Nella grande festa del sacro Cuore di Gesù, si rilancia
questo contributo di Cristina Siccardi: saggio quantomeno pertinente in questa
nostra epoca di negazione della regalità sociale del Signore, non potendo
dimenticare giusto le parole che Egli stesso rivolse alla sua umile serva, S.
Margherita M. Alacoque: «Non temere nulla. Io regnerò malgrado i miei nemici»
(cfr. Giovanni Ricciardi, «Non
temere nulla. Io regnerò malgrado i miei nemici», in 30Giorni, 2011, fasc. n. 3. V. qui).
Giuseppe Alessandro Catani, Sacro Cuore con Maria e S. Giuseppe e le anime purganti, XIX sec., Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, Roma |
Le grandi manovre per “repubblicanizzare” l’Italia
di Cristina Siccardi
Il 1° giugno di 70 anni fa, vigilia del referendum
istituzionale, Pio XII si rivolse al Sacro Collegio e, attraverso la radio,
agli elettori italiani e francesi (anche in Francia, infatti, si votava, per le
elezioni politiche), con queste allarmanti parole, che presagivano il nostro
presente: «Domani stesso i cittadini di due grandi nazioni accorreranno in
folle compatte alle urne elettorali.
Di che cosa in fondo si tratta? Si tratta di sapere se
l’una e l’altra di queste due nazioni, di queste due sorelle latine, di
ultramillenaria civiltà cristiana, continueranno ad appoggiarsi sulla salda
rocca del cristianesimo, sul riconoscimento di un Dio personale, sulla credenza
nella dignità spirituale e nell’eterno destino dell’uomo, o se invece vorranno
rimettere le sorti del loro avvenire all’impassibile onnipotenza di uno Stato
materialista, senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio. Di questi
due casi si avvererà l’uno o l’altro, secondo che dalle urne usciranno
vittoriosi i nomi dei campioni ovvero dei distruttori della civiltà cristiana.
La risposta è nelle mani degli elettori; essi ne portano l’augusta, ma pur
quanto grave responsabilità!».
I distruttori della civiltà cristiana, attraverso il
referendum istituzionale, vinsero, ma non il 2 giugno nelle urne, bensì diversi
giorni dopo, con gli inganni. La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della
riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi assunse le
funzioni di Capo provvisorio dello Stato repubblicano.
Per Umberto II fu un vero e proprio colpo di Stato e
lasciò volontariamente il Paese il 13 giugno, indirizzando agli italiani un
proclama, senza attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui
ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno.
La monarchia in Italia era una minaccia per i
rivoluzionari, così come lo era stata per i giacobini: occorreva tagliare la
testa al Re. Se il cattolico Luigi XVI era stato ghigliottinato il 21 gennaio
1793, in Italia con il cattolico Re Umberto si decapitò la Monarchia per
volontà dei Comunisti, dei Socialisti, di molti democristiani, fra cui lo
stesso Alcide De Gasperi in comune accordo con le aspirazioni repubblicane
degli Stati Uniti.
Interessante quanto riporta un documento redatto a Roma
il 21 marzo 1946 dall’Ambasciatore argentino in Italia, Carlos Brebbia, e
indirizzato al Ministro degli esteri dell’Argentina Juan J. Cooke: «Una repubblica turbolenta con maggioranza socialista e comunista,
realizzandosi in Roma, costituirebbe una minaccia costante per la cristianità
rappresentata dalla autorità spirituale del Papa. L’appoggio del Vaticano a
favore della monarchia è ostensibile ed evidente affinché i cattolici sappiano
a favore di chi dovranno votare. I vescovi hanno ordinato l’apertura dei
conventi di clausura affinché le monache partecipino alle elezioni e durante
l’ultimo Concistoro tutti i cardinali presenti a Roma accolsero l’invito del
luogotenente (il Principe Umberto, che diverrà Re dal 9
maggio al 2 giugno 1946) per presenziare a un
ricevimento dato in onore dei nuovi porporati nei salotti del Palazzo del
Quirinale, al quale assistette il Corpo Diplomatico e l’alta società romana
(…). Alcuni si chiedono se le elezioni si terranno veramente il 2 giugno. Si
può rispondere affermativamente a meno che ciò non venga impedito da cause
esclusivamente interne (…) È da osservare che anche quando la differenza tra
monarchici e repubblicani fosse di poca importanza, il fatto che alcune centinaia
di migliaia di italiani non abbiano potuto partecipare alla votazione, potrebbe
indurre la parte perdente a reclamare l’invalidità dei risultati».
