martedì 12 luglio 2016

Il diritto liturgico - intervista al dott. Daniele Nigro

Rilanciamo volentieri quest’intervista di un nostro amico, il dott. Daniele Nigro, sul diritto liturgico.

Il diritto liturgico

In relazione al tema di questo nostro numero della rivista: Il diritto liturgico, segnaliamo ai lettori un prezioso libro del dott. Daniele Nigro dal titolo: I diritti di Dio – La liturgia dopo il Vaticano II, ed. Sugarco, 2012.
Il libro ha la prefazione del card. Raymond Leo Burke, ed in esso si afferma che: «Sembra che la riforma liturgica abbia inferto un duro colpo all’osservanza delle norme fondamentali della liturgia romana, se non al principio stesso di diritto liturgico. Cosa è successo? […] Papa Benedetto XVI ha precisato ad esempio che “il nuovo messale veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile”».
Al dott. Nigro abbiamo rivolto alcune domande per comprendere il significato e il valore del diritto liturgico e illuminare su questo argomento, alquanto incompreso e trascurato, i nostri lettori.
Al dottore un cordiale e grato ringraziamento per questo suo prezioso e competente contributo, che certamente sarà letto con interesse e con frutto dai nostri abbonati.

1. Cosa si deve intendere per diritto liturgico?

Per rispondere in maniera esaustiva a questa domanda, occorrerebbero tempo e spazio che, purtroppo, qui non abbiamo, anche perché negli ultimi tempi si è scritto e dibattuto molto su cosa debba intendersi per diritto liturgico; tuttavia cercherò di sintetizzare gli aspetti più importanti della questione. In generale, la maggior parte della dottrina, intende per diritto liturgico l’insieme delle norme che regolano la Liturgia. Senza condannare del tutto tale definizione di diritto liturgico, occorre dire che essa è solo parziale, e rischia di ingenerare l’idea che il diritto sia liturgico non per essenza, ma solo per appartenenza. In realtà si ritiene il diritto come qualcosa di esterno alla Liturgia, come qualcosa che non è parte della realtà liturgica, ma che si utilizza perché, come tutte le azioni umane, anche la Liturgia ha bisogno di essere ordinata e regolata.
Allora, per capire più in profondo il legame tra diritto e Liturgia, conviene recuperare la nozione tomista di diritto, acquisita dal patrimonio romano, secondo la quale il diritto è la ipsam rem iustam, la cosa giusta in se stessa, ciò che è giusto. Così, da questa prospettiva, il punto di partenza non è più la legge o norma che regola la Liturgia, che pure è importante, ma la dimensione di giustizia della “cosa liturgica”, in altre parole ciò che è giusto nella Liturgia. Più che regola, il diritto è una componente sostanziale strutturante e configurante dell’azione sacra. L’orizzonte positivista, nel quale siamo stati abituati a muoverci, lentamente si allarga, per essere poi abbandonato e poter penetrare nell’essenza delle cose.
Infine bisogna sempre ricordare che il diritto liturgico è in stretta correlazione con l’essenza pubblicistica della Liturgia, ascrivibile alla sistematicità istituzionale della Chiesa. Essa è il “culto pubblico totale del Corpo mistico di Cristo”. Puntuali e profonde sono, a tal proposito, le parole utilizzate dal Servo di Dio Pio XII nell’enciclica Mediator Dei: «La Sacra Liturgia è il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all’Eterno Padre. È, per definirla più brevemente, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra». Esse compongono, a mio avviso, la più compiuta ed eccelsa definizione di cosa la Chiesa intenda per Liturgia.

