Nella
festa della decollazione del Precursore San Giovanni Battista, rilanciamo
questo contributo di Matteo Matzuzzi.
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Daniele da Volterra, Decollazione del Battista, XVI sec., Galleria Sabauda, Torino |
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Vicente Carducho, Decollazione del Battista, XVI-XVII sec., museo del Prado, Madrid |
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Ambito romano, Decollazione di S. Giovanni Battista, XVII sec., Rieti |
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Scuola bolognese, Testa del Battista dopo la decapitazione, affissa ad una picca, XVII sec., collezione privata |
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Mauro Picenardi (attrib.), Decollazione di S. Giovanni Battista, XVIII sec. |
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Antonio Pellegrini, S. Marco evangelista con la testa del Battista, XVIII sec., Padova |
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Giuseppe Menegon, Decapitazione del Battista, XVIII sec., Padova |
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Francesco Lorenzi, Estasi di S. Giovanni Battista prima del martirio, 1755, Verona |
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Agostino Ugolini, Decollazione di S. Giovanni Battista, 1803 |
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Giuseppe Diotti, Decapitazione del Battista, 1819, Bergamo |
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Bottega italiana, Decollazione di S. Giovanni Battista, 1844, Viterbo |
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Eduard Heinrich, S. Giovanni Battista condotto al martirio, 1858, Trieste |
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Abramo Spinelli, Decapitazione del Battista, 1893, Bergamo |
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Ponziano Loverini,Decollazione di S. Giovanni Battista, 1897, Basilica di S. Maria Assunta, Gandino |
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Ambito romano, Decapitazione del Battista, XIX sec., Civita Castellana |
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Achille Boschi, Decapitazione del Battista, XIX sec., Bologna |
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Adolfo Mattielli, Decollazione di S. Giovanni Battista, 1940-60, Verona |
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Marco Antonio Poggio, Decollazione del Battista, XVII sec., Oratorio Mortis et Orationis, Sestri Ponente |
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Bottega italiana, Decollazione di S. Giovanni Battista, XX sec., Fabriano |
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Anton Maria Maragliano, Martirio di S. Giovanni Battista, detta anche Cassa di S. Giovanni, XVIII sec., Oratorio di S. Giovanni, Ovada |
Non c’è
Europa senza Cristo
L’anima cristiana del continente nel disegno dei padri
fondatori. La profezia di Romano Guardini: “Se perde questa sua essenza, non
avrà più nulla da significare”
di Matteo Matzuzzi
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La facciata della Cattedrale di Rouen |
L’Europa, in fin dei conti, ha iniziato a crollare
definitivamente nei primi anni Duemila, quando il presidente della Convenzione
europea, l’organismo incaricato di studiare una Costituzione per l’Unione,
Valéry Giscard d’Estaing, rifiutò di aprire una lettera che Giovanni Paolo II
gli aveva fatto recapitare. Un messaggio in cui il vecchio Papa polacco
implorava quantomeno di considerare l’inserimento d’un riferimento alle radici
giudaico-cristiane del continente nel testo poi abortito. “E’ bene che la tenga
in tasca e non me la consegni”, avrebbe detto Giscard al latore della missiva
secondo quando ebbe a dire monsignor Rino Fisichella, citando fonti fidate.
Quel gesto dell’ex capo dello stato francese non era un semplice barcamenarsi
tra gli opposti interessi e il mantra laicista tanto in voga a Bruxelles, che
si cullava nella convinzione che il multiculturalismo e l’applicazione di
ricette tutte concordi nel ricacciare la religione a fatto privato – quasi
fosse l’iscrizione a un club di caccia – avrebbero portato in terra il regno
della pace perpetua. Rifiutare quella lettera significava rimuovere le
fondamenta stesse del progetto comunitario, che aveva nel fatto cristiano il
suo pilastro fondamentale. Questa, almeno, era l’Europa immaginata da Robert
Schuman, uno dei suoi padri fondatori il cui nome tanto campeggia sulle
facciate dei palazzi e cui tante vie e piazze sono dedicate nel cuore politico
dell’Unione. L’Europa che “o sarà cristiana o non sarà”, frase poi ripresa
decenni più tardi proprio da Giovanni Paolo II.
Schuman aveva pensato un’Europa fondata non tanto e solo
sul collante economico, bensì sul comune terreno culturale, che a suo giudizio
non poteva fare a meno del portato valoriale incarnato dal cristianesimo.
