalente dei teologi,
costituiscono delle generiche indicazioni di carattere pastorale e morale,
prive di significativa qualità magisteriale. È questa una delle ragioni per cui
tali documenti vengono discussi in maniera più libera di quanto sia mai accaduto
con i testi pontifici.
Tra le analisi più penetranti di questi testi, va segnalato lo studio di un
filosofo dell’università di Perugia, Flavio Cuniberto, dal titolo Madonna Povertà. Papa Francesco e la rifondazione del
cristianesimo (Neri Pozza, Vicenza 2016), dedicato in
particolare alle encicliche Evangeli Gaudium (2013)
e Laudato sì (2015). L’esame a cui il prof. Cuniberto
sottopone i testi è quella dello studioso che cerca di comprenderne le tesi di
fondo, spesso celate da un linguaggio volutamente ambiguo ed ellittico. Sul
tema della povertà, Cuniberto porta alla luce due contraddizioni: la prima di natura
teologico-dottrinale, la seconda di carattere pratico.
Per quanto riguarda il primo punto egli osserva che papa Francesco, in
contrasto con quanto si desume dal Vangelo, fa della povertà una condizione più
materiale che spirituale, per trasformarla quindi in una categoria sociologica.
Questa esegesi traspare, ad esempio, dalla scelta di citare, per il discorso
sulle Beatitudini, Luca 6, 20 e
non il più preciso Matteo 5, 3
(che usa il termine di «pauperes spiritu», ossia
coloro che vivono umilmente dinanzi a Dio).
Ma la povertà sembra essere allo stesso tempo un male e un bene. Infatti,
osserva Cuniberto, «se la povertà come miseria materiale,
esclusione, abbandono, è indicata fin dall’inizio come un male da combattere,
per non dire il male dei mali, ed è perciò l’obiettivo primario dell’azione missionaria», il nuovo significato cristologico che gli
attribuisce Francesco «ne fa contemporaneamente un valore e anzi il
valore supremo ed esemplare». Si tratta, sottolinea il filosofo
perugino, di un complicato groviglio. «Perché combattere la povertà e
sradicarla quando è al contrario un “tesoro prezioso”, e addirittura la via
verso il regno? Nemico da combattere o tesoro prezioso?» (pp.
25-26).
Il secondo nodo riguarda le “cause strutturali” della povertà. Supponendo
che essa sia un male radicale, papa Bergoglio sembra individuarne la causa
essenziale nella “disuguaglianza”. La soluzione indicata per estirpare questo
male sarebbe quella marxista e terzo-mondista della redistribuzione delle
ricchezze: togliere ai ricchi e dare ai poveri. Una redistribuzione ugualitaria
che passerebbe attraverso una maggiore globalizzazione delle risorse, non più
riservata alle minoranze occidentali, ma estesa a tutto il mondo. Ma alla base
della globalizzazione sta la logica del profitto, che da una parte viene
criticata e dall’altra viene proposta come via per vincere la povertà. Il
supercapitalismo, infatti, per alimentarsi, ha bisogno di una platea di
consumatori sempre più estesa, ma l’estensione su larga scala del benessere,
finisce per alimentare le disuguaglianze che si vorrebbero eliminare.
Il libro del prof. Cuniberto merita di essere letto accanto a quello di uno
studioso napoletano don Beniamino Di Martino, su Povertà e ricchezza. Esegesi dei testi evangelici (Editrice
Domenicana Italiana, Napoli 2013). Il libro è molto tecnico e don Di Martino
smonta, attraverso una rigorosa analisi dei testi, le tesi di una certa
teologia pauperista.
L’espressione «contro l’avidità non contro la ricchezza»
riassume, secondo l’autore, l’insegnamento dei Vangeli che egli analizza. Ma da
dove nasce la confusione teologica, esegetica e morale tra povertà spirituale e
povertà materiale? Non si può ignorare il cosiddetto “Patto delle Catacombe”,
sottoscritto il 16 novembre del 1965 nelle Catacombe di Domitilla a Roma, da
una quarantina di Padri conciliari che si impegnavano a vivere e lottare per
una Chiesa povera e ugualitaria.