2. Come si manifesta il diritto all’interno delle celebrazioni liturgiche?

Se si segue l’impostazione poc’anzi delineata, le manifestazioni del diritto nella Liturgia sono molteplici. Una buona parte di queste, anche se non va assolutizzata, riguarda per esempio i diritti dei fedeli, derivanti dal diritto enunciato nel n. 12 dell’Istruzione Redemptionis sacramentum: «Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme».
Tuttavia, lo stesso numero dell’Istruzione, fa riferimento a quella che potrebbe ritenersi la manifestazione più nota ed evidente del diritto nella Liturgia, ovvero le rubriche. Senza addentrarci troppo nella questione, ricordiamo che le rubriche, in ambito liturgico, sono le prescrizioni che regolano lo svolgimento del culto. Il loro nome è dovuto al fatto che, per distinguerle meglio dai testi che regolavano, si cominciò a vergarle in rosso, da qui rubricae. Esse si possono trovare o raggruppate in particolari libri, o riunite all’inizio dei libri liturgici o al principio delle singole parti, oppure, infine, incluse tra un testo e l’altro.
È bene ricordare che l’individuazione di un rito e la possibilità di distinguerlo da un altro, ovvero l’identità dell’esecuzione liturgica, sono date dalla fissazione normativa dello svolgimento di tutti i movimenti. La rubricistica cattolica ha regolato ciò in modo minuzioso, a motivo dell’importanza notevole degli atteggiamenti del corpo nella Liturgia, impedendo così il personalismo del celebrante e nello stesso tempo riducendo quello dei fedeli ad una gamma ristretta di gesti fatti in gruppo. Alla base di tale processo di formazione rubricale, spontaneo ed auspicato sin dai primi tempi della Chiesa, vi è la preoccupazione fondamentale dell’autorità ecclesiastica di salvaguardare l’identità del rito romano non tanto come espressione cerimoniale, ma come manifestazione del credo della Chiesa Cattolica. Sebbene oggi col termine “rubricismo” le si voglia condannare, e nella pratica si è giunti addirittura ad ignorarle generando un effetto caotico nell’ambito liturgico - effetto riscontrabile da tutti in questi tempi - in realtà senza le rubriche il rito romano non avrebbe i suoi connotati dottrinali, culturali e spirituali che lo contraddistinguono in special modo dai riti orientali e, con le dovute distinzioni, dagli altri riti occidentali ancora in vita o scomparsi.

3. Il diritto liturgico è parte facoltativa o necessaria dei riti liturgici?

Alla luce di quanto asserito nella risposta alla prima domanda, ovvero che il diritto è una dimensione intrinseca e connaturale del fenomeno liturgico, esso non può assolutamente essere considerato una parte facoltativa della Liturgia, salvo, in caso contrario, perdere il senso vero ed autentico del culto pubblico della Chiesa. Ovviamente con ciò non si vuole affermare che il diritto sia tutto o la cosa più importante, ma solo far comprendere come esso sia parte integrante della Liturgia, e cooperi alla compiutezza, complessività e perfezione del culto. Infatti l’elemento giuridico costituisce un aspetto o dimensione contingente di una realtà ben più complessa, misterica, soprannaturale, trascendente, che supera abbondantemente la semplice concretizzazione e realizzazione della giustizia nel popolo di Dio. Serve ancora una volta ricordare quanto dichiarato nella Redemptionis sacramentum circa l’arbitrarietà, che è l’espressione massima di chi ritiene meramente facoltative le prescrizioni dell’autorità in ambito liturgico: «Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento, ma ledono il giusto diritto dei fedeli all’azione liturgica che è espressione della vita della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina» (n. 11).
Del resto una conferma di questo carattere necessario del diritto si può desumere anche dalla lettura del n. 22 § 3 di Sacrosanctum concilium, poiché in esso si stabilisce che «nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica».

