Torniamo sul tema dell’esortazione Amoris laetitia:
un documento che pone seri problemi, presentando delle criticità sia laddove
preso nel suo complesso sia nelle sue singole parti.
Tra l’altro curiosamente sinora ci si è soffermati
quasi esclusivamente, nei commenti, sul cap. VIII dell’esortazione – quello afferente
l’accesso alla Comunione dei c.d. divorziati risposati – ma esso è seriamente problematico
anche altrove.
A titolo esemplificativo valga questa “pillola”,
tratta dal § 149 di AL:
«Alcune correnti spirituali insistono
sull’eliminare il desiderio per liberarsi dal dolore. Ma noi crediamo che Dio
ama la gioia dell’essere umano, che Egli ha creato tutto “perché possiamo
goderne” (1 Tm 6,17). Lasciamo sgorgare la gioia di fronte alla sua tenerezza
quando ci propone: “Figlio, trattati bene […]. Non privarti di un giorno felice”
(Sir 14,11.14). Anche una coppia di coniugi risponde alla volontà di Dio seguendo
questo invito biblico: “Nel giorno lieto sta’ allegro” (Qo 7,14). La questione
è avere la libertà per accettare che il piacere trovi altre forme di
espressione nei diversi momenti della vita, secondo le necessità del reciproco
amore. In tal senso, si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali
che insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in
un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive. Tale ampliamento
della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua
dilatazione e il suo perfezionamento».
Il paragrafo è inserito nella parte relativa all’«Amore
appassionato» e segnatamente nella sezione «Dio ama la gioia dei suoi
figli», immediatamente prima di quella concernente «La dimensione
erotica dell’amore». Dunque, il tema considerato dal § 149 attiene
propriamente alla dimensione di piacere del rapporto di coniugale.
Tuttavia, nel discorso si vede emergere una categoria
insolita per la teologia cattolica, vale a dire quella dell’«allargamento
della coscienza»; una categoria poco comprensibile nell’ottica del
Cristianesimo, ma che trova la sua collocazione perfetta all’interno delle
filosofie indù ed in quelle di stampo New Age (salvo il supporre
malignamente che qui si sia voluto far riferimento al pensiero di Jung o a
personaggi come Jim Morrison dei Doors, che era notoriamente “maestro”
nella pratica dell’«allargamento della coscienza»). Sta di fatto che nel
menzionato paragrafo si accolgono di fatto queste pratiche, legate al tantra
o al kama-sutra o al taoismo, il cui fondamento ultimo non è nella fede
cristiana bensì nella Gnosi e nella tradizione esoterica orientale. L’aspetto
drammatico, e per certi versi paradossale, è che vengano suggerite da un lato –
alle coppie cristiane – tali pratiche per uscire quasi dalla “noia della
quotidianità” o, come si legge nel testo, per “non rimanere prigionieri in un’esperienza
limitata” («… si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che
insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in
un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive …») e, dall’altro,
tali pratiche volte all’ampiamento della coscienza sarebbero quasi
perfezionamento e coronamento dello stesso piacere di coppia («tale
ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio,
bensì la sua dilatazione e il suo perfezionamento»).
Affermazioni che, prese nel loro significato, destano
non pochi interrogativi circa la loro compatibilità con il depositum fidei.
Accogliamo volentieri perciò le osservazioni di don
Morselli, il quale esorta al ritiro del documento.
Nella festa del Preziosissimo Sangue di N. S. G. Cristo
e nell’Ottava della Natività del Battista rilanciamo volentieri questo
contributo.
Anonimo fiammingo, Fons vitae, 1515-17, Museu da Misericórdia do Porto, Porto |
Jean Bellegambe, Trittico del Bagno mistico, XV sec., Palais des Beaux-Arts de Lille, Lille |
Cristo eucaristico nella coppa di salvezza |
Le Osservazioni sull’Amoris laetitia di
don Alfredo Morselli
di Emmanuele Barbieri
Mentre si moltiplicano le dichiarazioni sconcertanti di papa Francesco, si
vanno moltiplicando le analisi critiche dei suoi principali documenti. Tra gli
studi più seri e interessanti, va segnalato quello di don Alfredo M. Morselli,
un dotto e pio sacerdote bolognese che sarebbe improprio catalogare come
“tradizionalista”.
Il 29 settembre 2015 don Morselli firmò con l’abbé Claude Barth e mons.
Antonio Livi, una serrata critica dell’Instrumentum Laboris predisposto
per la XIV Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351141).
Successivamente è intervenuto con delle accurate Osservazioni su alcuni punti controversi dell’Esortazione apostolica Amoris
laetitia, apparse nel mese di maggio sul blogMessainlatino (http://blog.messainlatino.it/2016/05/osservazioni-su-alcuni-punti_43.html).
Dopo un’ampia introduzione, in cui espone l’attuale stato di dubbio e
di disorientamento dei fedeli, don Morselli ribadisce una serie di verità
irrinunciabili, proposte a credere in modo definitivo dal Magistero della
Chiesa.
La prima e la più importante è che esistono atti intrinsecamente cattivi
che nessuna circostanza e nessuna situazione possono rendere buoni, e che
quindi, se compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, sono sempre
peccato grave. Su questo assioma si fonda l’oggettività della legge naturale e
morale.
Papa Francesco afferma, al § 304 di Amoris laetitia, che
«è vero che le norme generali presentano un bene che non si deve
mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono
abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari». Alla
luce dei testi tomistici citati dallo stesso Pontefice, don Morselli dimostra
che, se è vero che dai princípi della morale non si possono dedurre a priori tutte
le valutazioni di ogni minima situazione particolari, è pur vero che gli stessi
princípi consentono di valutare in ogni caso come intrinsecamente cattive
determinate azioni, quali l’adulterio e la fornicazione: chi compie questi atti
con piena avvertenza e deliberato consenso pecca mortalmente.
