Sante Messe in rito antico in Puglia

sabato 6 agosto 2016

Il Torchio mistico

Rilanciamo il seguente contributo sul tema del Torchio Mistico (v. anche Il «torchio mistico», sacrificio di Gesù per tutti, in Avvenire, 3.7.2014), nella festa della Trasfigurazione, nata per volontà di papa Callisto III il 6 agosto 1457 per commemorare la vittoria dei cristiani a Belgrado, guidati da Giovanni Hunyadi ed incoraggiati da S. Giovanni da Capestrano, contro le forze musulmane dell’impero ottomano; un dono concesso da Dio che molti sedicenti cattolici vorrebbero rifiutare in nome del loro irenismo e pacifismo.



San Giovanni da Capestrano guida l'esercito cristiano alla vittoria contro i Turchi

Il Torchio mistico

di Claudia Del Valle

Una delle raffigurazioni più toccanti e incisive della devozione cattolica al Sangue di Cristo è certamente quella del “Torchio mistico”. Cristo è il frutto pigiato il cui succo, ossia il cui Sangue, è la bevanda di redenzione per i peccati dell’uomo.

La particolare iconografia del “Torchio mistico” nasce nel Medioevo. Inizialmente vi era semplicemente la raffigurazione della vite e del grappolo. L’immagine di Cristo nel torchio si diffonde a partire dal XII secolo e, col trascorrer dei secoli, il divin Redentore viene dipinto in modo sempre più esplicito mentre trasuda Sangue sotto la pressione del torchio. L’immagine s’ispira al testo d’Isaia: «Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li ho pigiati con sdegno. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli abiti» (63,3).
È da ascriversi a Sant’Agostino il merito di aver sapientemente congiunto questo brano d’Isaia col grappolo meraviglioso del libro dei Numeri: «Tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga» (13,23). Nelle Esposizioni sui Salmi il commento del Vescovo di Ippona è esplicito: «“Mi calpestano sempre i miei nemici, molti sono quelli che mi combattono. / Nell’ora della paura io in te confido” [...]. Perché è tenuto nel torchio il suo Corpo, cioè la Chiesa. Che significa “nel torchio”? Nelle angustie. Ma ben fecondo è questo essere spremuti nel torchio. Finché è sulla vite, l’uva non subisce pressioni: appare intera, ma niente da essa scaturisce. La si mette nel torchio, la si calpesta e schiaccia; sembra subire un danno, invece questo danno la rende feconda, mentre, al contrario, se le si volesse risparmiare ogni danno, rimarrebbe sterile. Orbene tutti i santi che soffrono persecuzioni da parte di coloro che si sono allontanati dai santi stiano attenti a questo salmo e vi riconoscano se stessi [...]. Il primo grappolo d’uva schiacciato nel torchio è Cristo. Quando tale grappolo venne spremuto nella Passione, ne è scaturito quel vino il cui calice inebriante quanto è eccellente!».
La più celebre raffigurazione del Torchio mistico rimane certamente la pala eseguita da Andrea Mainardi, detto Chiaveghino, per l’altare maggiore della chiesa di Sant’Agostino a Cremona nel 1594. La composizione è tutta incentrata sulla figura del Cristo che, piegato sotto il torchio, girato da due Angeli, estende le braccia in avanti per far ricadere il Sangue che esce dalle ferite alle mani nel tino. Nella zona superiore Dio Padre è raffigurato a braccia spalancate nell’alto dei Cieli, lontano dall’azione vera e propria della spremuta. In basso San Gregorio Magno sostiene, aiutato da un Angelo, il Calice che si riempie del Mosto divino, mentre altri Padri della Chiesa, Girolamo a destra, Agostino e Ambrogio a sinistra, sono raffigurati accanto al torchio, dietro al quale si accalca la folla dei fedeli pronta per assaporare il frutto della Redenzione. In particolare Agostino indica con la destra il Cristo che con il suo Sacrificio redime l’umanità. La composizione, unica nel suo genere, evidenzia fortemente il ruolo della Chiesa, come intermediaria fra il Cristo e la massa dei fedeli, qui impersonata innanzitutto da San Gregorio Magno, figura sempre associata al Sangue di Cristo.
Dipingendo quest’opera, il Mainardi allude alla grandezza dei meriti di Cristo e alla Chiesa: il Sangue che sgorga dalle ferite del Redentore è la linfa dei credenti che viene raccolta e dispensata dalla Chiesa attraverso la penitenza e le indulgenze.
L’immagine del Torchio mistico non fu estranea neppure alla Mistica medievale che non mancò di riversarsi nell’arte con raffigurazioni d’estremo interesse. Tra le figure degne di maggior attenzione troviamo senza alcun dubbio la mistica fiorentina Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (1566-1607), coeva del Mainardi. La tradizione assegna alla Santa un disegno che si trova nella cella ove ella morì. Sul retro del foglio si legge: «Questa Pittura e le Inscrizioni che in essa si vedono, furono fatte di propria mano da santa Maria Maddalena de’ Pazzi, nella cui vita stampata si legge: “Stando Ella in estasi al buio, e cogli occhi bendati dipingeva sopra la carta Immagini devote, le quali come miracolose sono state poi conservate”».
Il disegno alquanto semplice raffigura il Cristo curvo sotto il peso della croce-torchio posta in diagonale, sui quattro bracci della quale si leggono Humilitas, Innocentia, Castitas, Caritas, che poggia i piedi su un tino a forma di cuore, sotto cui scorre un cartiglio con la scritta Ego torcular solus calcavi. Il Redentore si sporge in avanti e con la destra tiene una caraffa piena di Sangue che riversa in un Calice sostenuto da una devota (la Santa stessa) inginocchiata. Sul verso stesso del disegno è scritto: «Il Beato Alberto Magno / affermava: Recordatio Passionis Christi multo plus / iuvat homini, quam si integrum annum / jeiunaret in pane et aqua, vel si quotidie / virgis aut flagellis cederetur usque ad sanguinis effusionem vel si quotidie legeret / integrum Psalterium» (“La memoria della Passione di Cristo giova all’uomo più che se digiunasse a pane e acqua per un anno, o se si disciplinasse a sangue con verghe o flagelli, o se ogni giorno leggesse l’intero Salterio”).