Parlare di Monarchia è ancora un tabù. Il Comunismo in
Italia, come altrove, ha lavorato sulla diffamazione, sull’odio e sull’oblio,
metodi efficacissimi per depennare le scomodità e le coscienze, così da poter
creare rivoluzionari modelli e arrivare a mettere addirittura sul trono
dell’opinione pubblica odierna un Marco Pannella, un’incoronazione che ha
trovato la sua legittimazione persino nella Santa Sede.
Affermava Palmiro Togliatti nel 1944 a proposito del
futuro della monarchia in Italia: «Accantoniamo questo problema,
dichiariamo solennemente tutti uniti che questo problema lo risolveremo quando
tutta l’Italia sarà stata liberata e il popolo potrà essere consultato, allora
vi sarà un plebiscito, vi sarà un’Assemblea Costituente, decideremo allora del
modo di liberarsi dall’istituto monarchico, se il popolo vuole liberarsi, di
proclamare un regime repubblicano come era nelle nostre aspirazioni».
Le loro intenzioni si sono concretizzate e la mentalità
italiana si è trasformata, secolarizzandosi a grandi falcate. Se anche gli
italiani in maggioranza erano monarchici, che importava? Se anche le votazioni
non si potevano svolgere in Alto Adige (sotto amministrazione alleata), in
Venezia Giulia (sotto amministrazione alleata e jugoslava), che importava? Se
mancavano all’appello gli abitanti delle province di Zara, Istria, Trieste,
Gorizia, Bolzano, che importava? Se mancavano alle urne migliaia e migliaia di
militari ancora prigionieri all’estero e gli internati civili, che importava?
Era il Regime a decidere, secondo le sue aspirazioni, non il popolo.
Agli elettori furono consegnate sia la scheda del referendum
per la scelta fra Monarchia e Repubblica, sia quella per l’elezione dei 556
deputati dell’Assemblea Costituente, cui sarebbe stato affidato il compito di
redigere la nuova Carta costituzionale. I votanti furono 24.946.878, pari
all’89,08% degli aventi diritto al voto. Questi i risultati ufficiali del
referendum: Repubblica 12.718.641 voti, pari al 54,27%; Monarchia 10.718.502
voti, pari al 45,73%; le schede nulle furono 1.509.735 (Fonte: Ministero
dell’Interno – Archivio storico delle elezioni). La Monarchia è un nervo
scoperto perché fa paura poiché l’Italia era cattolica e monarchica, per
essenza.
Tuttavia La Grande Storia di
Rai3 oggi non può più negare, come è accaduto nella trasmissione andata in onda
il 27 maggio u.s.: 2 giugno 1946 – 70 anni dalla
Repubblica (http://www.lagrandestoria.rai.it/dl/portali/site/page/Page-7f9d45d4-8c78-461e-9787-601bf8c90a52.html).
Così, mentre si snocciolano documenti che sottendono incongruenze,
manomissioni, sottrazioni di voti, nonché grandi manovre orchestrate da
Togliatti, da Alcide De Gasperi, dall’allora Ministro degli Interni Giuseppe
Romita, allo stesso tempo Paolo Mieli getta acqua sul fuoco e si affretta a
dire che non è il caso di guardare ai complotti… ma i toni antisabaudi oggi si
sono chetati, perché la vera Storia può essere imbavagliata, ma non uccisa:
ormai ci sono troppe documentazioni e testimonianze che attestano ciò che avvenne
70 anni fa.
I seggi si chiusero alle 14.00 del 3 giugno. Lo spoglio
non iniziò con le schede della scelta istituzionale, bensì con quelle dei
deputati all’Assemblea Costituente e 35% dei suffragi andò alla Democrazia
Cristiana. Le operazioni referendarie furono gestite da tre ministri di
sinistra del primo gabinetto De Gasperi: il ministro per la Costituente, il
socialista Pietro Nenni, per l’Interno Romita e per la Grazia e Giustizia
Togliatti. Presero a dipanarsi ore elettrizzanti. Dopo un accentuato ritardo
nell’afflusso dei verbali da parte del Ministero della Giustizia, nelle prime
ore del 4 giugno la percentuale repubblicana si collocava fra il 30 e il 40 %.
