Rilanciamo volentieri quest’intervista di un nostro
amico, il dott. Daniele Nigro, sul diritto liturgico.
Il diritto liturgico
In relazione al tema di questo nostro numero
della rivista: Il diritto liturgico,
segnaliamo ai lettori un prezioso libro del dott. Daniele Nigro dal titolo: I diritti di Dio – La liturgia dopo il
Vaticano II, ed. Sugarco, 2012.
Il libro ha la prefazione del card. Raymond Leo
Burke, ed in esso si afferma che: «Sembra che la riforma liturgica abbia
inferto un duro colpo all’osservanza delle norme fondamentali della liturgia
romana, se non al principio stesso di diritto liturgico. Cosa è successo? […]
Papa Benedetto XVI ha precisato ad esempio che “il nuovo messale veniva inteso
come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale
portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile”».
Al dott. Nigro abbiamo rivolto alcune domande
per comprendere il significato e il valore del diritto liturgico e illuminare
su questo argomento, alquanto incompreso e trascurato, i nostri lettori.
Al dottore un cordiale e grato ringraziamento
per questo suo prezioso e competente contributo, che certamente sarà letto con
interesse e con frutto dai nostri abbonati.
1. Cosa si
deve intendere per diritto liturgico?
Per rispondere in maniera esaustiva a questa
domanda, occorrerebbero tempo e spazio che, purtroppo, qui non abbiamo, anche
perché negli ultimi tempi si è scritto e dibattuto molto su cosa debba
intendersi per diritto liturgico; tuttavia cercherò di sintetizzare gli aspetti
più importanti della questione. In generale, la maggior parte della dottrina, intende
per diritto liturgico l’insieme delle norme che regolano la Liturgia. Senza condannare
del tutto tale definizione di diritto liturgico, occorre dire che essa è solo
parziale, e rischia di ingenerare l’idea che il diritto sia liturgico non per
essenza, ma solo per appartenenza. In realtà si ritiene il diritto come
qualcosa di esterno alla Liturgia, come qualcosa che non è parte della realtà
liturgica, ma che si utilizza perché, come tutte le azioni umane, anche la Liturgia
ha bisogno di essere ordinata e regolata.
Allora, per capire più in profondo il legame tra
diritto e Liturgia, conviene recuperare la nozione tomista di diritto, acquisita
dal patrimonio romano, secondo la quale il diritto è la ipsam rem iustam, la cosa giusta in se stessa, ciò che è giusto.
Così, da questa prospettiva, il punto di partenza non è più la legge o norma
che regola la Liturgia, che pure è importante, ma la dimensione di giustizia
della “cosa liturgica”, in altre parole ciò che è giusto nella Liturgia. Più
che regola, il diritto è una componente sostanziale strutturante e configurante
dell’azione sacra. L’orizzonte positivista, nel quale siamo stati abituati a
muoverci, lentamente si allarga, per essere poi abbandonato e poter penetrare
nell’essenza delle cose.
Infine bisogna sempre ricordare che il diritto
liturgico è in stretta correlazione con l’essenza pubblicistica della Liturgia,
ascrivibile alla sistematicità istituzionale della Chiesa. Essa è il “culto
pubblico totale del Corpo mistico di Cristo”. Puntuali e profonde sono, a tal
proposito, le parole utilizzate dal Servo di Dio Pio XII nell’enciclica Mediator Dei: «La Sacra Liturgia è il
culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre come Capo della Chiesa,
ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui,
all’Eterno Padre. È, per definirla più brevemente, il culto integrale del Corpo
mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra». Esse compongono, a mio
avviso, la più compiuta ed eccelsa definizione di cosa la Chiesa intenda per
Liturgia.
2. Come si
manifesta il diritto all’interno
delle celebrazioni liturgiche?
Se si segue l’impostazione poc’anzi delineata,
le manifestazioni del diritto nella Liturgia sono molteplici. Una buona parte
di queste, anche se non va assolutizzata, riguarda per esempio i diritti dei
fedeli, derivanti dal diritto enunciato nel n. 12 dell’Istruzione Redemptionis sacramentum: «Tutti i
fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar
modo una celebrazione della santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e
stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme».
