Chi
volesse definitivamente riversare le acque del Tevere (della Chiesa cattolica)
nel Reno (cioè nel protestantesimo luterano), dovrebbe ricordare che proprio il
luteranesimo è stato all’origine degli assolutismi e totalitarismi del XX sec.,
il secolo breve: la fede della fede e della forza della Chiesa si riverbera
inevitabilmente nel rafforzamento di quegli organismi che da sempre desiderano
sostituirsi alla stessa. Ce lo spiega benissimo un’intervista di Francesco
Agnoli per la Nuova bussola quotidiana.
I “semi”
luterani nell'assolutismo e nel totalitarismo
di Francesco Agnoli
di Francesco Agnoli
Si avvicinano i Cinquecento anni
dall'affissione delle famose tesi di Martin Lutero. Sarà allora interessante ricordare
cosa significò la riforma protestante, anche dal punto di vista politico.
Per farlo la Nuova BQ ha
intervistato il professor Rocco Pezzimenti, laureato in Scienze Politiche ed in
Filosofia, già docente presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS e
all’Università degli Studi del Molise. Oggi Pezzimenti è Direttore del
Dipartimento di Scienze Economiche, Politiche e delle Lingue Moderne della
Lumsa.
Professore, il concetto di
pessimismo antropologico di Lutero, unito all’idea del servo arbitrio, fanno
del monaco tedesco un avversario della concezione antropologica che va da
Aristotele (l’uomo come animale politico) a tutta la filosofia cristiana
(l’uomo capace di bene, di amore per il prossimo, con l’aiuto della grazia
divina). Perché questa visione antropologica ha conseguenze politiche?
Questa visione antropologica ha
conseguenze politiche perché è il presupposto dell’assolutismo moderno. Il
pessimismo antropologico è alla base del pensiero che va da Machiavelli a
Hobbes passando per tanti altri. È davvero curioso che il Rinascimento, e in
genere tutta la prima modernità, mentre presenta un ottimismo quasi sfrenato,
che pervade le scienze e le arti in genere, non riesca a dare alla politica
quella centralità che, invece, riserva all’uomo ogni altro campo del sapere. La
riflessione politica del Cinquecento, Seicento e, nell’Europa continentale, per
buona parte del Settecento, è tutta pervasa da un acceso pessimismo, frutto di
un crescente clima di insicurezza, che determina riflessioni o utopistiche o
assolutistiche. La ragione di tutto ciò, contrariamente a quanto si ripete
ormai da tempo in modo acritico, credo vada ricercata nelle Riforme, in tutte
le Riforme, che ruppero quell’unità ideale, sulla quale si reggeva da secoli
l’Europa, generando un clima di sospetti reciproci e, quindi, di insicurezza,
che favorirono il sorgere e l’affermarsi dell’assolutismo visto come sistema
politico capace di dare sicurezza e protezione, anche a costo di rinunciare
alle più elementari libertà. Il sovrano assoluto viene così visto come il dio
artificiale capace di assicurarci la vita. A questo sovrano, in cambio, si deve
la più cieca obbedienza. Tutte le teorie sulla resistenza al tiranno e persino
la possibilità del tirannicidio, fiorite in tutto il Medioevo, sembrano di
colpo dimenticate.
Lutero, eliminando la Chiesa
cattolica, sottomette il potere religioso al potere politico. Per contrastare
l’autorità religiosa del papa, esalta e assolutizza il potere temporale; per
avere il potere dei principi tedeschi, ingrandisce enormemente il loro potere.
È così?
È così. Diciamo pure che questa è
la logica conseguenza dell’eliminazione del dualismo tardo-antico e medievale
tra politica e religione. Eliminando il potere religioso non rimane che il
potere del principe che non trova nessuna autorità in grado di contrastarlo.
Anzi, il potere politico, inglobando in sé anche ogni prerogativa di tipo
religioso, annulla persino la libertà di coscienza. Questa, infatti, non trova
più alcuna autorità in grado di sostenerla e perde ogni riferimento al quale
ancorarsi. Si elimina così persino la possibilità dell’obiezione di
coscienza.
L’episodio che più evidenzia
questa nuova concezione del potere è la rivolta dei contadini, in seguito alla
quale Lutero invita i principi all’uso della violenza: “Verso i contadini
testardi, caparbi e accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un
po’ di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani
arrabbiati…”. Cosa è accaduto?
È accaduto che Lutero vedeva nella
rivolta contadina la ribellione a quei principi che avevano appoggiato la sua Riforma.
Una vittoria di quei disperati avrebbe potuto compromettere i risultati
ottenuti dalla sua lotta e, per questo, vi si oppose. Lutero dimostra qui tutta
la sua intolleranza. Sembra voler mantenere il monopolio della ribellione verso
il Papato non rendendosi conto che, una volta rifiutata l’autorità religiosa,
invitava chiunque a fare altrettanto, anche verso la sua riforma. Anche se non
gli stava bene, questo fu, in fondo, il presupposto dal quale partirono tutti
gli altri riformatori. Fu così che si generarono sette a ripetizione e che si
frantumò, in modo irreparabile, l’unità del Cristianesimo.
L’intransigenza cui Lutero invita
il potere politico, è la stessa che adotta nei confronti dei suoi oppositori.
Ad Erasmo, nel De Servo arbitrio, spiega di avere ragione lui,
senza alcun dubbio, nell’interpretare le Sacre Scritture. Lutero legge bene,
Erasmo male. Altrove afferma: “Io non ammetto che la mia dottrina possa
essere giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia
dottrina non può giungere alla salvezza”. C’è contraddizione tra il libero
esame (ognuno può legger la Bibbia senza l’ausilio della Chiesa) e questo
atteggiamento iperdogmatico?