Dirà Romita: «… le cifre erano lì, col loro
linguaggio inequivocabile! (…) Non era possibile eppure era vero, verissimo,
paurosamente vero: la monarchia si presentava in netto vantaggio. Mi accasciai
nella poltrona (…) Il telefono squillò più volte (…) La monarchia sta vincendo,
mormorai… Che cosa avrei detto a Nenni, a Togliatti, a tutti gli altri che non
volevano l’avventura del referendum?» (M. Caprara,L’ombra di Togliatti sulla nascita della repubblica. Le pressioni
del Guardasigilli sulla Corte di Cassazione, in Nuova Storia Contemporanea, 6 (novembre-dicembre 2002),
p. 135).
Il Sud era per la maggioranza monarchico, il Nord
repubblicano. C’era stata fretta nell’indire il referendum per due ragioni:
mancavano moltissimi all’appello, come si è detto, inoltre non si voleva dare
l’opportunità a Umberto II, molto amato dal popolo, di dargli tempo per una
campagna elettorale a proprio favore. Il Re, infatti, ebbe soltanto 40 giorni
appena, ma non si risparmiò e riempì le piazze. Umberto II, che aveva
un’immagine pubblica diversa e affabile rispetto a quella del padre, era
incapace di finzioni a causa della sua profonda rettitudine morale, della sua
signorilità ovunque e comunque, ma anche della sua profonda fede cattolica.
Sarebbe bastato un suo ordine per scatenare una nuova
guerra civile, tutta l’Arma dei Carabinieri sarebbe stata al suo fianco, così
come le truppe del generale polacco Władysław Anders. Ma rifiutò a priori di
versare altro sangue sulla patria. La coscienza
innanzi a tutto. Pio XII dimostrò la sua benevolenza: al Re, espropriato dallo
Stato italiano di tutti i suoi beni, donò una somma di denaro per i primi duri
tempi dell’esilio in Portogallo.
Papa Pacelli, quel 1° giugno, aveva ancora dichiarato: «Da una parte (…) è lo spirito di dominazione, l’assolutismo di
Stato che pretende di tenere nelle sue mani tutte le “leve di comando” della
macchina politica, sociale, economica, di cui gli uomini, queste creature
viventi, fatte ad immagine di Dio e partecipi per adozione della vita stessa di
Dio, non sarebbero che ruote inanimate. Da parte sua, invece, la Chiesa si erge
serena e calma, ma risoluta e pronta a respingere ogni attacco. Essa, madre
buona, tenera e caritatevole, non cerca, no! la lotta; ma appunto, perché
madre, è più ferma, indomita, irremovibile, con le sole forze morali del suo
amore, che non tutte le forze materiali, quando si tratta di difendere la
dignità, l’integrità, la vita, la libertà, l’onore, la salute eterna dei suoi
figli. (…) Noi proviamo, anche più sensibilmente che d’ordinario, un immenso
dolore nel mirare la società umana più che mai allontanatasi da Cristo, e al
tempo stesso una indicibile compassione allo spettacolo delle calamità senza
precedenti, con cui essa è afflitta a cagione della sua apostasia. Perciò Ci
sentiamo mossi ad elevare di nuovo la Nostra voce per ricordare ai Nostri figli
e alle Nostre figlie del mondo cattolico l’ammonimento che il Salvatore divino
non ha cessato di inculcare attraverso i secoli nelle sue rivelazioni ad anime
privilegiate che si è degnato di scegliere per sue messaggiere: Disarmate la
giustizia punitrice del Signore con una crociata di espiazione nel mondo
intero; opponete alla schiera di coloro, che bestemmiano il nome di Dio e
trasgrediscono la sua legge, una lega mondiale di tutti quelli che Gli rendono
l’onore dovuto e offrono alla sua Maestà offesa il tributo di omaggio, di
sacrificio e di riparazione, che tanti altri Gli negano».
Nello Statuto Albertino, in vigore fino al 1948, stava
scritto all’Art. 1: «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è
la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati
conformemente alle leggi». Mentre con l’Art. 1 della Costituzione
venne stabilito che: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata
sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione». L’«impassibile onnipotenza di uno
Stato materialista», come aveva paventato il Sommo Pontefice, «senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio»,
era stata ufficialmente sancita.
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