Rilanciamo il
seguente contributo sul tema del Torchio Mistico (v. anche Il «torchio mistico», sacrificio di Gesù per tutti, in Avvenire, 3.7.2014), nella festa della Trasfigurazione, nata per volontà di papa
Callisto III il 6 agosto 1457 per commemorare la vittoria dei cristiani a
Belgrado, guidati da Giovanni Hunyadi ed incoraggiati da S. Giovanni da Capestrano,
contro le forze musulmane dell’impero ottomano; un dono concesso da Dio che
molti sedicenti cattolici vorrebbero rifiutare in nome del loro irenismo e
pacifismo.
San Giovanni da Capestrano guida l'esercito cristiano alla vittoria contro i Turchi |
Il Torchio mistico
di Claudia Del
Valle
Una delle
raffigurazioni più toccanti e incisive della devozione cattolica al Sangue di
Cristo è certamente quella del “Torchio mistico”. Cristo è il frutto pigiato il
cui succo, ossia il cui Sangue, è la bevanda di redenzione per i peccati
dell’uomo.
La particolare iconografia del
“Torchio mistico” nasce nel Medioevo. Inizialmente vi era semplicemente la
raffigurazione della vite e del grappolo. L’immagine di Cristo nel torchio si
diffonde a partire dal XII secolo e, col trascorrer dei secoli, il divin
Redentore viene dipinto in modo sempre più esplicito mentre trasuda Sangue
sotto la pressione del torchio. L’immagine s’ispira al testo d’Isaia: «Nel tino
ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li ho pigiati con
sdegno. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti
gli abiti» (63,3).
È da ascriversi a Sant’Agostino il merito di aver sapientemente congiunto
questo brano d’Isaia col grappolo meraviglioso del libro dei Numeri:
«Tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una
stanga» (13,23). Nelle Esposizioni sui Salmi il commento del Vescovo di Ippona
è esplicito: «“Mi calpestano sempre i miei nemici, molti sono quelli che mi
combattono. / Nell’ora della paura io in te confido” [...]. Perché è tenuto nel
torchio il suo Corpo, cioè la Chiesa. Che significa “nel torchio”? Nelle angustie.
Ma ben fecondo è questo essere spremuti nel torchio. Finché è sulla vite, l’uva
non subisce pressioni: appare intera, ma niente da essa scaturisce. La si mette
nel torchio, la si calpesta e schiaccia; sembra subire un danno, invece questo
danno la rende feconda, mentre, al contrario, se le si volesse risparmiare ogni
danno, rimarrebbe sterile. Orbene tutti i santi che soffrono persecuzioni da
parte di coloro che si sono allontanati dai santi stiano attenti a questo salmo
e vi riconoscano se stessi [...]. Il primo grappolo d’uva schiacciato nel
torchio è Cristo. Quando tale grappolo venne spremuto nella Passione, ne è
scaturito quel vino il cui calice inebriante quanto è eccellente!».
La più celebre raffigurazione del Torchio mistico rimane certamente la pala
eseguita da Andrea Mainardi, detto Chiaveghino, per l’altare maggiore della
chiesa di Sant’Agostino a Cremona nel 1594. La composizione è tutta incentrata
sulla figura del Cristo che, piegato sotto il torchio, girato da due Angeli,
estende le braccia in avanti per far ricadere il Sangue che esce dalle ferite
alle mani nel tino. Nella zona superiore Dio Padre è raffigurato a braccia
spalancate nell’alto dei Cieli, lontano dall’azione vera e propria della
spremuta. In basso San Gregorio Magno sostiene, aiutato da un Angelo, il Calice
che si riempie del Mosto divino, mentre altri Padri della Chiesa, Girolamo a
destra, Agostino e Ambrogio a sinistra, sono raffigurati accanto al torchio,
dietro al quale si accalca la folla dei fedeli pronta per assaporare il frutto
della Redenzione. In particolare Agostino indica con la destra il Cristo che
con il suo Sacrificio redime l’umanità. La composizione, unica nel suo genere,
evidenzia fortemente il ruolo della Chiesa, come intermediaria fra il Cristo e
la massa dei fedeli, qui impersonata innanzitutto da San Gregorio Magno, figura
sempre associata al Sangue di Cristo.