Il gruppo aveva tra i suoi fondatori il sacerdote Paul Gauthier
(1914-2002), che aveva partecipato all’esperienza dei “Preti operai” del
cardinale Suhard, condannata dalla Santa Sede nel 1953, e poi, con l’appoggio
del vescovo di cui fu teologo in Concilio, mons. Georges Hakim, aveva fondato
in Palestina la famiglia religiosa de I compagni e le compagne di
Gesù carpentiere. Gauthier era accompagnato dalla sua compagna di
lotta Marie-Thérèse Lacaze, che divenne la sua convivente quando lasciò il
sacerdozio.
Tra coloro che appoggiarono il movimento furono mons. Charles M. Himmer,
vescovo di Tournai (Belgio), che ospitava le riunioni nel Collegio belga di
Roma, dom Helder Camara che era ancora vescovo ausiliare di Rio e poi divenne
vescovo di Recife, e il card. Pierre M. Gerlier, arcivescovo di Lione, in
stretti contatti con il card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, che si
faceva rappresentare dal suo consigliere Giuseppe Dossetti e dal suo vescovo
ausiliare mons. Luigi Bettazzi (cfr. Il patto delle Catacombe. La
missione dei poveri nella Chiesa, a cura di Xabier Pikaza e José
Antunes da Silva, Edizioni Missionarie Italiane 2015).
Mons. Bettazzi, l’unico vescovo italiano oggi vivente presente al Vaticano
II, fu anche l’unico italiano ad aderire al “Patto della Catacombe”. Bettazzi,
oggi 93enne, partecipò a tre sessioni del Vaticano II e fu vescovo di Ivrea dal
1966 al 1999, quando si dimise per limiti di età.
Se Dom Helder Camara fu il “vescovo rosso” brasiliano, mons. Bettazzi entrò
nella storia come il “vescovo rosso” italiano. Nel luglio del 1976, quando
sembrava che il comunismo potesse prendere il potere in Italia, Bettazzi
scrisse una lettera all’allora segretario del Partito Comunista Italiano Enrico
Berlinguer, al quale riconosceva la tendenza a realizzare: «un’esperienza originaria di comunismo, diversa dai comunismi di
altre nazioni», e chiedeva di «non osteggiare» la
Chiesa, ma di «stimolarne», piuttosto «l’evoluzione secondo l’esigenza
dei tempi e le attese degli uomini, soprattutto dei più poveri, che forse voi
potete o sapete più tempestivamente interpretare». Il leader del PCI
rispose al vescovo di Ivrea con la lettera Comunisti e cattolici: chiarezza
di princìpi e basi di intesa pubblicata su Rinascita del 14 ottobre 1977.
In questa lettera Berlinguer negava che il PCI professasse esplicitamente l’ideologia
marxista, come filosofia materialistica ateistica, e confermava la possibilità
di un incontro tra cristiani e comunisti sul piano della “de-ideologizzazione”.
Non si tratta di pensare allo stesso modo, ma di fare insieme la stessa strada
– affermava in sostanza Berlinguer – nella convinzione che marxisti non si è
nel pensiero, ma si diviene nella prassi.
Il primato marxista della prassi è penetrato oggi nella Chiesa come
assorbimento della dottrina nella pastorale. E la Chiesa rischia di divenire
marxista nella prassi anche falsando il concetto teologico di povertà.
La vera povertà è il distacco dai beni di questa terra, in modo che essi
servano alla salvezza dell’anima e non alla sua perdizione. Tutti i cristiani
devono essere distaccati dai beni, perché il Regno dei Cieli è riservato ai “poveri
in spirito”, ed alcuni di essi sono chiamati a vivere una povertà effettiva,
rinunciando al possesso e all’uso dei beni materiali. Ma questa scelta ha
valore perché è libera e non viene imposta da nessuno.
Le sette eretiche, fin dai primi secoli, hanno preteso invece di imporre la
comunione dei beni, al fine di realizzare in questa terra una utopia
ugualitaria. Su questa linea si pone oggi chi vuole sostituire alla categoria
religiosa dei poveri in spirito quella sociologica dei materialmente poveri.
Mons. Luigi Bettazzi, autore del volumetto La chiesa dei poveri dal
concilio a Papa Francesco (Pazzini 2014) ha ricevuto, il 4
aprile 2016, la cittadinanza onoraria di Bologna e potrebbe ricevere la porpora
da papa Francesco, sotto il cui pontificato secondo lo stesso ex-vescovo di
Ivrea, si è sviluppato il Patto delle Catacombe, «come un seme di frumento
messo sotto la terra e cresciuto pian piano fino a dare i suoi frutti».
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