“Tutti i paesi europei sono permeati dalla civiltà cristiana. Essa è l’anima
dell’Europa che occorre ridarle”, disse, quando ancora le chiese erano popolate
e a nessuno veniva in mente di proporre la rimozione della croce dallo
stendardo di Tolosa perché offensiva nei confronti dei fedeli di altre
religioni (o culti, come più sobriamente si dice oltralpe). L’Europa delle
cattedrali (definizione sempre di Schuman) come emblema caratterizzante di quel
che avrebbe dovuto essere, insomma. Ma la visione dello statista francese – al
pari di quella di Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi – era laica: niente a che
vedere con rivendicazioni confessionali o con intenzioni più o meno manifeste
di imporre il cristianesimo quale religione comunitaria. Nessuno spirito di
revanche crociata né desiderio di brandire vessilli identitari a definire un
fortino da purificare e preservare da attacchi e infiltrazioni esterne.
Una visione che sarebbe stata condivisa dal teologo
Romano Guardini, che nelle sue dense ma al contempo brevi riflessioni
sull’Europa (raccolte qualche anno fa dalla casa editrice Morcelliana)
delineava le basi per una costruzione comune che potesse avere successo e
respiro. “Se quindi l’Europa deve esistere ancora in avvenire, se il mondo deve
ancora aver bisogno dell’Europa”, scriveva Guardini, “essa dovrà rimanere
quella entità storica determinata dalla figura di Cristo, anzi, deve diventare,
con una nuova serietà, ciò che essa è secondo la propria essenza. Se abbandona
questo nucleo, ciò che ancora di esse rimane, non ha molto più da significare”.
Silvano Zucal, grande esperto della materia e che di quella raccolta scrisse la
premessa, osservò che le meditazioni di Guardini, “frutto di una riflessività e
d’una originalità straordinarie, dicono che solo l’Europa poteva diventare non
solo un ‘destino’ di ricomposizione per la sua personale identità duale, ma
anche un compito etico da consegnare al futuro dei popoli europei fuoriusciti
dall’epoca tragica segnata dalle guerre, dai totalitarismi e dalla macchia
indelebile della Shoah”.
Già nel 1980, in un’omelia tenuta a Cracovia, l’allora
cardinale Joseph Ratzinger (a Guardini assai legato, tanto da citarlo perfino
nel suo ultimo discorso prima di lasciare per sempre il Palazzo apostolico, nel
2013) diceva che “ogni popolo europeo può e deve riconoscere che la fede ha
creato la propria patria e che perderemmo noi stessi sbarazzandoci della nostra
fede”. Si trattava di ribadire il concetto che l’Europa com’è oggi,
sopravvissuta a secoli di guerre e disfacimenti di piccoli e grandi principati,
è opera della fede cristiana insieme alla filosofia greca e al pensiero romano.
Il problema, mai come ora così attuale e decisivo, è
capire cosa è l’Europa. Parlando a Berlino nel 2000, in pieno dibattito sulla
necessità (o meno) di riconoscere l’impronta giudaico-cristiana nella
Costituzione europea, Ratzinger spiegò che l’Europa è in primo luogo un
concetto culturale e storico, e solo in un secondo tempo indica una realtà
geografica. Guardini l’aveva anticipato di quasi mezzo secolo. Già settantenne,
il teologo e filosofo italo-tedesco, parlando all’Università di Monaco,
chiariva che “l’Europa non è un complesso puramente geografico, né soltanto un
gruppo di popoli, ma un’entelechia vivente, una figura spirituale operante”.
Un qualcosa in movimento, dunque, che si è sviluppato una
storia “che passa per quattromila anni e a cui non si può finora paragonare
nessun’altra ricchezza di personalità come di forze, in audacia d’azioni come
in profondi movimenti di destini sperimentati, in ricchezza di opere prodotte
come in pienezza di significato immessa in ordini di vita creati”. Certo,
avvertiva Guardini, “nessuna forma di vita è eterna”. Tuttavia, “la struttura
essenziale europea c’è; la vediamo anzi in ogni gesto, la percepiamo in ogni
parola, la sentiamo con intensità nuova, dolorosa in noi stessi. Così siamo
fiduciosi che continuerà e sarà soggetto di storia”. A patto che esamini “se
stessa con la più decisa serietà” e rifletta “sul suo proprio essere”. Si
tratta semmai di ridestarla, di considerare le tante cattedrali che pullulano
le città non solo come vecchi musei, ma come simbolo di una grande storia
comune. Utile sarebbe, forse, “farla finita con la neutralizzazione di ogni
religione e di ogni etica sostantiva”, come diceva a questo giornale il
cardinale Angelo Scola il 4 agosto. Le religioni, aggiungeva l’arcivescovo di
Milano, “non vanno pensate come soggetti che cercano tutele, ma come realtà
vitali capaci di sviluppare una soggettività pubblica, liberamente assunta e il
più possibile cordialmente dialogata. In quest’età post secolare in cui, con la
modernità, è stato abbandonato il riferimento a Cristo come senso di un cammino,
bisogna riconoscere che tutti i tentativi fatti per sostituirlo sono falliti.
Basti rifarsi al discorso del crollo delle grandi narrazioni”.