Direi di no. Lutero sembra essere
consequenziale. Quello che egli definisce il libero esame è il suo libero esame
ed è chiaro che il suo è un dogmatismo pari a quello che, secondo lui,
pretendevano di avere gli altri riformatori. Accettarli, significava accettare
altre vie e possibilità di salvezza e soprattutto avrebbe significato la
possibilità di essere giudicato, assieme alla sua dottrina, da altri.
Paradossalmente Lutero vuole per sé quel privilegio che, invece, voleva
togliere alla Chiesa. Come questa ribadiva extra Ecclesia nulla salus,
egli affermava “Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”.
Solo che la Chiesa sosteneva la sua presa di posizione in base alla sua
tradizione e in base all’eredità raccolta dagli apostoli; Lutero, invece,
appoggiava questa sua presa di posizione unicamente sulla sua ribellione.
Giunti a questo punto, occorre chiarire un argomento cruciale sul quale c’è
ancora molta confusione. Un certa cultura antireligiosa sostiene che, con la
sua ribellione, Lutero sia alla base della modernità. Ma questo, era proprio
quanto egli non voleva. Per fondare la sua Riforma, sostenne che la Chiesa era
diventata troppo “moderna” e che occorreva tornare alle origini che, peraltro,
da un punto di vista dogmatico non ritrovò. La Chiesa, che non a caso si
definisce semper reformanda, era al passo con i tempi ed era questo che
non stava bene a Lutero.
Qual è l’effetto della riforma
protestante al livello geopolitico?
A livello geopolitico gli effetti
della Riforma furono devastanti. Non solo si determinò una spaccatura in Europa
che causò circa due secoli di guerre di religione, ma tale frattura finì per
ripercuotersi nel mondo intero, vista la penetrazione coloniale che le potenze
europee ebbero negli altri continenti.
Dopo Lutero, Thomas Hobbes in
Inghilterra e poi Hegel in Germania: c’è un filo rosso che porta dalla politica
di Lutero all’assolutismo?
È questo un punto assai
controverso tra gli studiosi. Personalmente penso che il filo rosso di cui lei
parla ci sia anche se, per una serie di motivi assai complessi, in Inghilterra
il pluralismo religioso, pure grazie alla presenza dei cattolici, sopravvisse
determinando anche una ripresa degli ideali liberali. In Germania, invece, la
frattura fu più accentuata e la stessa storia politica ne risentì. Non possiamo
certo dimenticare che proprio dal paese di Lutero, oltre a venire la prima
giustificazione dell’assolutismo, verranno poi le premesse teoriche dei
totalitarismi contemporanei. Certo, ho la piena consapevolezza che non tutta la
cultura tedesca sia responsabile di ciò – non dimentico quell’altro filo
conduttore che va da Schiller a Mann – ma non posso dimenticare quello che lo
storicismo dialettico ha significato per la cultura contemporanea per la sua
rigidità e intolleranza.
Molti storici hanno messo in luce
un fatto: che i protestanti tedeschi, molto più numerosi e forti dei cattolici,
tardarono ben più di costoro ad accorgersi di cosa il nazismo fosse davvero.
Tanto che, non pochi di essi, in principio, appoggiarono Hitler. Scrive Emilio
Gentile: “Più propense a schierarsi con il nazionalsocialismo, con la sua
concezione della nazione e dello Stato e con il suo antisemitismo, erano le
chiese luterane, vincolate per secolare tradizione all’obbedienza al potere
statale quale espressione della volontà divina”. C’è davvero un legame
tra l’idea di nazione e di Stato di Lutero e l’ideologia nazista?
In base a quanto detto sin qui,
negare questo legame equivarrebbe a sostenere che Hitler sia quasi il frutto di
un caso o di un perverso miracolo. In politica, io non credo né all’uno né
all’altro. Le cause del nazismo sono così tante ed evidenti che nessuno può
dire che si sia generato all’improvviso. In parte della filosofia tedesca, si
pensi a Fichte, c’è la convinzione che Lutero sia il prototipo della nazione
tedesca. Queste affermazioni, peraltro ripeto non condivise da tanta cultura
tedesca, devono, comunque, farci riflettere. Per quanto riguarda l’inizio della
domanda, va ricordato che non sono pochi gli uomini di cultura tedeschi, e tra
questi ricordo Mann, che lodarono la resistenza al nazismo operata da tanti
cattolici tedeschi.
Infine, qual è il rapporto
“giusto” tra potere temporale e potere religioso per la Chiesa?
La risposta a questa domanda,
quanto mai attuale e importante, ci viene da tutta la riflessione filosofica e
politica cristiana. Dalle due città agostiniane e dagli scritti di Giovanni di
Salisbury alla riflessione tomista sino a quella di Rosmini. Si tratta di un
dualismo necessario che cerca di limitare i possibili abusi e estremismi nei
quali può cadere ogni singola parte. L’abolizione di questo dualismo è dovuto
sicuramente alle riforme, ma giova ricordare che, anche nei paesi cattolici, si
è fatto di tutto per mettersi su questa strada. Voglio ricordare che, quando
nell’Ottocento si formulò la famosa espressione libera Chiesa in libero Stato,
non furono pochi i pensatori cattolici, da Montalembert a Newman, che la
criticarono. Per garantire un reale dualismo, si sarebbe dovuto dire libera
Chiesa e libero Stato. Era solo una congiunzione, ma faceva una grande
differenza e, mi sembra, che le conseguenze di tale differenza le abbiamo ora
sotto gli occhi.
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