Tuttavia, lo stesso numero dell’Istruzione, fa
riferimento a quella che potrebbe ritenersi la manifestazione più nota ed
evidente del diritto nella Liturgia, ovvero le rubriche. Senza addentrarci
troppo nella questione, ricordiamo che le rubriche, in ambito liturgico, sono
le prescrizioni che regolano lo svolgimento del culto. Il loro nome è dovuto al
fatto che, per distinguerle meglio dai testi che regolavano, si cominciò a
vergarle in rosso, da qui rubricae.
Esse si possono trovare o raggruppate in particolari libri, o riunite
all’inizio dei libri liturgici o al principio delle singole parti, oppure,
infine, incluse tra un testo e l’altro.
È bene ricordare che l’individuazione di un rito
e la possibilità di distinguerlo da un altro, ovvero l’identità dell’esecuzione
liturgica, sono date dalla fissazione normativa dello svolgimento di tutti i
movimenti. La rubricistica cattolica ha regolato ciò in modo minuzioso, a
motivo dell’importanza notevole degli atteggiamenti del corpo nella Liturgia, impedendo
così il personalismo del celebrante e nello stesso tempo riducendo quello dei
fedeli ad una gamma ristretta di gesti fatti in gruppo. Alla base di tale
processo di formazione rubricale, spontaneo ed auspicato sin dai primi tempi
della Chiesa, vi è la preoccupazione fondamentale dell’autorità ecclesiastica
di salvaguardare l’identità del rito romano non tanto come espressione
cerimoniale, ma come manifestazione del credo della Chiesa Cattolica. Sebbene oggi
col termine “rubricismo” le si voglia condannare, e nella pratica si è giunti
addirittura ad ignorarle generando un effetto caotico nell’ambito liturgico -
effetto riscontrabile da tutti in questi tempi - in realtà senza le rubriche il
rito romano non avrebbe i suoi connotati dottrinali, culturali e spirituali che
lo contraddistinguono in special modo dai riti orientali e, con le dovute
distinzioni, dagli altri riti occidentali ancora in vita o scomparsi.
3. Il diritto liturgico è parte facoltativa o
necessaria dei riti liturgici?
Alla luce di quanto asserito nella risposta alla
prima domanda, ovvero che il diritto è una dimensione intrinseca e connaturale
del fenomeno liturgico, esso non può assolutamente essere considerato una parte
facoltativa della Liturgia, salvo, in caso contrario, perdere il senso vero ed
autentico del culto pubblico della Chiesa. Ovviamente con ciò non si vuole
affermare che il diritto sia tutto o la cosa più importante, ma solo far comprendere
come esso sia parte integrante della Liturgia, e cooperi alla compiutezza,
complessività e perfezione del culto. Infatti l’elemento giuridico costituisce
un aspetto o dimensione contingente di una realtà ben più complessa, misterica,
soprannaturale, trascendente, che supera abbondantemente la semplice concretizzazione
e realizzazione della giustizia nel popolo di Dio. Serve ancora una volta
ricordare quanto dichiarato nella Redemptionis
sacramentum circa l’arbitrarietà, che è l’espressione massima di chi
ritiene meramente facoltative le prescrizioni dell’autorità in ambito liturgico:
«Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento, ma ledono il
giusto diritto dei fedeli all’azione liturgica che è espressione della vita
della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina» (n. 11).
Del resto una conferma di questo carattere
necessario del diritto si può desumere anche dalla lettura del n. 22 § 3 di Sacrosanctum concilium, poiché in esso
si stabilisce che «nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa,
aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica».
4. Chi
stabilisce il diritto liturgico?
Il can. 838 del Codice di Diritto Canonico,
riprendendo Sacrosanctum concilium
n. 22, prescrive che: Ǥ1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente
dall'autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a
norma del diritto, al Vescovo diocesano. §2. È di competenza della Sede
Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i
libri liturgici e autorizzarne le versioni nelle lingue correnti, nonché
vigilare perché le norme liturgiche siano osservate fedelmente ovunque. §3.
Spetta alle Conferenze Episcopali preparare le versioni dei libri liturgici
nelle lingue correnti, dopo averle adattate convenientemente entro i limiti
definiti negli stessi libri liturgici, e pubblicarle, previa autorizzazione
della Santa Sede. §4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta,
entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle
quali tutti sono tenuti».