Manca, scriveva Guardini nel lontano 1955, “ciò che è più
intimamente decisivo: la figura di Cristo. E non nel senso che un determinato
gruppo di popoli l’avrebbe accolto come maestro religioso, il loro carattere
peculiare però sarebbe stato determinato anche senza questo; ma diventò ciò che
è, perché il suo spirito per quasi due millenni fu attivo fin nella loro più
intima profondità e nella loro più delicata finezza”. L’essere di Cristo,
continuava il teologo, “ha liberato il cuore all’uomo europeo. La sua
personalità gli ha dato la capacità straordinaria di vivere la storia e di
esperire il destino. La sua serietà, che lo volesse o no, ha sostenuto l’opera
dello spirito europeo”. Affermazioni nette che paiono stridere con lo stato
dell’Europa odierna, mostro burocratico più che casa dei popoli, incapace di
rispondere alle sfide essenziali che le si pongono dinanzi e che giorno dopo
giorno è minacciata da venti ostili che ne preconizzano lo sgretolamento
finale.
Non è un caso che alla questione sia dedicato l’annuale
incontro degli allievi del professor Ratzinger, che si stanno incontrando
proprio in questi giorni a Castel Gandolfo per discutere proprio di Europa.
Alla fine, come sempre, il tema è stato scelto da Benedetto XVI, benché “con
una certa esitazione”, ha rivelato padre Stephan Horn, coordinatore dello
Schülerkreis, in un’intervista concessa ad Acistampa. “Quando lo ha scelto, ha
posto la domanda: ‘E’ ancora viva l’Europa? C’è ancora una Europa? Esiste
veramente l’Europa?’”. Affermazioni che rievocano quelle di Papa Francesco,
pronunciate all’atto di ricevere il prestigioso premio Carlo Magno, lo scorso
maggio: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti
dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa
terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è
successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che
hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.
Non è banale pessimismo, quello di Bergoglio e Ratzinger,
bensì la necessità di comprendere fino a che punto il concetto “post europeo” e
“anti europeo” di ragione autonoma abbia finito per compromettere non solo le
fondamenta dell’ideale comunitario ma anche i pilastri su cui s’erge ogni
società umana. Nel celebre discorso tenuto da Ratzinger a Norcia il 1° aprile
del 2005, l’allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede
tornò sul dibattito circa la menzione delle radici cristiane nel preambolo
della Costituzione europea. “L’affermazione che la menzione delle radici
cristiane dell’Europa ferisce i sentimenti dei molti non cristiani che ci sono
in Europa, è poco convincente, visto che si tratta prima di tutto di un fatto
storico che nessuno può seriamente negare”. Naturalmente, proseguiva Ratzinger,
“questo cenno storico contiene anche un riferimento al presente, dal momento
che, con la menzione delle radici, si indicano le fonti residue di orientamento
morale, e cioè un fattore d’identità di questa formazione che è l’Europa”. Ma
la domanda è: “Chi verrebbe offeso? L’identità di chi viene minacciata? I
musulmani, che a tale riguardo spesso e volentieri vengono tirati in ballo, non
si sentono minacciati dalle nostre basi morali cristiane, ma dal cinismo di una
cultura secolarizzata che nega le proprie basi. E anche i nostri concittadini
ebrei non vengono offesi dal riferimento alle radici cristiane dell’Europa, in
quanto queste radici risalgono fino al monte Sinai: portano l’impronta della
voce che si fece sentire sul monte di Dio e ci uniscono nei grandi orientamenti
fondamentali che il decalogo ha donato all’umanità. Lo stesso vale per il
riferimento a Dio: non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad
altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana
assolutamente senza Dio”. Le motivazioni erano ben altre, “più profonde”,
sottolineava: “Presuppongono l’idea che soltanto la cultura illuminista
radicale, la quale ha raggiunto il suo pieno sviluppo nel nostro tempo,
potrebbe essere costitutiva per l’identità europea”. Una cultura in cui
“possono coesistere differenti culture religiose con i loro rispettivi diritti,
a condizione che e nella misura in cui rispettino i criteri della cultura
illuminista e si subordino a essa”.
Una cultura che “è definita dai diritti di libertà”, che
“parte dalla libertà come un valore fondamentale che misura tutto”, compresa la
libertà della scelta religiosa”. Il divieto di discriminazione, sempre incluso
in quella cultura, “può trasformarsi sempre di più in una limitazione della
libertà di opinione e della libertà religiosa”. Ma, aggiungeva infine
Ratzinger, “la concezione mal definita o non definita affatto di libertà, che
sta alla base di questa cultura, inevitabilmente comporta contraddizioni; ed è
evidente che proprio per via del suo uso (un uso che sembra radicale) comporta
limitazioni della libertà che una generazione fa non riuscivamo neanche a
immaginarci. Una confusa ideologia della libertà conduce a un dogmatismo che si
sta rivelando sempre più ostile verso la libertà”.
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