Nel § 301 di Amoris Laetitia si afferma che «un soggetto… si può trovare in
condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere
altre decisioni senza una nuova colpa». Don Morselli ribatte che «un soggetto… non potrà mai trovarsi in condizioni concrete che lo obblighino a prendere decisioni
senza una nuova colpa; la via di uscita c’è: è una via
divina però, non una soluzione umana che, ammettendo ai sacramenti dei vivi chi
è in stato di peccato, distrugge contemporaneamente la dottrina cattolica del
matrimonio, dell’Eucarestia, della confessione e i fondamenti della morale
naturale e cristiana». L’uomo, infatti, non può essere né tentato
sopra le proprie forze, né essere lasciato in una situazione dove non abbia
altra scelta che peccare.
Don Morselli affronta quindi la questione centrale: un cattolico che
sceglie di convivere more uxorio, senza che tale convivenza sia stata benedetta
dal sacramento del matrimonio, può ricevere validamente l’assoluzione
sacramentale? La risposta è negativa, per fede divina e cattolica. La Chiesa ha
sempre proposto a credere che non si può ricevere l’Eucarestia in stato di
peccato mortale; di conseguenza, chi convive con una persona che non sia il
proprio legittimo coniuge, vivendo in stato di peccato mortale, non può accostarsi
all’Eucarestia. Infatti come dice il Catechismo della Chiesa
cattolica (§ 1650): «Se i divorziati si sono
risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente
contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione
eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione».
Difficilmente accettabile è anche l’affermazione contenuta nel § 301 di Amoris laetitia, secondo cui «…non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in
qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale,
privi della grazia santificante». Le persone
che vivono nelle situazioni difficili o irregolari – a meno che non si
astengano dagli atti propri del matrimonio – sono sempre in stato di peccato.
Di conseguenza, l’unica condizione per cui diventa accettabile l’affermazione
di Amoris laetitia presa in esame è: le persone in
situazione difficile o irregolare possono restare in stato di grazia se vivono
come fratello e sorella.
«Posto dunque che 1) la fornicazione e l’adulterio sono sempre
peccati mortali, 2) che le circostanze non ne possono attenuare la malizia, 3)
che non manca mai l’aiuto di Dio per non peccare, 4) che non esiste una
situazione in cui non ci sia altra possibilità che peccare, 5) che non si ammette
ignoranza in materia (o, se ci fosse, va immediatamente rimossa), possiamo
concludere – scrive don Morselli – che le persone che vivono nelle situazioni difficili o irregolari
– a meno che non si astengano dagli atti propri del matrimonio – sono sempre in
stato di peccato».
L’unica condizione per cui diventa accettabile l’affermazione di Amoris laetitia presa in esame è che le persone in
situazione difficile o irregolare possono restare in stato di grazia se vivono
come fratello e sorella, ma non sembra questo il senso del documento.
Sul piano pastorale, non è possibile assolvere chi non ha il vero e fermo
proposito di emendarsi, né è lecito ammettere alla recezione della SS.ma
Eucarestia chiunque si trovi in stato di peccato mortale. Il desiderio della
grazia sacramentale, l’impossibilità di interrompere la convivenza a motivo dei
figli o di altri gravi fattori, l’affetto consolidatosi nel tempo, la fedeltà
reciproca dei conviventi, il matrimonio civile già celebrato, l’impossibilità
di ricevere la dichiarazione di nullità del precedente matrimonio rato e
consumato, la convinzione soggettiva che il precedente matrimonio sacramentale
fosse invalido, conclude l’autore dello studio, «non sono circostanze che
rendano legittima e valida l’assoluzione sacramentale».
Di conseguenza, il sacerdote che negasse l’assoluzione sacramentale ai
conviventi more uxorio, nonostante l’insistenza del
penitente, e il dolore di quest’ultimo per l’assoluzione negata, non può in
alcun modo esser considerato come un “duro di cuore” e, perciò, rimproverato
per la sua mancanza di misericordia e, magari, punito dal suo Ordinario. Al
contrario, il sacerdote che, commosso per la sofferenza del penitente, o per
altri motivi, concedesse l’assoluzione, compie un atto sacrilego, e perciò è
meritevole di rimprovero e, di provvedimenti correttivi, da parte del suo
Vescovo.
Le affermazioni di don Morselli sono ampiamente argomentate e si fondano
sui testi di san Tommaso d’Aquino, sulla enciclica Veritatis Splendor e altri documenti di Giovanni
Paolo II, sui Catechismi della Chiesa cattolica e sui più sicuri
moralisti. La sua analisi costituisce un’eccellente antidoto alla “morale della
situazione” condannata da Pio XII e Giovanni Paolo II e oggi riemergente,
dietro la maschera della “misericordia divina”.
«La morale oggettiva, che dichiara la realtà del peccato, non occultandolo
nella situazione e nelle circostanze, ne rende possibile l’accusa e quindi ne
rende possibile il perdono», osserva don Morselli, è la vera «mano tesa della misericordia divina». L’etica della situazione «è invece la negazione della misericordia, perché, con falsa
compassione, lascia l’uomo nel pantano del suo peccato; la nuova morale non ha
niente da farsi perdonare; anzi, nasconde a Dio proprio ciò che Dio vuole
perdonare».
Le Osservazioni su alcuni punti controversi dell’Esortazione
apostolica Amoris Laetitia del sacerdote bolognese costituiscono un
atto coraggioso e coerente che sembra suonare come una risposta all’appello del
filosofo tedesco Robert Spaemann: «Ogni singolo cardinale, ma anche
ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di
competenza l’ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente».
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