4. Chi stabilisce il diritto liturgico?

Il can. 838 del Codice di Diritto Canonico, riprendendo Sacrosanctum concilium n. 22, prescrive che: «§1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall'autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano. §2. È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici e autorizzarne le versioni nelle lingue correnti, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate fedelmente ovunque. §3. Spetta alle Conferenze Episcopali preparare le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, dopo averle adattate convenientemente entro i limiti definiti negli stessi libri liturgici, e pubblicarle, previa autorizzazione della Santa Sede. §4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti».
Se la Sede Romana, ossia il Pontefice, è l’autorità primaziale che modera la Liturgia romana in tutta la Chiesa Cattolica, lo strumento esecutivo di tale “moderatio” è la competente Congregazione della Curia Romana, ovvero la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. La Sede Romana, con le dovute differenze, modera oltre ai riti occidentali, anche i riti delle Chiese cattoliche orientali, mediante l’apposita Congregazione. Inoltre è bene segnalare che il compito di mantenere l’ordine liturgico, di rimuovere gli abusi, di preparare i testi liturgici, di esaminare i calendari particolari ecc. sono tutte competenze già appartenenti alla Sacra Congregazione dei Riti istituita dopo Trento, alle quali si è aggiunta la revisione degli adattamenti compiuti dalle Conferenze Episcopali.
All’autorità della Santa Sede si affianca in subordine quella del Vescovo diocesano e delle Conferenze Episcopali; il primo e le seconde hanno come strumenti le commissioni liturgiche locali e nazionali o territoriali, con compiti di dirigere la pastorale liturgica, quindi esecutivi. Va segnalata anche la presenza di commissioni congiunte o miste internazionali dei maggiori gruppi linguistici, che dovrebbero essere sottoposte alle rispettive Conferenze Episcopali. Purtroppo il lavoro di tali commissioni di esperti, non di rado è stato accusato, e non a torto, di aver preso il posto dell’autorità dei Vescovi e “fabbricato” la Liturgia, specialmente per quanto concerne la traduzione dei libri liturgici ed alcuni adattamenti.
Resta, infine, una questione di fondo - alla quale non è possibile dare in questa sede una risoluzione - riguardante l’effettiva autorità primaziale della Sede Apostolica sulla Liturgia: se ed in che misura ce l’abbia. In altre parole si pone la domanda, più volte sollevata dallo stesso Papa Benedetto XVI, circa il diritto del Pontefice di modificare un rito risalente alla tradizione apostolica e tramandato attraverso i secoli. Questo perché il Sommo Pontefice non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e affidato alla Chiesa.

5. … e la creatività liturgica?

Visto che l’impulso alla creatività viene attribuito al Concilio Vaticano II, desidero subito precisare che il termine “creatività” non compare esplicitamente in Sacrosanctum concilium, a meno che non lo si voglia ritenere sinonimo di quello ricorrente di “adattamento”. Devo altresì dichiarare che personalmente nutro forti dubbi anche sul concetto stesso di “adattamenti” e sulla loro reale utilità; anzi ritengo che tale modo di procedere nasconda una concezione di profonda sfiducia nei confronti del rito così come pensato e tramandato dalla Santa Madre Chiesa e della sua forza intrinseca, tanto da aver bisogno di essere “adattato”, non si sa bene poi a che cosa. E se è vero che la Costituzione liturgica del Vaticano II stabilisce che le innovazioni e le modifiche devono attuarsi solo se lo esige una vera e certa utilità della Chiesa, l’Institutio del Messale prevede la possibilità di introdurre adattamenti - quali la scelta di alcuni testi e riti, canti, letture, orazioni, monizioni, gesti che siano più corrispondenti alle necessità, alla preparazione e capacità di comprensione dei partecipanti - da parte dello stesso sacerdote celebrante. Ormai, a furia di creatività ed adattamenti, si fa fatica a riconoscere il nostro venerabile rito romano ed appare più che mai in pericolo la salvaguardia dell’unità dello stesso, che è parte rilevante del patrimonio liturgico della Chiesa Cattolica.
In conclusione la norma rituale, da seguire umilmente, non è ciò che limita o impedisce la significatività celebrativa, ma è ciò che rende possibile l’esistenza stessa di un rito, divenendo principio creativo, poiché struttura ed organizza la vita dell’uomo. Come mi piace spesso ripetere, non per mancanza di creatività, ma perché ritengo essere un punto centrale della questione, quanto evidenziato è inoltre essenziale per l’effettiva efficacia performativa del rito. Infatti, si può affermare che i soggetti, nel prender parte alla Liturgia, subiscono un cambiamento di status. Il cambiamento più rilevante si attua in chi partecipa ed in questo può rinvenirsi la creatività vera e propria del rito. Quindi più che di creatività nel rito io parlerei di creatività del rito, cioè di ciò che il rito crea e produce nell’uomo che si lascia introdurre nel grande mistero del Santo Sacrificio dell’Altare.

Fonte: Liturgia Culmen et Fons, 2016, anno IX, n. 1

Nessun commento:

Posta un commento