Se la Sede Romana, ossia il Pontefice, è
l’autorità primaziale che modera la Liturgia romana in tutta la Chiesa Cattolica,
lo strumento esecutivo di tale “moderatio”
è la competente Congregazione della Curia Romana, ovvero la Congregazione per
il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. La Sede Romana, con le dovute
differenze, modera oltre ai riti occidentali, anche i riti delle Chiese
cattoliche orientali, mediante l’apposita Congregazione. Inoltre è bene
segnalare che il compito di mantenere l’ordine liturgico, di rimuovere gli
abusi, di preparare i testi liturgici, di esaminare i calendari particolari
ecc. sono tutte competenze già appartenenti alla Sacra Congregazione dei Riti
istituita dopo Trento, alle quali si è aggiunta la revisione degli adattamenti
compiuti dalle Conferenze Episcopali.
All’autorità della Santa Sede si affianca in
subordine quella del Vescovo diocesano e delle Conferenze Episcopali; il primo
e le seconde hanno come strumenti le commissioni liturgiche locali e nazionali
o territoriali, con compiti di dirigere la pastorale liturgica, quindi
esecutivi. Va segnalata anche la presenza di commissioni congiunte o miste
internazionali dei maggiori gruppi linguistici, che dovrebbero essere sottoposte
alle rispettive Conferenze Episcopali. Purtroppo il lavoro di tali commissioni
di esperti, non di rado è stato accusato, e non a torto, di aver preso il posto
dell’autorità dei Vescovi e “fabbricato” la Liturgia, specialmente per quanto
concerne la traduzione dei libri liturgici ed alcuni adattamenti.
Resta, infine, una questione di fondo - alla
quale non è possibile dare in questa sede una risoluzione - riguardante l’effettiva
autorità primaziale della Sede Apostolica sulla Liturgia: se ed in che misura
ce l’abbia. In altre parole si pone la domanda, più volte sollevata dallo
stesso Papa Benedetto XVI, circa il diritto del Pontefice di modificare un rito
risalente alla tradizione apostolica e tramandato attraverso i secoli. Questo
perché il Sommo Pontefice non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito
dal Signore e affidato alla Chiesa.
5. … e la creatività liturgica?
Visto che l’impulso alla creatività viene
attribuito al Concilio Vaticano II, desidero subito precisare che il termine
“creatività” non compare esplicitamente in Sacrosanctum
concilium, a meno che non lo si voglia ritenere sinonimo di quello
ricorrente di “adattamento”. Devo altresì dichiarare che personalmente nutro
forti dubbi anche sul concetto stesso di “adattamenti” e sulla loro reale
utilità; anzi ritengo che tale modo di procedere nasconda una concezione di
profonda sfiducia nei confronti del rito così come pensato e tramandato dalla
Santa Madre Chiesa e della sua forza intrinseca, tanto da aver bisogno di
essere “adattato”, non si sa bene poi a che cosa. E se è vero che la
Costituzione liturgica del Vaticano II stabilisce che le innovazioni e le
modifiche devono attuarsi solo se lo esige una vera e certa utilità della
Chiesa, l’Institutio del Messale
prevede la possibilità di introdurre adattamenti - quali la scelta di alcuni
testi e riti, canti, letture, orazioni, monizioni, gesti che siano più
corrispondenti alle necessità, alla preparazione e capacità di comprensione dei
partecipanti - da parte dello stesso sacerdote celebrante. Ormai, a furia di
creatività ed adattamenti, si fa fatica a riconoscere il nostro venerabile rito
romano ed appare più che mai in pericolo la salvaguardia dell’unità dello
stesso, che è parte rilevante del patrimonio liturgico della Chiesa Cattolica.
In conclusione la norma rituale, da seguire
umilmente, non è ciò che limita o impedisce la significatività celebrativa, ma
è ciò che rende possibile l’esistenza stessa di un rito, divenendo principio
creativo, poiché struttura ed organizza la vita dell’uomo. Come mi piace spesso
ripetere, non per mancanza di creatività, ma perché ritengo essere un punto centrale
della questione, quanto evidenziato è inoltre essenziale per l’effettiva efficacia
performativa del rito. Infatti, si può affermare che i soggetti, nel prender parte
alla Liturgia, subiscono un cambiamento di status.
Il cambiamento più rilevante si attua in chi partecipa ed in questo può rinvenirsi
la creatività vera e propria del rito. Quindi più che di creatività nel rito io
parlerei di creatività del rito, cioè di ciò che il rito crea e produce
nell’uomo che si lascia introdurre nel grande mistero del Santo Sacrificio
dell’Altare.
Fonte: Liturgia Culmen
et Fons, 2016, anno IX, n. 1
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