Anche nelle frequenti estasi della Santa ricorre il tema del Torchio mistico e del Sangue. Nel trentaquattresimo colloquio del 17 aprile 1585 così la Santa commenta la sua estasi della notte precedente: «Le fruttuose viti sono le anime innamorate di te Verbo, le quali mille volte il dì, se possibil fussi, darebber la vita per tuo amore, et per acquistare a Te delle anime, le cui vite sono spremute nello strettoio, o vero torculare della memoria della tua Passione». E nel quarantaseiesimo colloquio del 7 maggio 1587 aggiunge: «Et tanto è l’abbondantia di questo spremuto vino che la sposa non ha tanti vasi di riporre... Ma che fa lo Sposo? Dà lui alla sposa di riporlo. E che gli dà? Gli dà un vaso pretioso e grande, et questo è il suo Cuore». Il trasporto mistico della Santa verso Cristo e il suo Sangue salvifico ha ispirato in vari modi l’iconografia. 
Va segnalata una suggestiva tela d’inizio Settecento conservata nella Chiesa del Carmine a Licata, in cui la Santa, inginocchiata di fronte al Cristo crocifisso, è letteralmente investita da un fiotto di Sangue-luce uscente dal Costato del Redentore, mentre la Vergine la incorona.
La variegata iconografia del “Torchio mistico” prova l’ardentissima devozione del popolo cristiano per il Sangue del Signore, “prezzo della nostra redenzione”, “pianta di benedizione, trofeo di gloria, stendardo di salute”. A tale devozione occorre ritornare per “ricentrare” il Cristianesimo in Colui che solo ci ha riscattati a prezzo del suo Sangue, spremuto nel mistico torchio della Croce.

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