Dipingendo quest’opera, il
Mainardi allude alla grandezza dei meriti di Cristo e alla Chiesa: il Sangue
che sgorga dalle ferite del Redentore è la linfa dei credenti che viene
raccolta e dispensata dalla Chiesa attraverso la penitenza e le indulgenze.
L’immagine del Torchio mistico non fu estranea neppure alla Mistica medievale
che non mancò di riversarsi nell’arte con raffigurazioni d’estremo interesse.
Tra le figure degne di maggior attenzione troviamo senza alcun dubbio la mistica
fiorentina Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (1566-1607), coeva del Mainardi. La
tradizione assegna alla Santa un disegno che si trova nella cella ove ella
morì. Sul retro del foglio si legge: «Questa Pittura e le Inscrizioni che in
essa si vedono, furono fatte di propria mano da santa Maria Maddalena de’
Pazzi, nella cui vita stampata si legge: “Stando Ella in estasi al buio, e
cogli occhi bendati dipingeva sopra la carta Immagini devote, le quali come
miracolose sono state poi conservate”».
Il disegno alquanto semplice
raffigura il Cristo curvo sotto il peso della croce-torchio posta in diagonale,
sui quattro bracci della quale si leggono Humilitas, Innocentia, Castitas, Caritas,
che poggia i piedi su un tino a forma di cuore, sotto cui scorre un cartiglio
con la scritta Ego torcular solus calcavi. Il Redentore si sporge in avanti e
con la destra tiene una caraffa piena di Sangue che riversa in un Calice
sostenuto da una devota (la Santa stessa) inginocchiata. Sul verso stesso del
disegno è scritto: «Il Beato Alberto Magno / affermava: Recordatio Passionis
Christi multo plus / iuvat homini, quam si integrum annum / jeiunaret in pane
et aqua, vel si quotidie / virgis aut flagellis cederetur usque ad sanguinis
effusionem vel si quotidie legeret / integrum Psalterium» (“La memoria della
Passione di Cristo giova all’uomo più che se digiunasse a pane e acqua per un
anno, o se si disciplinasse a sangue con verghe o flagelli, o se ogni giorno
leggesse l’intero Salterio”).
Anche nelle frequenti estasi
della Santa ricorre il tema del Torchio mistico e del Sangue. Nel
trentaquattresimo colloquio del 17 aprile 1585 così la Santa commenta la sua
estasi della notte precedente: «Le fruttuose viti sono le anime innamorate di
te Verbo, le quali mille volte il dì, se possibil fussi, darebber la vita per
tuo amore, et per acquistare a Te delle anime, le cui vite sono spremute nello
strettoio, o vero torculare della memoria della tua Passione». E nel quarantaseiesimo
colloquio del 7 maggio 1587 aggiunge: «Et tanto è l’abbondantia di questo
spremuto vino che la sposa non ha tanti vasi di riporre... Ma che fa lo Sposo?
Dà lui alla sposa di riporlo. E che gli dà? Gli dà un vaso pretioso e grande,
et questo è il suo Cuore». Il trasporto mistico della Santa verso Cristo e il
suo Sangue salvifico ha ispirato in vari modi l’iconografia.
Va segnalata una suggestiva tela
d’inizio Settecento conservata nella Chiesa del Carmine a Licata, in cui la
Santa, inginocchiata di fronte al Cristo crocifisso, è letteralmente investita
da un fiotto di Sangue-luce uscente dal Costato del Redentore, mentre la
Vergine la incorona.
La variegata iconografia del
“Torchio mistico” prova l’ardentissima devozione del popolo cristiano per il
Sangue del Signore, “prezzo della nostra redenzione”, “pianta di benedizione,
trofeo di gloria, stendardo di salute”. A tale devozione occorre ritornare per
“ricentrare” il Cristianesimo in Colui che solo ci ha riscattati a prezzo del
suo Sangue, spremuto nel mistico torchio della Croce.
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